30 dicembre 2015
Pelucchi ve odio
Avete presente il vostro bellissimo maglione quando a un certo punto gliela dà su e si riempie di pelucchi? Non vi fa sbroccare?
Ora, a parte quelli di voi che vestono Brunello Cucinelli (*), immagino che non spendiate sempre i cento euri per un golf, ma questo è un difetto grave che andrebbe saputo andrebbe.
Se il maglione è usa (una decina di volte) e getta, può anche andare bene, ma quando inizia a spelucchiare e ancora non l’ho ammortizzato a me mi manda in bestia.
E sì che ce l’ho il levapelucchi, penso di avere comprato il prototipo dei levapelucchi, l'ho preso quando ancora si chiamava removet vegrandis pilis, ma dire che il suo lavoro mi soddisfa è una bugia.
E un maglione coi pelucchi, sia chiaro, è immettibile.
Vorrei avere la competenza tessile di capire al tatto quando un maglione farà i pelucchi così da evitarne l’acquisto, ma non ce l’ho mica e vado un po’ così.
E non è una questione di tempo, badate bene, ho maglioni di dieci anni vecchi che viaggiano è un piacere, senza un pelucco che è uno.
(*) Se passate dal Trasimeno andateci a visitare quella piccola perla che è Solomeo… e non dimenticate il teatro.
21 dicembre 2015
Però vicino, dai
"Dai retta a me: Gomez non può giocare a calcio!" |
Gli obiettivi 2015, diciamolo, erano un pelo ambiziosi, ma ci ho provato.
Raggiungere la vetta dell'Everest senza bombole
Sono stato all'Orecchiella, sulla cima del monte Prado, senza bombole
Vincere il Nobel per la Letteratura
Ho scritto un esercizio di stile alla Queneau, per una collega che fa teatro, nessun premio per il momento
Attraversare la Manica a nuoto, stile farfalla
Ho circumnavigato un isolotto a Spartia (Cefalonia) colla maschera e il boccaglio, ma senza pinne!
Fare il giro del mondo in 79 giorni
Sono arrivato fino in Portogallo, Cabo de Roja, ma poi non sono salpato
Entrare al Mensa, e fare una strage
A mensa ci sono andato circa duecento volte, ma non è stata una mossa così intelligente
Vincere il pallone d'oro
Ho giocato a calcetto n. 1 volta, ho preso n. 1 palo
Fare 6 al Superenalotto
Ho fatto due, diverse volte
Trombare la Cucinotta
Ho scopato il cucinotto, spesso e volentieri
Battere il record del mondo degli 800 piani
Miglior performance dell'anno 9 km in 52 minuti, con annessa pubalgia però
Vincere il Pulitzer per la più bella foto di gattini postata su FB
Ho partecipato con la foto sopra
Vincere X Factor e duettare con Mina in finale
Musicalmente ho solo riattivato il giradischi per duettare di colori veri con una vinilica Cindy Lauper
Vincere Masterchef cucinando il fegato di Cracco con un bel piatto di fave a guarnire
In cucina non sono andato male: la mia crostata è stata dichiarata patrimonio delle festine
Dimostrare la sequenza di distribuzione dei numeri primi
Qui male, manco le divisioni con la virgola sono riuscito a spiegare a France
18 dicembre 2015
star uors
A me star uors non mi piace.
E nel mio malato ragionare mi scopro a pensare che piaccia a pochi, che sia un po' una posa.
Star uors mi ricorda Ecce Bombo con tutti lì (anche io) a rimuginare Mi si nota di più se dico che mi piace star uors o se dico che non mi piace star uors, o magari mi si nota di più se dico che non lo guardo proprio star uors.
Ti si nota di più quando vai in giro vestito da Darth Vader.
Li ho visti, eh, tutti badate bene, e a più riprese, direi... ma mi sono scivolati sempre addosso.
E non è un pregiudizio di genere, adoro pellicole di ogni tipo, non è una questione di fantascienza o meno, insomma.
Il mio livello di gradimento non è salito neppure per via indiretta per il fatto che la saga piace ai miei figli.
E non mi ha sconvolto neppure vedere a Matmata (Tunisia) le grotte originali scavate nella pietra, dove sono state girate scene dei primi film. Per dire, mi ha fatto più effetto andare alla ricerca della libreria di Notting Hill a Portobello.
E ora affettatemi pure con una spada laser.
15 dicembre 2015
Caricare la lavastoviglie for dummies
- I piatti stanno con i piatti e le scodelle con le scodelle. Mischiare è l'errore tipico dei caricatori principianti è il qual'è apostrofato dei lavastoviglici. E quando c'è una fila sola si parte con le scodelle e poi si passa ai piatti, di modo che, nel delicato passaggio da un tipo all'altro non si verifichi il letale accostamento culo del piatto con bordo scodella. Ovviamente non è presa nemmeno in considerazione l'ipotesi di lasciare un posto vuoto nella griglia.
- Una lavastoviglie non è mai piena, ci sarà sempre il posto per la tazza della tisana o il bicchiere della citrosodina.
- I coltelli a punta vanno cacciati nel portaposate con la punta rivolta verso il basso, sembra ovvio e invece non si contano le mani sbucacchiate in fase di svuotatura.
- I mestoli vanno bloccati tra le altre stoviglie, la loro posizione ideale è longitudinale rispetto ai bicchieri o alle tazze da colazione, affinché non comincino a sbattere furiosamente e vi costringano ad alzarvi sul più bello di un omicidio (spoiler) in House of Cards.
- Il pentolone fondo della pasta è quasi sempre meglio lavarlo a mano, intanto perché é già pressoché pulito e poi perché può lasciare spazio a 6/7 piattini da dessert, tanto per dirne una.
- Non conviene inserire nell'elettrodomestico stovigliame corredato di meccanismi e guarnizioni. Insomma non fidatevi della dicitura "può andare in lavastoviglie", certo che ci può andare, anche il vostro gatto ci può andare, non per questo l'apparecchio è da azionare con la bestiola all'interno.
- Disporre tutti gli oggetti che hanno incavi potenzialmente ricettori di acqua in verticale/obliquo (alcuni coperchi, alcune tazze).
- Utilizzate i coperchi delle pentole (non quelli del punto precedente) per bloccare da sopra i materiali troppo leggeri, tipo i tupperware o i bicchieri di plastica ikeici che, altrimenti, vi ritroverete a pancia in su e colmi di liquidume quando andrete a toglierli.
- E dategliela una passata con una spazzolina ai piatti, vi consentirà di lanciare qualche lavaggio a temperatura ridotta.
- Svuotare sempre e prima il piano di sotto, eviterete fastidiose sgocciolature sulle stoviglie asciutte.
P.s. Se avete consigli e suggerimenti utilizzate pure l'area commenti.
14 dicembre 2015
Cartoni animati con rutti e scuregge
E parlo di cartoni animati per bambini non di pseudo avventure in stile GTA vuemmeaidiciotto.
Ma il vecchio moige ma dov’è? Non c’è mai quando ti serve?
In tivù stanno passando roba terrificante e loro che fanno? Forse dopo i Beatles e i Take That si è sciolto anche il moige?
E non voglio fare il moralista, sdoganiamo pure rutti e scuregge che esistono in natura e quindi perché non dovrebbero starci in un cartone?
E non voglio arrivare a sostenere che siano diseducativi, anche se questo potrei farlo.
Semplicemente abusarne, o affidarsi solo o prevalentemente a loro (sempre di rutti e scuregge parlo) per strappare un sorriso a un bambino, è raschiare il barile della scrittura e della buona creanza.
È capitato una volta, due, poi tre… non può essere un caso, è probabile che una vera e propria lobby dei rutti e delle scuregge agisca nell’ombra per diffondere come un virus una nuova religione devota alle emissioni aeriformi in uscita dai nostri corpi.
Sarò io?
Sarà che son vecchio?
Può darsi, sì, può darsi tutto.
Ma il vecchio moige ma dov’è? Non c’è mai quando ti serve?
In tivù stanno passando roba terrificante e loro che fanno? Forse dopo i Beatles e i Take That si è sciolto anche il moige?
E non voglio fare il moralista, sdoganiamo pure rutti e scuregge che esistono in natura e quindi perché non dovrebbero starci in un cartone?
E non voglio arrivare a sostenere che siano diseducativi, anche se questo potrei farlo.
Semplicemente abusarne, o affidarsi solo o prevalentemente a loro (sempre di rutti e scuregge parlo) per strappare un sorriso a un bambino, è raschiare il barile della scrittura e della buona creanza.
È capitato una volta, due, poi tre… non può essere un caso, è probabile che una vera e propria lobby dei rutti e delle scuregge agisca nell’ombra per diffondere come un virus una nuova religione devota alle emissioni aeriformi in uscita dai nostri corpi.
Sarò io?
Sarà che son vecchio?
Può darsi, sì, può darsi tutto.
10 dicembre 2015
homo senza calcio
Va detto che lo stadio evolutivo successivo all'homo sapiens sapiens è l'homo senza calcio.
Anche perché, chi ancora si accalora e soffre per il famigerato mondo - malato - del pallone, appare per forza di cose in regressione, oltreché dolosamente prosciuttofoderato ai quotidiani scandali.
Ora però, homo senza calcio, che hai anche un po' questa fortuna perché spesso ci nasci così, privo di dipendenza dalla bola di cuoio, dovresti a mio avviso salire un ultimo e decisivo gradino affinché la tua evoluzione possa definirsi completa.
La domenica quando c'è la partita (o il sabato alle 18, o il sabato sera, o la domenica a pranzo, o la domenica sera o quand'anche fosse inverosimilmente il lunedì) potresti essere così illuminato da evitare di coinvolgere famiglie, dove l'homo senza calcio ancora è utopia, per proporre sventagliate di irrinunciabili tematiche culturali cui dedicarsi tutti assieme.
Se invece, dall'alto della tua oligarchica evoluzione, programmi e proponi senza la minima accortezza al calendario di serie A, metti in difficoltà le persone più deboli di te e rischi di gettare nella disperazione l'homo vecchio stampo, quello che ancora trova rifugio alle sue paure e coronazione alla sua misera settimana in quei 90 febbrili minuti di pedate in cui è coinvolta la sua squadra del cuore, che sia viola, strisciata o a pois alla fine poco importa.
Già che l'homo in questione deve condurre faticose e interminabili guerre psicologiche al fine di mantenere l'equilibrio familiare pur continuando a fruire della cazzosa partita para- domenicale, se poi gli attacchi arrivano pure da fuori, e - non sia mai! - dal culturale, difendersi diventa davvero improbo.
4 dicembre 2015
Addavenì occhiammandorla
Son lontani i tempi in cui dolcemetà sognava di cinesi cattivissimi.
La Cina non è più vicina manco per il cavolo, ci ha superato e come va!
Poi non ditemi che non ve l'avevo detto: la schifata ricerca del made in china sui prodotti vari che andavate comprando qualche anno fa si sta trasformando in una speranzosa affermazione di qualità.
Sarà un attimo perché il talloncino made in china diventi un vero e proprio simbolo di cura e perfezione. Del resto anche i vecchi modelli di eccellenza, leggi Volkswagen (Gas Auto), con le loro cadute di stile stanno spianando la strada ai venti orientali.
Va però che anche da un punto di vista dell'educazione e della correttezza ci stanno dando dei punti.
Certo il mio pensiero è fortemente influenzato dagli ultimi 2 incidenti in motorino che ho avuto, due episodi in fondo, ma le partite si vincono e si perdono per gli episodi.
Ma andiamo con ordine:
5 anni fa mi stampo incolpevolmente in un'auto il cui guidatore, giovane italiano e calciatore (sic), aveva pensato bene di uscire da una coda con una inversione a U in un viale le cui carreggiate erano divise da doppia striscia continua. La sua dichiarazione, avallata da un testimone falso come la morte di sonno di gesuccristo, fu che io ero finito addosso alla sua auto posteggiata e FERMA.
Mi rode ancora il fegato a pensarci. Mi salvo in calcio d'angolo con un testimone (vero o falso?) che mi fa prendere il 50% di ragione. Notare che lo scooter era da buttare.
Ieri stavo seguendo un'auto in una stradina stretta quando questa ha inchiodato ed è partita a marcia indietro alla vista di un parcheggio libero appena passato. Non ho potuto evitare che mi fracassasse il parafango, niente di grave per me che non sono neppure caduto. Scende il chinese man con sua figlia spiccante italiano e mi racquetano un po'... e mi chiedono il preventivo per rifondermi al volo.
In serata chiamo il meccanico, 160 mi fa, e glielo giro in SMS.
Oggi alle 13:30 in punto son venuti sotto al mio ufficio con la busta coi soldi, padre e figlia, tutti belli e sorridenti pure se contriti per l'accaduto. Una stretta di mano e via, problema risolto.
In fondo il diavolo non è così blutto come lo si dipinge.
21 novembre 2015
Cats vs cucumbers - MythBusters
È dopo aver visto i videi di cats vs cucumber - cercateveli sul tubo ché pare violino il copyright di qualcuno e li ho tolti da qui sotto - che la Linea, forte di una conclamata convivenza felina, si è messa al lavoro alla maniera di Adam Savage e Jamie Hyneman per sfatare il mito del cetriolo terrorizza micio.
Ed ecco il risultato: Lizzy e Penny Vs cucumber (*)
(*) il cucumber è stato appositamente comprato - chi ha voglia di mangiarsi un cetriolo d'inverno? - questa mattina per 38 centesimi di euro.
13 novembre 2015
Il mattino ha loro in bocca
Alcune mattine da noi si registra una fastidiosa reticenza ad alzarzi dal letto da parte di
un soggetto soggettino.
È allora che entrano in azione loro: GLI SVEGLIATORI.
Esistono svegliatori di diverso ordine e grado di efficienza. Le tattiche che adottano sono differenti e vanno alternate nel tempo perché il soggetto sviluppa assuefazione all'uso ripetuto della stessa.
I primi a entrare in campo solitamente sono gli svegliatori sbaciucchioni, ma hanno probabilità di successo vicine allo zero siderale.
Poi, a seconda delle mattine, del tempo a disposizione e del livello apparente di sonno arrivano sul posto le altre squadre.
Ci sono gli svegliatori mordicchioni e gli svegliatori pizzicottosi, ci sono gli svegliatori cheladigranchio e gli svegliatori fusadigatto, ci sono gli svegliatori che stapparellano e quelli temibilissimi che sbrandano.
A volte vengono persino dall'estero: I Despertadores sono capaci di strapparti dalle braccia di Morfeo col solo bellicoso bercio: DESPERTAMOS!
Ricordarsi che gli svegliatori raggiungono la massima efficienza se agiscono in coppia lavorando il soggetto dormiente da ambo i lati.
Gli svegliatori: collezionali tutti!
È allora che entrano in azione loro: GLI SVEGLIATORI.
Esistono svegliatori di diverso ordine e grado di efficienza. Le tattiche che adottano sono differenti e vanno alternate nel tempo perché il soggetto sviluppa assuefazione all'uso ripetuto della stessa.
I primi a entrare in campo solitamente sono gli svegliatori sbaciucchioni, ma hanno probabilità di successo vicine allo zero siderale.
Poi, a seconda delle mattine, del tempo a disposizione e del livello apparente di sonno arrivano sul posto le altre squadre.
Ci sono gli svegliatori mordicchioni e gli svegliatori pizzicottosi, ci sono gli svegliatori cheladigranchio e gli svegliatori fusadigatto, ci sono gli svegliatori che stapparellano e quelli temibilissimi che sbrandano.
A volte vengono persino dall'estero: I Despertadores sono capaci di strapparti dalle braccia di Morfeo col solo bellicoso bercio: DESPERTAMOS!
Ricordarsi che gli svegliatori raggiungono la massima efficienza se agiscono in coppia lavorando il soggetto dormiente da ambo i lati.
Gli svegliatori: collezionali tutti!
11 novembre 2015
Di numeri e di biscotti
In uno di quei riflussi nostalgici che sempre più spesso ultimamente mi si presentano è
andata che ho comprato dei Pavesini che mi sto sparando, pacchetto dopo pacchetto, a
colazione.
Ma voi, se foste stati il signor Pavesi, quanti diamine di biscotti avreste messo per ogni singola confezione?
Questo mi chiedevo ieri mattina in scooter mentre venivo in ufficio.
In realtà mi ero posto la questione a metà colazione, ma avendo già pappato alcuni e imprecisati pavesini mi era impossibile ricavare il numero iniziale, anche perché la confezione, giustamente anni '70 e priva di ogni e qualsivoglia malfunzionante apertura facilitata, va completamente dilaniata per accedere ai biscotti e non presentava uno spazio vuoto stimabile in numero di pavesini mangiati da sommare a quelli restanti per ottenere un totale.
Insomma a occhio potevano sembrare una decina ecco, o forse otto. O magari dodici.
In effetti erano le tre ipotesi più probabili anche se per questione di rotondità tendevo a pensare al 10. 10 frollini per confezione, e magari 10 confezioni per scatola. La vuoi meglio?
[n.p.g.(*) ogni scatola classica contiene 8 confezioni]
Invece cosa t'inventa il signor Pavesi? In ogni pacchettino ce ne stipa 11. Undici!
Ok, li state contando... vi lascio qualche secondo...
...
Fatto?
Sì, lo so, non ha senso, eppure è così.
La mia incredulità è stata avallata poi in famiglia, quando ho posto la questione tipo fagioli di Raffaella, e nessuno s'è sognato di dire 11.
Undici per otto ottantotto e via andare con una serie di multipli irragionevoli per un addetto alle statistiche di produzione e vendita.
Alla fine, e mi era venuto il sospetto, il conto pari l'hanno fatto con il peso, una confezione di 11 biscotti pesa infatti 25 grammi e questo spiega - quasi - tutto.
Sì perché, a quel punto, un frollino pesa 2,27 periodico, ma dico, non era più semplice farlo di 2,5 grammi?
(*) - n.p.g. nota post gugolata
Ma voi, se foste stati il signor Pavesi, quanti diamine di biscotti avreste messo per ogni singola confezione?
Questo mi chiedevo ieri mattina in scooter mentre venivo in ufficio.
In realtà mi ero posto la questione a metà colazione, ma avendo già pappato alcuni e imprecisati pavesini mi era impossibile ricavare il numero iniziale, anche perché la confezione, giustamente anni '70 e priva di ogni e qualsivoglia malfunzionante apertura facilitata, va completamente dilaniata per accedere ai biscotti e non presentava uno spazio vuoto stimabile in numero di pavesini mangiati da sommare a quelli restanti per ottenere un totale.
Insomma a occhio potevano sembrare una decina ecco, o forse otto. O magari dodici.
In effetti erano le tre ipotesi più probabili anche se per questione di rotondità tendevo a pensare al 10. 10 frollini per confezione, e magari 10 confezioni per scatola. La vuoi meglio?
[n.p.g.(*) ogni scatola classica contiene 8 confezioni]
Invece cosa t'inventa il signor Pavesi? In ogni pacchettino ce ne stipa 11. Undici!
Ok, li state contando... vi lascio qualche secondo...
...
Fatto?
Sì, lo so, non ha senso, eppure è così.
La mia incredulità è stata avallata poi in famiglia, quando ho posto la questione tipo fagioli di Raffaella, e nessuno s'è sognato di dire 11.
Undici per otto ottantotto e via andare con una serie di multipli irragionevoli per un addetto alle statistiche di produzione e vendita.
Alla fine, e mi era venuto il sospetto, il conto pari l'hanno fatto con il peso, una confezione di 11 biscotti pesa infatti 25 grammi e questo spiega - quasi - tutto.
Sì perché, a quel punto, un frollino pesa 2,27 periodico, ma dico, non era più semplice farlo di 2,5 grammi?
(*) - n.p.g. nota post gugolata
9 novembre 2015
SA-LU-TA-TE-LA-CA-PO-LI-STA
Domani viene il Papa a Firenze.
Viene allo stadio a dire messa e viene anche a salutare la capolista, bene.
Firenze è in fermento.
La città prepapale è punteggiata da pile di transenne color pontificio atte a mettere in sicurezza le scorribande della papamobile e pronte ad essere dispiegate lungo il percorso.
Domani viene il Papa e la mobilità ne risentirà, sembra di essere tornati ai tempi dei mondiali di ciclismo quando per Nibali & Co si mobilitò l'intera popolazione.
Pure l'asfalto nuovo per i corridori, per il papa no, solo le transenne, però personalizzate.
Domani viene il Papa e mi dispiace un po' che mia mamma non possa andare a vederlo, lei che di papi è un'intenditrice mica da ridere, lei che di papi c'ha una cassapanca piena di ritagli di giornale.
Domani viene il Papa e non so bene nemmeno come fare per arrivare in ufficio, magari farò l'ultimo tratto a piedi, lungo l'Arno, non sarà una brutta cosa.
Domani viene il Papa e speriamo anche il Persichetti.
Viene allo stadio a dire messa e viene anche a salutare la capolista, bene.
Firenze è in fermento.
La città prepapale è punteggiata da pile di transenne color pontificio atte a mettere in sicurezza le scorribande della papamobile e pronte ad essere dispiegate lungo il percorso.
Domani viene il Papa e la mobilità ne risentirà, sembra di essere tornati ai tempi dei mondiali di ciclismo quando per Nibali & Co si mobilitò l'intera popolazione.
Pure l'asfalto nuovo per i corridori, per il papa no, solo le transenne, però personalizzate.
Domani viene il Papa e mi dispiace un po' che mia mamma non possa andare a vederlo, lei che di papi è un'intenditrice mica da ridere, lei che di papi c'ha una cassapanca piena di ritagli di giornale.
Domani viene il Papa e non so bene nemmeno come fare per arrivare in ufficio, magari farò l'ultimo tratto a piedi, lungo l'Arno, non sarà una brutta cosa.
Domani viene il Papa e speriamo anche il Persichetti.
30 ottobre 2015
Del diario vissuto di Giovanna (12)
Un giorno dei più belli della mia vita oggi - 19 marzo 1954 - giorno di San Giuseppe.
Forse mi domanderete perché un giorno dei più belli e adesso ve lo scriverò.
La giornata non era tanto bella perché mancava il sole, ma per me era piena di sole. Stamani quando sono partita da casa mia erano le nove circa ed ero sola, sola, per la strada che mi conduceva verso la felicità.
Arrivata alla casa dei sogni dove a vissuto e vive tutt'ora il mio amore insieme coi suoi famigliari (domani anche con me), arrivata lassù benché sia un po' distante, ero felice, ero vicina a l'uomo che amo e mi sembrerà anche più bella anche la vita.
Oggi per me è stato un giorno di sposa, di moglie e di massaia.
Mi aggiravo intorno alla casa un po' confusa ma tanto contenta però non io sola contenta, anche te Neno tu eri contento quanto me vero amore, lo visto dai tuoi sguardi dolci e belli.
Neno io sono stata un giorno in casa tua. Ma Neno un giorno sarà per sempre ed all'ora sarà la nostra casa.
Poi tu mi ai portato in camera tua dove tutte le notti dormi e sogni i sogni più belli.
Poi mi ai preso per il braccio e mi ai detto "Gianna guarda quale ti piace di più per far la nostra camera?" ed io ò sorriso ed ò detto, mi piacciono tutte e due però questa mi piace un pochino di più, quella dove ci dorme tua sorella.
Poi mi portasti in salotto e mi dicesti "Guarda Gianna qui proprio qui alla finestra facciamo un ricordo nostro" e scrivemmo i nostri nomi, anche se venisse rimbiancata noi li ricorderemo.
Insomma per me è stato un giorno di felicità completa, anche del tuo babbo che pareva contento di me.
Poi mi dicesti "Ai visto come ti guardavo quando facevi le faccende, con tanta contentezza e felicità di aver trovato te Gianna eri tanto bella e facevi la seria".
Io Neno facevo la seria? Se il mio cuore rideva dalla pazza gioia, mi pareva di esser già la sposa della tua casa, ma presto lo sarò davvero.
Io penso sempre a queste frasi: "Il Si che ti dirò davanti al sacerdote, sarà la più bella delle sette note".
__________________________________
- Quaderno del diario vissuto di Giovanna
- Anema e Core
- Dove si va signorine?
- Qui vedi dove dormo e ti sogno
- Se un giorno mi avverasse
- Mi bacia sulla bocca e baci e baci
- Quando non c'è la partita di calcio manca tutto
- Perché l'amore sarà al centro di tutto
- Qui intrecciammo la lilla
- Montaccino si chiamava il posto dove tu stavi
- E allora forse ci parrà di sognare ancora
- Il nome non te lo scrivo intanto tu lo sai di già
Forse mi domanderete perché un giorno dei più belli e adesso ve lo scriverò.
La giornata non era tanto bella perché mancava il sole, ma per me era piena di sole. Stamani quando sono partita da casa mia erano le nove circa ed ero sola, sola, per la strada che mi conduceva verso la felicità.
Arrivata alla casa dei sogni dove a vissuto e vive tutt'ora il mio amore insieme coi suoi famigliari (domani anche con me), arrivata lassù benché sia un po' distante, ero felice, ero vicina a l'uomo che amo e mi sembrerà anche più bella anche la vita.
Oggi per me è stato un giorno di sposa, di moglie e di massaia.
Mi aggiravo intorno alla casa un po' confusa ma tanto contenta però non io sola contenta, anche te Neno tu eri contento quanto me vero amore, lo visto dai tuoi sguardi dolci e belli.
Neno io sono stata un giorno in casa tua. Ma Neno un giorno sarà per sempre ed all'ora sarà la nostra casa.
Poi tu mi ai portato in camera tua dove tutte le notti dormi e sogni i sogni più belli.
Poi mi ai preso per il braccio e mi ai detto "Gianna guarda quale ti piace di più per far la nostra camera?" ed io ò sorriso ed ò detto, mi piacciono tutte e due però questa mi piace un pochino di più, quella dove ci dorme tua sorella.
Poi mi portasti in salotto e mi dicesti "Guarda Gianna qui proprio qui alla finestra facciamo un ricordo nostro" e scrivemmo i nostri nomi, anche se venisse rimbiancata noi li ricorderemo.
Insomma per me è stato un giorno di felicità completa, anche del tuo babbo che pareva contento di me.
Poi mi dicesti "Ai visto come ti guardavo quando facevi le faccende, con tanta contentezza e felicità di aver trovato te Gianna eri tanto bella e facevi la seria".
Io Neno facevo la seria? Se il mio cuore rideva dalla pazza gioia, mi pareva di esser già la sposa della tua casa, ma presto lo sarò davvero.
Io penso sempre a queste frasi: "Il Si che ti dirò davanti al sacerdote, sarà la più bella delle sette note".
__________________________________
- Quaderno del diario vissuto di Giovanna
- Anema e Core
- Dove si va signorine?
- Qui vedi dove dormo e ti sogno
- Se un giorno mi avverasse
- Mi bacia sulla bocca e baci e baci
- Quando non c'è la partita di calcio manca tutto
- Perché l'amore sarà al centro di tutto
- Qui intrecciammo la lilla
- Montaccino si chiamava il posto dove tu stavi
- E allora forse ci parrà di sognare ancora
- Il nome non te lo scrivo intanto tu lo sai di già
17 ottobre 2015
Un sabato qualunque un sabato italiano
Alle sei mi sveglia la Lizzy la gatta pelosa che salendo sul comodino nazzica con la sveglia fino a farne illuminare lo schermo e menala e cacciala alle sette eccoti dolcemetà nella sua mise da corsa stile la Jennifer quel che è ne Il lato positivo che mi chiede se vado con lei e allora mi alzo che tanto riprender sonno era un'impresa e si esce con la bruma e si cammina e un po' si corre e si chiacchiera che è un bel momento per sfogarsi e aggiornarsi sulle cose scuola lavoro famiglia poi a casa colazione e sgarro a base di TuSaiCosa poi via con un cambio armadio a tempo di record tipo un'ora non di più grazie alla tipa giapponese e al cazzo di riordino e grazie a chi l'ha letto e a chi me l'ha raccontato è presto fatto per me può pure nevicare poi mi spoglio e mi peso 82,2 ma tanto lo so che in questi mesi preletargici non cali di un etto se pure stai a dieta e poi aspetto il parametro della bilancia che mi dà la fat percentual ma il 26,2 è esso stesso peggiorativo mah sono pronto poi una doccettina apro le ante scorrevoli e mi complimento con me stesso per la centoventisettesima volta per la riparazione fatta al sistema di scorrimento a cuscinetti mi lavo apro le ante e fanno centoventotto e poi mi ripeso non si sa mai in doccia un po' di pipì e non ditemi che non fate pipì in doccia un po' di pipì magari grassa mi faccia non dico calare il peso ma almeno la fat percentual e invece nulla poi mi metto un paio di pantaloni improbabili sbucati fuori non so come da una gruccia nel cambio armadio piglio gli insulti di dolcemetà ma decido di affrontare il pubblico così combinato e vado in paese a spendere 17 euri di medicine per la mamma e 137 euri centotrentasette per quattro borsoni di spesa tra noi e mamma che sono una bella cifra che mah è meglio se controllo lo scontrino e poi siamo pronti per un pranzo a base di tortelli di zucca e pane fresco con burro e acciuga e di virgole ancora non se ne parla anche se il peggio sembra essere passato
15 ottobre 2015
La vita di pin
Ogni tanto metto dei pin alla mia vita, dei quali puntualmente mi scordo, ma che ho la ferma speranza un giorno possano essere recuperati ed esaminati al mio cospetto.
Quindi mi aspetto che - da morto, ché prima mi sa è difficile - dio, o chi per lui, mi riceva davanti a un banchino, una sorta di postazione, e che, con non so quale artefizio mediatico, mi faccia rivedere/riascoltare e mi spieghi i passaggi della mia esistenza che mi ero appuntato.
Faccio un esempio, quel fiorellino sotto la tazza della colazione alla Pensione Miraggio di Rimini... chi ce l'ha messo? Non lo saprò in questa vita, ma dopo ci conto.
E quel cellulare, prima della cresima di figlio uno, ma chi l'aveva poi rubato?
E quella volta in campeggio, chi mi scambiò il sale con lo zucchero, o fu davvero solo colpa mia?
E con queste, altre mille curiosità irrisolte, ma proprio anche piccole e dimenticabili in vita, altrimenti a cosa servirebbero i pin mentali che metto?
Quando mi capita, basta un pensiero e dio, o chi per lui sta al banco dei pin, già sa quello che deve fare.
Anche dolcemetà c'ha una bella curiosità da soddisfare, ma siccome lei non l'ha aperto il canale preferenziale del pin, me la sono appuntata io per lei, lei che vorrebbe avere tutte le foto in cui è entrata per caso.
Dai, capo, ce la possiamo fare.
Quindi mi aspetto che - da morto, ché prima mi sa è difficile - dio, o chi per lui, mi riceva davanti a un banchino, una sorta di postazione, e che, con non so quale artefizio mediatico, mi faccia rivedere/riascoltare e mi spieghi i passaggi della mia esistenza che mi ero appuntato.
Faccio un esempio, quel fiorellino sotto la tazza della colazione alla Pensione Miraggio di Rimini... chi ce l'ha messo? Non lo saprò in questa vita, ma dopo ci conto.
E quel cellulare, prima della cresima di figlio uno, ma chi l'aveva poi rubato?
E quella volta in campeggio, chi mi scambiò il sale con lo zucchero, o fu davvero solo colpa mia?
E con queste, altre mille curiosità irrisolte, ma proprio anche piccole e dimenticabili in vita, altrimenti a cosa servirebbero i pin mentali che metto?
Quando mi capita, basta un pensiero e dio, o chi per lui sta al banco dei pin, già sa quello che deve fare.
Anche dolcemetà c'ha una bella curiosità da soddisfare, ma siccome lei non l'ha aperto il canale preferenziale del pin, me la sono appuntata io per lei, lei che vorrebbe avere tutte le foto in cui è entrata per caso.
Dai, capo, ce la possiamo fare.
5 ottobre 2015
Calcio 2.0
(Roby: Gigi, non te la prendere se Hombre non ti ha mai visto in allenamento) |
Continuerai a non capirci nulla ma potrai spacciarti per il giannibrera di turno.
Lascia stare la difesa che non esiste più, nè tantomeno i difensori: c'è la fase difensiva o, meglio ancora, l'organizzazione difensiva, e ci sono i difendenti che sono tutti i calciatori di una squadra quando non sono in possesso di palla.
Attaccare gli spazi, ecco un'altra formuletta magica, che sembrerebbe destinata all'incollatore dei manifesti pubblicitari per strada e invece è roba calcistica: la squadra che vince è di certo quella che ha saputo meglio attaccare i fottuti spazi.
Ripiglia in mano il libro di geometria perché un'altra parola chiave è diagonale, i migliori son quelli che fanno le diagonali, e non sbagliarti con le bisettrici perché non sono la stessa cosa.
Altro concetto di cui puoi impastarti la bocca è il pressing ultraoffensivo che di solito lo fa il giocatore che ha gamba.
Occhio poi che stanno arrivando le transizioni, fai tue le transizioni adesso, eviterai la coda. E non aspettare che te le spieghi Caressa, sarà tardi.
Verticalizzare, ecco una sorta di jolly da usare per le vecchie azioni d'attacco.
Ah, e mi raccomando lascia stare le punizioni e i calci d'angolo, è roba da matusa, esistono solo situazioni da palla inattiva.
Bisogna poi che parli di accorciare e di circolazione di palla.
Il contropiede l'aveva già seppellito Sacchi, ma pure la ripartenza veloce sta perdendo il suo fascino.
Cita un giocatore a caso, portiere escluso, e commenta: Io lo vedo meglio come esterno basso. Caschi sempre da ritto.
E se la tua squadra ha perso non è che ha schierato troppi scarponi, mancava soltanto d'intensità.
Un'altra cosa, quelli che cominciano a parlar di numeri e di moduli, di quattrotretre di quattroquattrounouno di trecinquedue o di qualsiasi altra composizione numerica a somma dieci, ecco, quelli scànsali come un libro di Moccia, sono il classico fumo dell'arrosto.
Ma il concetto imprescindibile di cui devi far sfoggio ogni tre per due è quello del tra le linee. Quando tocca a te butta sul commentario una frase tipo "La chiave della partita è stata Bernardeschi tra le linee" o "Hai visto com'è abile Bernardeschi a farsi pescare tra le linee?".
Io lo so che tu pensi eccierto che Bernardeschi gioca tra le linee, per forza, come tutti gli altri, non è che uno debba giocare fuori dal campo. Ci son le linee apposta a delimitare, è chiaro che uno gioca tra le linee, non ci vuole il mago Herrera per insegnare a un calciatore a giocare tra le linee.
Epperò è così: solo se comincerai a infarcire i tuoi resoconti pallonari con qualche bel tra le linee potrai aspirare a una posizione di rispetto tra tutti i tuoi amici che sanno di calcio.
2 ottobre 2015
Odio - sinfonia n. 5
odio iTunes
odio le cicche per terra
odio iTunes
odio i bolloni della coop
odio iTunes
odio le ditate sullo schermo
odio iTunes
odio il copridivano rinfrinzellato
odio iTunes
odio l'appiccicaticcio fuori dai barattoli di marmellata
odio iTunes
odio le scuse del ritardatario
odio iTunes
odio la polo dentro i calzoni
odio iTunes
odio i motorini a tre ruote
odio iTunes
odio la tramontana
odio iTunes
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Odio, altre sinfonie: n. 1 - n. 2 - n. 3 - n. 4
29 settembre 2015
Quella volta a Modena con Nosei
Ecco un mestiere che mi sarebbe piaciuto fare: il ghostwriter di Stefano Nosei, qualora
il fenomeno delle canzonette col testo rifatto avesse continuato a funzionare come
allora.
Nosei nel 1993 si era appena ricordato delle Lasagne Verdi quando quelli di Comix ci invitarono per un pranzo con il nostro. Dopo mangiato, Nosei con la chitarra cibloccò la digestione deliziò
intonando i "nostri" pezzi unplugged.
È una pagina abbastanza vergognosa della mia esistenza, concordo anticipatamente con voi, ma è con vero sprezzo del pericolo che la voglio condividere.
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Sull'aria di "E ti ricordo ancora" - Fabio Concato
E TIRI AI TORDI ANCORA
E tiri ai tordi ancora
ai merli in gabbia di mio fratello
ed alla tortóra
la quaglia stanca
costretta a farsi un po' da parte
quando mirasti alla pernice bianca.
..................................
E tiri ai tordi ancora
dimmi "è cambiata la tua mira da allora"
chissà se spari ancora agli animali
o se ti commuovi davanti a un "cip"
E tiri ai tordi ancora
nei pomeriggi di primavera dentro al bosco
tu che sparavi a un'aquila reale
vammela a pigliare che si fa arrosto
E tiri ai tordi ancora
quando scoprirono che cacciavi un po' di frodo
e mi ricordo che ti tremavano le mani
ma la guardia la forasti a colabrodo
E tiri ai tordi ancora
dimmi "è cambiata la tua mira da allora"
chissà se spari ancora agli animali
o se ti commuovi davanti a un "cip"
o se ti commuovi davanti a un "cip"
o se ti commuovi davanti a un "cip"
_______________________________________
Sull'aria di "Non amarmi" - Aleandro Baldi / Francesca Alotta
NON HA MARMI
Dimmi perché piangi
non ce la fo più
e perché non mangi
volerò lassù
dimmi perché stringi la pistola forte
contro la tua tempia forse vuoi la morte?
Forse mi conviene
questo non lo so
bucarmi il testone
dubbi non ne ho
anche se la tomba non potrà agghindarmi
il marmista pare abbia finito i marmi
Non ha marmi per il busto e nemmeno per il resto
non ha marmi e la scultura me la fa forse col gesso
non ha marmi e se mi sparo cosa resterà di me
una croce con su scritto "va' che sculo, marmi non ce n'è!"
Non ha marmi son finiti è vero
Non ha marmi per il mio epitaffio il marmista al cimitero
ma puo' sempre rimediare se chiama Carrara
è sbagliando che s'impara
Non ha marmi ne ha ordinati pochi
senza tener conto che chi muore non preavvisa
Non ha marmi e mi fa paura non potere
avere una degna sepoltura
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Fu quel giorno che conobbi ella: la Darinka, ma quant'è brava!
Nosei nel 1993 si era appena ricordato delle Lasagne Verdi quando quelli di Comix ci invitarono per un pranzo con il nostro. Dopo mangiato, Nosei con la chitarra ci
È una pagina abbastanza vergognosa della mia esistenza, concordo anticipatamente con voi, ma è con vero sprezzo del pericolo che la voglio condividere.
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Sull'aria di "E ti ricordo ancora" - Fabio Concato
E TIRI AI TORDI ANCORA
E tiri ai tordi ancora
ai merli in gabbia di mio fratello
ed alla tortóra
la quaglia stanca
costretta a farsi un po' da parte
quando mirasti alla pernice bianca.
..................................
E tiri ai tordi ancora
dimmi "è cambiata la tua mira da allora"
chissà se spari ancora agli animali
o se ti commuovi davanti a un "cip"
E tiri ai tordi ancora
nei pomeriggi di primavera dentro al bosco
tu che sparavi a un'aquila reale
vammela a pigliare che si fa arrosto
E tiri ai tordi ancora
quando scoprirono che cacciavi un po' di frodo
e mi ricordo che ti tremavano le mani
ma la guardia la forasti a colabrodo
E tiri ai tordi ancora
dimmi "è cambiata la tua mira da allora"
chissà se spari ancora agli animali
o se ti commuovi davanti a un "cip"
o se ti commuovi davanti a un "cip"
o se ti commuovi davanti a un "cip"
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Sull'aria di "Non amarmi" - Aleandro Baldi / Francesca Alotta
NON HA MARMI
Dimmi perché piangi
non ce la fo più
e perché non mangi
volerò lassù
dimmi perché stringi la pistola forte
contro la tua tempia forse vuoi la morte?
Forse mi conviene
questo non lo so
bucarmi il testone
dubbi non ne ho
anche se la tomba non potrà agghindarmi
il marmista pare abbia finito i marmi
Non ha marmi per il busto e nemmeno per il resto
non ha marmi e la scultura me la fa forse col gesso
non ha marmi e se mi sparo cosa resterà di me
una croce con su scritto "va' che sculo, marmi non ce n'è!"
Non ha marmi son finiti è vero
Non ha marmi per il mio epitaffio il marmista al cimitero
ma puo' sempre rimediare se chiama Carrara
è sbagliando che s'impara
Non ha marmi ne ha ordinati pochi
senza tener conto che chi muore non preavvisa
Non ha marmi e mi fa paura non potere
avere una degna sepoltura
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23 settembre 2015
Le parole che ti ho detto (2)
Statistica aggiornata, riferita agli ultimi quattro anni, delle espressioni più frequentemente rivolte a figlio 2:
- France sei pronto?
- Cosa avete fatto oggi?
- I calziniii!
- Spegni quell'affare!
- Buongiorno eh?!?
- Il pigiamaaa!
- Questo sarebbe "lavarsi i denti"?
- Attento c'è le macchine.
- Queste scarpe qui?
- Abbassaaa!
Qui la versione precedente, sembra quasi che ci siano stati dei progressi. Sembra.
21 settembre 2015
Stavo giusto per comprare una Golf
Il crollo di un mito val bene qualche sfottò (e il cambio dello slogan).
Direttamente da twitter: film a tema Volkswagen sul canale #CineVW
Emissioni impossibili
@AlbanoColmo
L'ultima Lupo
@ZenZenit369
E alla fine arriva Polo
@mikydefra
Il maggiolino del capitano Corelli
@Riccardo_enki
La 25a Bora
@cabri71
Catalizzazione da Tiffany
@Zu_Janu
L'uomo senza Passat
@vancinimaria
Ha tutto gas
@myrtlejuice
20 settembre 2015
Pizze a domicilio
Maddalena non riusciva a digerire il fatto che questo tipo, questo amico di Claudio e Meri, questo Walter, con cui sarebbe uscita sabato, portasse davvero le pizze a domicilio.
Con Meri si vedevano dai tempi della scuola d’arte e da allora avevano fatto coppia fissa negli intervalli temporali che avevano attraversato senza un ragazzo. Maddalena conosceva tutto di Meri. Sapeva da quale dito dei piedi iniziava a smaltarsi le unghie – l’alluce del piede destro – sapeva in che posizione amava dormire – semifetale rivolta a destra – sapeva come impugnava la penna – con il medio esageratamente ingobbito – e che scriveva solo e soltanto di blu. Maddalena sapeva anche il nome del cachet che aveva più efficacia sull’amica, anche se erano trascorsi anni dall’ultima volta che gliene aveva visto prendere uno. Sapeva che cosa pensava delle ragazze tutte casa e chiesa, ma soprattutto, sapeva cosa pensava dei maschi grassi e di quelli smilzi, dei capelloni e dei rapati a zero, degli intellettualoidi e dei simpaticoni: poteva pescare tra mille ragazzi e, in un battibaleno, capire quello che avrebbe scelto Meri. Sapeva per certo che, anche lei per Meri, era una sorta di libro aperto e perciò, adesso, si chiedeva inorridita perché Meri, in combutta con il suo fidanzato Claudio, le volesse in qualche modo propinare questo Walter portatore di pizze a domicilio e di Dio sa cos’altro.
Si erano viste quella mattina verso le undici, nell’intervallo caffè. Lavoravano entrambe in centro, Meri si era sistemata come commessa in un negozio di abbigliamento e Maddalena si era infiltrata in uno studio legale archiviando – peraltro con una certa grazia – quelle tre o quattro pratiche al giorno.
“È uno ganzo” le aveva detto Meri intendendo Walter. “Intendo Walter” proseguì, sgranando gli occhi verso Maddalena.
“E’ un amico di Claudio, si sono conosciuti in palestra. Ha anche un bel fisico!”
Già qui, la buona vecchia Maddalena, ebbe il primo sussulto. Quando mai, in tutta la sua benedetta vita – si chiese – si era perduta nell’ammirazione vacua di un bicipite o di qualche tavoletta scolpita di addominali? Quando mai si era profusa in apprezzamenti al maschio virile e zeppo di muscoli, piuttosto che alla sua testa, al suo comportamento o al suo charme?
Come poteva, adesso Meri, candida candida, tratteggiarle questo bel fisico palestrato senza il rischio di essere mandata a quel paese? Beh, l’aveva appena fatto!
“E cosa fa?” chiese sospirando Maddalena a Meri, quando questa tornò dalla cassa del bar con lo scontrino. E Maddalena doveva avere una faccia schifata o parecchio dubbiosa, tant’è che Meri si sentì in dovere di fornire delle spiegazioni di dettaglio.
“Cosa fa? Non mi ricordo… due caffè, grazie… va in palestra, no? E poi studia architettura o roba simile. Un cervellone, davvero! Claudio dice che è uno in gamba. Anche con la testa, è a posto. Per chi mi hai preso? Non ti farei certo conoscere uno sfigato da quattro soldi”.
Si bevvero il caffè, dopo che Maddalena aveva versato lo zucchero in tutte e due le tazzine, per Meri il solito cucchiaino e un po’.
Meri proseguì: “E’ uno che si fa il mazzo all’università e poi lavora pure, sai… per pagarsi gli studi. Porta le pizze a domicilio, mi pare”.
Tutto qua. Si erano lasciate all’angolo. Non c’erano state altre succose anticipazioni, né per telefono né a voce. Solo un gran rimuginare, da parte di Maddalena.
Porta le pizze a domicilio, mi pare. Cavolo, non erano passati dieci minuti, che già tutte le sue aspettative si erano aggrumate intorno a quel mi pare. Magari Meri sbagliava. Non che fosse così affidabile nel ricordarsi quello che faceva la gente, anzi, c’era portata com’era portata al cricket.
E non era certo per un problema di memoria. Quello che faceva la gente non le interessava e lei ascoltava con superficialità, se ascoltava. D’accordo che potevi vederla dondolare rassicurante la testa in su e in giù, ma era squisita apparenza: non si rammentava poi di un fico secco. Ci fosse stata a scuola una materia tipo la Quellochefalagentologia, scontato che Meri avrebbe dovuto pagarsi le sue belle ripetizioni per essere promossa a giugno.
Non che Meri potesse confondere uno che porta le pizze a domicilio con quello che si presenta a casa tua munito dell’attrezzatura per sterilizzarti il soggiorno, o con quello che gira con le valigie stipate di pentole e tegami e ti viene a lessare le verdure senz’acqua, questo no – del resto Maddalena non si sarebbe volentieri contaminata neppure con questi figuri – semplicemente, poteva aver fatto confusione con un altro amico del quale Claudio le aveva magari parlato, Dio sa in quale altro momento, ma che non avesse nulla da spartire con Walter: il predestinato del prossimo sabato. D’altra parte, le palestre sono piene di laureandi in architettura che tra una serie alla panca e un giro sulla cyclette, si svagano portando migliaia di pizze di qua e di là.
O forse Walter aveva solo portato delle pizze a domicilio. In passato, e magari solo qualcuna! Questo, era logico, prima di accorgersi dell’errore e ripiegare su un lavoro meno… meno… non sapeva neppure lei esattamente meno che cosa. Di certo c’era un dannato aggettivo, nascosto in una dannata pagina di un dannatissimo dizionario, che potevi abbinare a quel meno. Un aggettivo che rendesse l’idea di quanto non le piacesse dover uscire, scambiare delle smancerie, sfoderare finti sorrisi, stringere mani o baciare guance, buttare là dei come ti va la vita? o dei l’hai sentito l’ultimo dei Green Day?, con un tizio che, nel tempo libero, amava andarsene in giro, con un motorino color evidenziatore e con una casacca in tinta, a scarrozzare delle capricciose per la città.
Per dirla tutta non avrebbe digerito di farsi vedere in giro con nessuno che portasse della roba a domicilio, fosse pure il tesoro della corona.
Seppure inizialmente non ci sperasse molto, che Meri avesse preso un granchio e tutto il resto, Maddalena andò via via convincendosi che Walter potesse aver portato qualche pizza a domicilio in un’altra era geologica. D’altra parte, anche stando così le cose, non era una prospettiva entusiasmante passare la serata del sabato in compagnia di uno che aveva portato pizze a domicilio. Anche se era preferibile – seppure di qualche micron – al deprimente sabato sera davanti alla tivù a sorbirsi le mielose performance di mal assortite coppiettine danzanti.
Sabato passarono a prendere Maddalena per ultima e, tutti in macchina di Claudio, attraversarono la città per andare al McNamara Irish Pub: un vero pub, gestito da un vero irlandese, nella vera periferia nord.
“E’ un ambiente carino. Sembra uno di quei pub di Dublino che si vedono nei film. C’è quasi sempre musica dal vivo e servono una birra speciale!” disse Walter, che aveva proposto il locale.
“Ottimo” disse Maddalena, che amava la birra quanto accarezzare una mezza dozzina di gatti rognosi.
Durante il tragitto l’atmosfera non si sciolse. Per lo più, gli altri tre ascoltarono Claudio che, essendo allergico ai silenzi più lunghi di qualche secondo, riusciva a disquisire su tutto. Principalmente parlò – prendendo spunto da un tipo che gli aveva mezzo tagliato la strada – a proposito di quei cretini che, siccome hanno messo la freccia, si sentono in diritto di farti di tutto: tipo cambiare corsia due metri davanti a te, tipo zigzagare per dei chilometri, tipo spiaccicarti su un paracarro in autostrada. “Capaci che, siccome hanno messo la freccia, si sentano in diritto anche di trombarti la nonna!”.
Il locale, bisogna dirlo, era carino, con luci soffuse sull’arancione e un bell’arredamento in legno massello. Un complesso di cinque giovanotti in jeans e maglietta bianca che ricordavano, piuttosto che una band di Dublino, il primo Miguel Bosé - quello di Super Superman per intenderci - si impegnava nel riproporre una filza di balordi e datati successi: un misto di rock a basso lignaggio e disco music. Dal nome, scolorito nella prima lettera, sulla grancassa, potevano forse essere i Tired Crew, o forse i Wired Crew, o magari i Fired Crew o comunque: i qualche-altra-cosa Crew. Se non dovevi proprio fare un talk-show e non pretendevi di comprendere ogni spiccicata parola dei tuoi compagni di bevuta, beh… era un posto ideale.
Claudio dava le spalle alla band, almeno in origine, ma se ne stava, praticamente fisso, a guardarli suonare avvitato sulla sua sedia.
“Forti, eh?” ripeteva ad intervalli regolari, praticamente ad ogni pezzo. Non di rado, li accompagnava persino con la sua immaginaria batteria.
“Ti piace la musica anni settanta?” chiese Walter a Maddalena, cercando di allentare la tensione dell’appuntamento al buio.
“Come?” disse lei. “Non sento, con questi che fanno casino…”.
“Ah, niente niente…” disse Walter, accompagnando il commento con un gesto della mano dall’alto verso il basso che voleva significare non è importante, ma che Maddalena interpretò come lascia fare, non puoi capire.
In effetti, se vi capita di portare delle pizze a domicilio, se l’avete fatto in passato o se qualcuno pensa che l’abbiate fatto e, dentro un pub dove fanno musica dal vivo a un milione di decibel, dovete dare una spiegazione ad una ragazza che odia la birra, forse è meglio che evitiate di accompagnare le vostre parole con un qualsiasi gesto della mano. Aggrappatevi al vostro boccale di birra, cacciatevi entrambe le vostre fottute mani in tasca o, al limite – non devo dirvi tutto io – accompagnate i quel-che-sono Crew con una bella batteria immaginaria; ma non fate gesti che si possano equivocare, per carità!
“Come, niente niente? Che dicevi?” chiese Maddalena, tra il seccato e il morboso.
“Nulla. Ti chiedevo soltanto se ti piace la musica anni settanta?” disse Walter, facendo un altro gesto con la mano ad indicare lì attorno. Era un professionista del gesticolare, a quanto pareva.
“Sarebbe questa?” chiese Maddalena, urlando di proposito per manifestare una certa disapprovazione.
Claudio era sempre voltato verso il piccolo palco e ondulava ritmicamente la testa accompagnando in quel momento gli emuli dei Santa Esmeralda che pregavano la loro Baby di non lasciare – per favore – che li fraintendesse.
Walter si limitò ad assentire, inarcando le sopracciglia: probabilmente era quella la musica anni settanta.
E Maddalena avrebbe anche potuto dire che le piaceva e che nella sua cameretta si erano succeduti i poster dei Boney M., quello di Donna Summer e quello di Patrick Hernandez – anche se non era vero vero, aveva solo comprato alcuni dei loro quarantacinque giri – ma prima c’era da chiarire la faccenda delle pizze a domicilio.
“Non ci perdo la testa” disse Maddalena, atteggiandosi un po’. Si riferiva alla musica anni settanta. O a quello che era.
Meri fingeva indifferenza e pareva immersa nell’ascolto dell’esibizione dei quel-che-cavolo-fossero Crew, ma in realtà non mollava una sillaba del dialogo Maddalena - Walter.
Non ci perdo la testa, era un intercalare abbastanza tipico per Maddalena. Era un suo limite, poverina: non riusciva a smozzicare lì un sì o un no secco. Si sentiva sminuita e temeva di non risultare abbastanza interessante rispondendo solo sì o solo no. Allora aveva elaborato tutta una serie di perifrasi, allo scopo di impreziosire l’eloquio e, di seguito, la sua peraltro già amabile personcina. Non è il tipo di donna che si sposerà presto, la nostra Maddalena, ma se dovesse arrivare al cospetto del prete per rispondere alla fatidica domanda “Vuoi tu Maddalena come-ti-chiami prendere il qui presente cristo come-si-chiama come tuo sposo?” la potreste tranquillamente sentire rispondere “puoi scommetterci!” oppure “non ho alcuna intenzione di oppormi!”
Ordinarono birra, a parte Maddalena che, dopo avere vivisezionato il menu, saltando da una focaccia alle verdure ad una coppa con gelato di frutta, da uno spumante dolce ad un crostone al prosciutto, si fece portare un vero Irish coffee.
“E’ sempre così pieno qui?” chiese Meri a Walter, che passava per il conoscitore del locale.
“Beh, sì. Almeno… le altre due volte che ci sono stato era così. Una sera abbiamo persino bevuto al bancone, non c’è stato verso di sedersi!” disse Walter, stringendo le sue dita a grappolo verso l’alto per mostrare quanta gente e quanto stretta ci fosse stata in quell’occasione.
“Ecco, io se rinasco, giuro, metto su un localino come questo” fece Claudio senza girarsi del tutto, ma solo di qualche grado e solo per l’attimo necessario ad una pescata dal coccio delle patate fritte. “Conosci un sacco di gente, lavori dalle nove di sera in poi, e fai un sacco di soldi. Altro che studiare fino a trent’anni!”. A dirla tutta, non c’era cosa che Claudio non trovasse gradevole e conveniente fare, ovviamente, se fosse rinato. Aveva fatto epoca quella volta che si era accalorato a sostegno del fatto che avrebbe preferito spalare carbone in una miniera, piuttosto che subire una coercizione allo studio per arrivare, a dispetto dei santi, a quel benedetto pezzo di carta – qui si esibiva in una voce cavernosa che avrebbe dovuto evocare, secondo l’intento di Claudio, suo padre – studio che sarebbe servito, al massimo, a renderti capace di usare vocaboli come coercizione. Questo secondo lui, e se proprio ti andava di lusso.
Finalmente la chiacchierata si stava incanalando sui binari di quello la gente fa o vorrebbe fare. Maddalena si preparò a colpire, mentre il livello d’attenzione di Meri sprofondò praticamente in un pozzo artesiano.
Maddalena fece scorrere un altro po’ di parole cercando di commentare sagacemente ogni argomento per dimostrare l’ampiezza sconsiderata dei suoi interessi, in primo luogo, per prepararsi il terreno e poi per non dare nell’occhio.
“Ho saputo da Meri che sei una specie di pony-express della pizza” disse Maddalena nemmeno guardando Walter, anzi riservando la sua attenzione massima ai quel-che-erano Crew e alla loro performance, anche se – era ormai chiaro a tutti – non ci stava perdendo la testa per loro.
Parlò proprio di pony-express, nel tentativo di risollevare la professione ai suoi stessi occhi e finse disinteresse, prima alla sua stessa domanda e poi alla risposta.
Walter stava bevendo la sua rossa doppio malto, ebbe appena il tempo di sconcertarsi che Claudio, parve risvegliarsi e, senza dare peso alla cosa, precisò: “Macché, quello è Nicola, è un altro che viene in palestra…”.
“Ah, no no” si schermì Walter, appena posò il bicchiere, gesticolò anche con le mani per dire magari, ma Maddalena non seppe distinguere nel gesto niente di diverso da un ci mancherebbe!
“Magari!” disse Walter, “lo studio non mi lascia proprio il tempo”.
“Ringrazia il cielo, no?” disse Maddalena.
Walter si strinse nelle spalle e si guardò in giro alla ricerca dell’ispirazione: “Ti dirò… non mi dispiacerebbe essere un po’ più indipendente. A ventisette anni, dover chiedere ancora i soldi ai miei non è una bella cosa…”.
“Eh, dillo a me!” fece Meri in un rigurgito di attenzione. Con l’unghia, intanto, stava impegnandosi per tirare via l’etichetta dalla sua bottiglia di birra: “Non avevo nemmeno vent’anni quando sono entrata in quel buco, ma per lo meno ho sempre fatto come volevo, senza andare a pigolare dei soldi in giro”.
Per un attimo le loro vite parvero dipendere dalla buona riuscita del lavoretto di Meri. Tutti la fissarono mentre teneva l’etichetta con una mano e, con l’altra, roteava lentamente la bottiglia, reggendola per il collo e separandola per sempre dall’esplicazione del suo contenuto.
“Ad ogni modo, io avevo capito che tu portassi queste pizze, scusa” disse Meri, stendendo l’etichetta sul piano del tavolo e spiaccicandola con dei colpetti delle dita per spingere via l’aria da sotto.
“Scusa che? Nulla!” fece Walter.
“Perché, ti piacerebbe come lavoro?” buttò là Maddalena.
“Perché no? Tutto il giorno all’aria aperta, pochi problemi e responsabilità zero. Una pacchia! Vero Claudio? Claudio?”
“Sì. Ah, sì sì. Beh, penso di sì, almeno… Nicola dice di trovarsi bene, a parte che deve usare la mascherina per lo smog”.
“Tanto non serve a nulla” disse Meri. “Se davvero volessi una maschera anti-smog funzionante, dovresti usare quelle in dotazione all’esercito. L’ho letto su una rivista”.
Conosci una donna che legge una rivista e avrai una donna con mille certezze. E se c’è una sola schifosissima cosa che aiuta nella vita è: avere delle certezze! Anche quando sono sbagliate.
“Meglio che nulla sarà, no?” bofonchiò Claudio.
“No, se non funziona, è meglio nulla!” disse Meri, prima tirando su e poi stendendo di nuovo l’etichetta sul tavolo, in progressione, da una parte all’altra, per evitare che si formassero quelle fastidiose bollicine d’aria. Era necessario che l’etichetta aderisse perfettamente al tavolo, e non chiedete perché.
Maddalena piegò leggermente la testa verso destra, si mise di tre quarti rispetto al tavolo ed accavallò le gambe; aveva tutta l’intenzione di caricare al massimo la domanda successiva: “Ma davvero ti metteresti quella casacca giallo fosforescente per consegnare le pizze in giro, come fanno questi pivellini di sedici anni per pagarsi la vacanza a Rimini?”
Cercava di mantenersi il più possibile tedesca, ma temeva che dalla sua voce trasparisse il tono acido con il quale avrebbe voluto accompagnare quelle parole.
“Ma sì! Voglio dire, se pagano bene, che male c’è? Chissà quante pizze potrei scroccare e quante mance tirerei su. Io gli lascio sempre quelle due o tre euro quando mi faccio portare le pizze a casa” disse Walter.
“Ma… davvero?” chiese Maddalena, e non si riferiva alle mance. In quell’attimo era il boia che decideva di dare una possibilità al condannato a morte: praticamente gli stava chiedendo se voleva che lei gli abbattesse la scure tra capo e collo e gli staccasse via di netto quella stupida testa. Se lo voleva davvero.
Claudio smise per qualche secondo di sgranocchiare e di canterellare, Meri si mise a fissare la testa pelosa e zannuta di un cinghiale che usciva dalla parete di fronte – una roba decisamente fuori luogo e, di sicuro, mai appartenuta a nessuna rockstar – i fratelli poveri di Miguel Bosé, dal palco, sprofondarono di botto in un universo parallelo e, al tavolo dei nostri, nessuno poteva più sentirli. Walter realizzò di essere l’epicentro di quell’inverosimile buco di silenzio e sapeva che tutto sarebbe rimasto così – ovattato e lento, in un quasi fermo immagine – finché non si fosse deciso a dire la sua.
“Cristoddio, no!” disse, ridando il via al mondo. “Non penso che lo farei veramente! Troppo stress, sempre per strada, sempre a corsa, poi lo smog, la mascherina... no, scherzavo. Dicevo così… tanto per dire…”.
“Che mi frega, io lo farei!” disse Claudio e riprese a canticchiare, assieme ai quel-che-cazzo-fossero Crew, di come la fottutissima televisione avesse ucciso tutte quante le stelle della radio.
Beh, che Claudio lo facesse. Non gliene fregava di meno, a Maddalena. E, sembrava, poco anche a Meri. Quello che contava era che Walter non portasse proprio un bel niente a nessun domicilio creato e, tantomeno, si era azzardato a farlo in passato. In più, c’erano ottime possibilità che non lo avrebbe voluto fare in futuro.
“Ne chiediamo delle altre?” disse Meri, spostando lo sguardo dal muso del cinghiale al desolante vuoto nel cestino delle patatine.
“Uhm, sì” e questo era Claudio.
Walter, che - a questo punto era palese - non portava pizze a domicilio, chiese a Maddalena cosa facesse lei nella vita.
“Oh… io lavoro in uno studio” disse lei.
Walter, che non aveva mai portato pizze a domicilio in passato, chiese a Maddalena di cosa di preciso si occupasse nello studio.
“Gestione di pratiche legali e quant’altro” disse lei.
Walter, che molto probabilmente non avrebbe mai in futuro portato pizze a domicilio, le chiese se le piacesse gestire quelle pratiche e tutto il resto.
“Non ci perdo la testa” disse lei.
Sì, Walter, ora che Maddalena lo valutava con più serenità, sembrava carino: aveva una voce da speaker della radio, aveva capelli puliti ed era rasato di fresco. Indossava una magnifica camicia bianca stirata alla perfezione e aveva delle mani assai curate per essere un uomo. Con quelle mani poteva certo permettersi di gesticolare, anzi avrebbe senz’altro dovuto imparare il linguaggio dei sordomuti e magari comunicare solo con quello, viste le mani!
Certo però c’era ancora qualcosa che Maddalena non riusciva a mandare giù, c’era ancora un tarlo che la rosicchiava dentro.
E credette di capire cos’era quando si convinse che Walter le aveva detto ciò che lei avrebbe voluto sentire e, quand’anche non fosse andata proprio così – siamo onesti – il ragazzo ci aveva scherzato su con tanta, troppa, leggerezza.
Forse si sbagliava, forse non era questo che la rodeva. Forse la disturbava soltanto il fatto che Walter, ipotizzando di cacciarsi in uno di quei giubbotti fosforescenti per la domiciliazione delle pizze, potesse permettersi di dire delle cose, così… tanto per dire. E, per di più, di sabato sera!
I quel-che-gli-pareva Crew attaccarono Black Betty e Claudio si girò verso gli altri:
“Chi la cantava… chi la cantava questa?”
Con Meri si vedevano dai tempi della scuola d’arte e da allora avevano fatto coppia fissa negli intervalli temporali che avevano attraversato senza un ragazzo. Maddalena conosceva tutto di Meri. Sapeva da quale dito dei piedi iniziava a smaltarsi le unghie – l’alluce del piede destro – sapeva in che posizione amava dormire – semifetale rivolta a destra – sapeva come impugnava la penna – con il medio esageratamente ingobbito – e che scriveva solo e soltanto di blu. Maddalena sapeva anche il nome del cachet che aveva più efficacia sull’amica, anche se erano trascorsi anni dall’ultima volta che gliene aveva visto prendere uno. Sapeva che cosa pensava delle ragazze tutte casa e chiesa, ma soprattutto, sapeva cosa pensava dei maschi grassi e di quelli smilzi, dei capelloni e dei rapati a zero, degli intellettualoidi e dei simpaticoni: poteva pescare tra mille ragazzi e, in un battibaleno, capire quello che avrebbe scelto Meri. Sapeva per certo che, anche lei per Meri, era una sorta di libro aperto e perciò, adesso, si chiedeva inorridita perché Meri, in combutta con il suo fidanzato Claudio, le volesse in qualche modo propinare questo Walter portatore di pizze a domicilio e di Dio sa cos’altro.
Si erano viste quella mattina verso le undici, nell’intervallo caffè. Lavoravano entrambe in centro, Meri si era sistemata come commessa in un negozio di abbigliamento e Maddalena si era infiltrata in uno studio legale archiviando – peraltro con una certa grazia – quelle tre o quattro pratiche al giorno.
“È uno ganzo” le aveva detto Meri intendendo Walter. “Intendo Walter” proseguì, sgranando gli occhi verso Maddalena.
“E’ un amico di Claudio, si sono conosciuti in palestra. Ha anche un bel fisico!”
Già qui, la buona vecchia Maddalena, ebbe il primo sussulto. Quando mai, in tutta la sua benedetta vita – si chiese – si era perduta nell’ammirazione vacua di un bicipite o di qualche tavoletta scolpita di addominali? Quando mai si era profusa in apprezzamenti al maschio virile e zeppo di muscoli, piuttosto che alla sua testa, al suo comportamento o al suo charme?
Come poteva, adesso Meri, candida candida, tratteggiarle questo bel fisico palestrato senza il rischio di essere mandata a quel paese? Beh, l’aveva appena fatto!
“E cosa fa?” chiese sospirando Maddalena a Meri, quando questa tornò dalla cassa del bar con lo scontrino. E Maddalena doveva avere una faccia schifata o parecchio dubbiosa, tant’è che Meri si sentì in dovere di fornire delle spiegazioni di dettaglio.
“Cosa fa? Non mi ricordo… due caffè, grazie… va in palestra, no? E poi studia architettura o roba simile. Un cervellone, davvero! Claudio dice che è uno in gamba. Anche con la testa, è a posto. Per chi mi hai preso? Non ti farei certo conoscere uno sfigato da quattro soldi”.
Si bevvero il caffè, dopo che Maddalena aveva versato lo zucchero in tutte e due le tazzine, per Meri il solito cucchiaino e un po’.
Meri proseguì: “E’ uno che si fa il mazzo all’università e poi lavora pure, sai… per pagarsi gli studi. Porta le pizze a domicilio, mi pare”.
Tutto qua. Si erano lasciate all’angolo. Non c’erano state altre succose anticipazioni, né per telefono né a voce. Solo un gran rimuginare, da parte di Maddalena.
Porta le pizze a domicilio, mi pare. Cavolo, non erano passati dieci minuti, che già tutte le sue aspettative si erano aggrumate intorno a quel mi pare. Magari Meri sbagliava. Non che fosse così affidabile nel ricordarsi quello che faceva la gente, anzi, c’era portata com’era portata al cricket.
E non era certo per un problema di memoria. Quello che faceva la gente non le interessava e lei ascoltava con superficialità, se ascoltava. D’accordo che potevi vederla dondolare rassicurante la testa in su e in giù, ma era squisita apparenza: non si rammentava poi di un fico secco. Ci fosse stata a scuola una materia tipo la Quellochefalagentologia, scontato che Meri avrebbe dovuto pagarsi le sue belle ripetizioni per essere promossa a giugno.
Non che Meri potesse confondere uno che porta le pizze a domicilio con quello che si presenta a casa tua munito dell’attrezzatura per sterilizzarti il soggiorno, o con quello che gira con le valigie stipate di pentole e tegami e ti viene a lessare le verdure senz’acqua, questo no – del resto Maddalena non si sarebbe volentieri contaminata neppure con questi figuri – semplicemente, poteva aver fatto confusione con un altro amico del quale Claudio le aveva magari parlato, Dio sa in quale altro momento, ma che non avesse nulla da spartire con Walter: il predestinato del prossimo sabato. D’altra parte, le palestre sono piene di laureandi in architettura che tra una serie alla panca e un giro sulla cyclette, si svagano portando migliaia di pizze di qua e di là.
O forse Walter aveva solo portato delle pizze a domicilio. In passato, e magari solo qualcuna! Questo, era logico, prima di accorgersi dell’errore e ripiegare su un lavoro meno… meno… non sapeva neppure lei esattamente meno che cosa. Di certo c’era un dannato aggettivo, nascosto in una dannata pagina di un dannatissimo dizionario, che potevi abbinare a quel meno. Un aggettivo che rendesse l’idea di quanto non le piacesse dover uscire, scambiare delle smancerie, sfoderare finti sorrisi, stringere mani o baciare guance, buttare là dei come ti va la vita? o dei l’hai sentito l’ultimo dei Green Day?, con un tizio che, nel tempo libero, amava andarsene in giro, con un motorino color evidenziatore e con una casacca in tinta, a scarrozzare delle capricciose per la città.
Per dirla tutta non avrebbe digerito di farsi vedere in giro con nessuno che portasse della roba a domicilio, fosse pure il tesoro della corona.
Seppure inizialmente non ci sperasse molto, che Meri avesse preso un granchio e tutto il resto, Maddalena andò via via convincendosi che Walter potesse aver portato qualche pizza a domicilio in un’altra era geologica. D’altra parte, anche stando così le cose, non era una prospettiva entusiasmante passare la serata del sabato in compagnia di uno che aveva portato pizze a domicilio. Anche se era preferibile – seppure di qualche micron – al deprimente sabato sera davanti alla tivù a sorbirsi le mielose performance di mal assortite coppiettine danzanti.
Sabato passarono a prendere Maddalena per ultima e, tutti in macchina di Claudio, attraversarono la città per andare al McNamara Irish Pub: un vero pub, gestito da un vero irlandese, nella vera periferia nord.
“E’ un ambiente carino. Sembra uno di quei pub di Dublino che si vedono nei film. C’è quasi sempre musica dal vivo e servono una birra speciale!” disse Walter, che aveva proposto il locale.
“Ottimo” disse Maddalena, che amava la birra quanto accarezzare una mezza dozzina di gatti rognosi.
Durante il tragitto l’atmosfera non si sciolse. Per lo più, gli altri tre ascoltarono Claudio che, essendo allergico ai silenzi più lunghi di qualche secondo, riusciva a disquisire su tutto. Principalmente parlò – prendendo spunto da un tipo che gli aveva mezzo tagliato la strada – a proposito di quei cretini che, siccome hanno messo la freccia, si sentono in diritto di farti di tutto: tipo cambiare corsia due metri davanti a te, tipo zigzagare per dei chilometri, tipo spiaccicarti su un paracarro in autostrada. “Capaci che, siccome hanno messo la freccia, si sentano in diritto anche di trombarti la nonna!”.
Il locale, bisogna dirlo, era carino, con luci soffuse sull’arancione e un bell’arredamento in legno massello. Un complesso di cinque giovanotti in jeans e maglietta bianca che ricordavano, piuttosto che una band di Dublino, il primo Miguel Bosé - quello di Super Superman per intenderci - si impegnava nel riproporre una filza di balordi e datati successi: un misto di rock a basso lignaggio e disco music. Dal nome, scolorito nella prima lettera, sulla grancassa, potevano forse essere i Tired Crew, o forse i Wired Crew, o magari i Fired Crew o comunque: i qualche-altra-cosa Crew. Se non dovevi proprio fare un talk-show e non pretendevi di comprendere ogni spiccicata parola dei tuoi compagni di bevuta, beh… era un posto ideale.
Claudio dava le spalle alla band, almeno in origine, ma se ne stava, praticamente fisso, a guardarli suonare avvitato sulla sua sedia.
“Forti, eh?” ripeteva ad intervalli regolari, praticamente ad ogni pezzo. Non di rado, li accompagnava persino con la sua immaginaria batteria.
“Ti piace la musica anni settanta?” chiese Walter a Maddalena, cercando di allentare la tensione dell’appuntamento al buio.
“Come?” disse lei. “Non sento, con questi che fanno casino…”.
“Ah, niente niente…” disse Walter, accompagnando il commento con un gesto della mano dall’alto verso il basso che voleva significare non è importante, ma che Maddalena interpretò come lascia fare, non puoi capire.
In effetti, se vi capita di portare delle pizze a domicilio, se l’avete fatto in passato o se qualcuno pensa che l’abbiate fatto e, dentro un pub dove fanno musica dal vivo a un milione di decibel, dovete dare una spiegazione ad una ragazza che odia la birra, forse è meglio che evitiate di accompagnare le vostre parole con un qualsiasi gesto della mano. Aggrappatevi al vostro boccale di birra, cacciatevi entrambe le vostre fottute mani in tasca o, al limite – non devo dirvi tutto io – accompagnate i quel-che-sono Crew con una bella batteria immaginaria; ma non fate gesti che si possano equivocare, per carità!
“Come, niente niente? Che dicevi?” chiese Maddalena, tra il seccato e il morboso.
“Nulla. Ti chiedevo soltanto se ti piace la musica anni settanta?” disse Walter, facendo un altro gesto con la mano ad indicare lì attorno. Era un professionista del gesticolare, a quanto pareva.
“Sarebbe questa?” chiese Maddalena, urlando di proposito per manifestare una certa disapprovazione.
Claudio era sempre voltato verso il piccolo palco e ondulava ritmicamente la testa accompagnando in quel momento gli emuli dei Santa Esmeralda che pregavano la loro Baby di non lasciare – per favore – che li fraintendesse.
Walter si limitò ad assentire, inarcando le sopracciglia: probabilmente era quella la musica anni settanta.
E Maddalena avrebbe anche potuto dire che le piaceva e che nella sua cameretta si erano succeduti i poster dei Boney M., quello di Donna Summer e quello di Patrick Hernandez – anche se non era vero vero, aveva solo comprato alcuni dei loro quarantacinque giri – ma prima c’era da chiarire la faccenda delle pizze a domicilio.
“Non ci perdo la testa” disse Maddalena, atteggiandosi un po’. Si riferiva alla musica anni settanta. O a quello che era.
Meri fingeva indifferenza e pareva immersa nell’ascolto dell’esibizione dei quel-che-cavolo-fossero Crew, ma in realtà non mollava una sillaba del dialogo Maddalena - Walter.
Non ci perdo la testa, era un intercalare abbastanza tipico per Maddalena. Era un suo limite, poverina: non riusciva a smozzicare lì un sì o un no secco. Si sentiva sminuita e temeva di non risultare abbastanza interessante rispondendo solo sì o solo no. Allora aveva elaborato tutta una serie di perifrasi, allo scopo di impreziosire l’eloquio e, di seguito, la sua peraltro già amabile personcina. Non è il tipo di donna che si sposerà presto, la nostra Maddalena, ma se dovesse arrivare al cospetto del prete per rispondere alla fatidica domanda “Vuoi tu Maddalena come-ti-chiami prendere il qui presente cristo come-si-chiama come tuo sposo?” la potreste tranquillamente sentire rispondere “puoi scommetterci!” oppure “non ho alcuna intenzione di oppormi!”
Ordinarono birra, a parte Maddalena che, dopo avere vivisezionato il menu, saltando da una focaccia alle verdure ad una coppa con gelato di frutta, da uno spumante dolce ad un crostone al prosciutto, si fece portare un vero Irish coffee.
“E’ sempre così pieno qui?” chiese Meri a Walter, che passava per il conoscitore del locale.
“Beh, sì. Almeno… le altre due volte che ci sono stato era così. Una sera abbiamo persino bevuto al bancone, non c’è stato verso di sedersi!” disse Walter, stringendo le sue dita a grappolo verso l’alto per mostrare quanta gente e quanto stretta ci fosse stata in quell’occasione.
“Ecco, io se rinasco, giuro, metto su un localino come questo” fece Claudio senza girarsi del tutto, ma solo di qualche grado e solo per l’attimo necessario ad una pescata dal coccio delle patate fritte. “Conosci un sacco di gente, lavori dalle nove di sera in poi, e fai un sacco di soldi. Altro che studiare fino a trent’anni!”. A dirla tutta, non c’era cosa che Claudio non trovasse gradevole e conveniente fare, ovviamente, se fosse rinato. Aveva fatto epoca quella volta che si era accalorato a sostegno del fatto che avrebbe preferito spalare carbone in una miniera, piuttosto che subire una coercizione allo studio per arrivare, a dispetto dei santi, a quel benedetto pezzo di carta – qui si esibiva in una voce cavernosa che avrebbe dovuto evocare, secondo l’intento di Claudio, suo padre – studio che sarebbe servito, al massimo, a renderti capace di usare vocaboli come coercizione. Questo secondo lui, e se proprio ti andava di lusso.
Finalmente la chiacchierata si stava incanalando sui binari di quello la gente fa o vorrebbe fare. Maddalena si preparò a colpire, mentre il livello d’attenzione di Meri sprofondò praticamente in un pozzo artesiano.
Maddalena fece scorrere un altro po’ di parole cercando di commentare sagacemente ogni argomento per dimostrare l’ampiezza sconsiderata dei suoi interessi, in primo luogo, per prepararsi il terreno e poi per non dare nell’occhio.
“Ho saputo da Meri che sei una specie di pony-express della pizza” disse Maddalena nemmeno guardando Walter, anzi riservando la sua attenzione massima ai quel-che-erano Crew e alla loro performance, anche se – era ormai chiaro a tutti – non ci stava perdendo la testa per loro.
Parlò proprio di pony-express, nel tentativo di risollevare la professione ai suoi stessi occhi e finse disinteresse, prima alla sua stessa domanda e poi alla risposta.
Walter stava bevendo la sua rossa doppio malto, ebbe appena il tempo di sconcertarsi che Claudio, parve risvegliarsi e, senza dare peso alla cosa, precisò: “Macché, quello è Nicola, è un altro che viene in palestra…”.
“Ah, no no” si schermì Walter, appena posò il bicchiere, gesticolò anche con le mani per dire magari, ma Maddalena non seppe distinguere nel gesto niente di diverso da un ci mancherebbe!
“Magari!” disse Walter, “lo studio non mi lascia proprio il tempo”.
“Ringrazia il cielo, no?” disse Maddalena.
Walter si strinse nelle spalle e si guardò in giro alla ricerca dell’ispirazione: “Ti dirò… non mi dispiacerebbe essere un po’ più indipendente. A ventisette anni, dover chiedere ancora i soldi ai miei non è una bella cosa…”.
“Eh, dillo a me!” fece Meri in un rigurgito di attenzione. Con l’unghia, intanto, stava impegnandosi per tirare via l’etichetta dalla sua bottiglia di birra: “Non avevo nemmeno vent’anni quando sono entrata in quel buco, ma per lo meno ho sempre fatto come volevo, senza andare a pigolare dei soldi in giro”.
Per un attimo le loro vite parvero dipendere dalla buona riuscita del lavoretto di Meri. Tutti la fissarono mentre teneva l’etichetta con una mano e, con l’altra, roteava lentamente la bottiglia, reggendola per il collo e separandola per sempre dall’esplicazione del suo contenuto.
“Ad ogni modo, io avevo capito che tu portassi queste pizze, scusa” disse Meri, stendendo l’etichetta sul piano del tavolo e spiaccicandola con dei colpetti delle dita per spingere via l’aria da sotto.
“Scusa che? Nulla!” fece Walter.
“Perché, ti piacerebbe come lavoro?” buttò là Maddalena.
“Perché no? Tutto il giorno all’aria aperta, pochi problemi e responsabilità zero. Una pacchia! Vero Claudio? Claudio?”
“Sì. Ah, sì sì. Beh, penso di sì, almeno… Nicola dice di trovarsi bene, a parte che deve usare la mascherina per lo smog”.
“Tanto non serve a nulla” disse Meri. “Se davvero volessi una maschera anti-smog funzionante, dovresti usare quelle in dotazione all’esercito. L’ho letto su una rivista”.
Conosci una donna che legge una rivista e avrai una donna con mille certezze. E se c’è una sola schifosissima cosa che aiuta nella vita è: avere delle certezze! Anche quando sono sbagliate.
“Meglio che nulla sarà, no?” bofonchiò Claudio.
“No, se non funziona, è meglio nulla!” disse Meri, prima tirando su e poi stendendo di nuovo l’etichetta sul tavolo, in progressione, da una parte all’altra, per evitare che si formassero quelle fastidiose bollicine d’aria. Era necessario che l’etichetta aderisse perfettamente al tavolo, e non chiedete perché.
Maddalena piegò leggermente la testa verso destra, si mise di tre quarti rispetto al tavolo ed accavallò le gambe; aveva tutta l’intenzione di caricare al massimo la domanda successiva: “Ma davvero ti metteresti quella casacca giallo fosforescente per consegnare le pizze in giro, come fanno questi pivellini di sedici anni per pagarsi la vacanza a Rimini?”
Cercava di mantenersi il più possibile tedesca, ma temeva che dalla sua voce trasparisse il tono acido con il quale avrebbe voluto accompagnare quelle parole.
“Ma sì! Voglio dire, se pagano bene, che male c’è? Chissà quante pizze potrei scroccare e quante mance tirerei su. Io gli lascio sempre quelle due o tre euro quando mi faccio portare le pizze a casa” disse Walter.
“Ma… davvero?” chiese Maddalena, e non si riferiva alle mance. In quell’attimo era il boia che decideva di dare una possibilità al condannato a morte: praticamente gli stava chiedendo se voleva che lei gli abbattesse la scure tra capo e collo e gli staccasse via di netto quella stupida testa. Se lo voleva davvero.
Claudio smise per qualche secondo di sgranocchiare e di canterellare, Meri si mise a fissare la testa pelosa e zannuta di un cinghiale che usciva dalla parete di fronte – una roba decisamente fuori luogo e, di sicuro, mai appartenuta a nessuna rockstar – i fratelli poveri di Miguel Bosé, dal palco, sprofondarono di botto in un universo parallelo e, al tavolo dei nostri, nessuno poteva più sentirli. Walter realizzò di essere l’epicentro di quell’inverosimile buco di silenzio e sapeva che tutto sarebbe rimasto così – ovattato e lento, in un quasi fermo immagine – finché non si fosse deciso a dire la sua.
“Cristoddio, no!” disse, ridando il via al mondo. “Non penso che lo farei veramente! Troppo stress, sempre per strada, sempre a corsa, poi lo smog, la mascherina... no, scherzavo. Dicevo così… tanto per dire…”.
“Che mi frega, io lo farei!” disse Claudio e riprese a canticchiare, assieme ai quel-che-cazzo-fossero Crew, di come la fottutissima televisione avesse ucciso tutte quante le stelle della radio.
Beh, che Claudio lo facesse. Non gliene fregava di meno, a Maddalena. E, sembrava, poco anche a Meri. Quello che contava era che Walter non portasse proprio un bel niente a nessun domicilio creato e, tantomeno, si era azzardato a farlo in passato. In più, c’erano ottime possibilità che non lo avrebbe voluto fare in futuro.
“Ne chiediamo delle altre?” disse Meri, spostando lo sguardo dal muso del cinghiale al desolante vuoto nel cestino delle patatine.
“Uhm, sì” e questo era Claudio.
Walter, che - a questo punto era palese - non portava pizze a domicilio, chiese a Maddalena cosa facesse lei nella vita.
“Oh… io lavoro in uno studio” disse lei.
Walter, che non aveva mai portato pizze a domicilio in passato, chiese a Maddalena di cosa di preciso si occupasse nello studio.
“Gestione di pratiche legali e quant’altro” disse lei.
Walter, che molto probabilmente non avrebbe mai in futuro portato pizze a domicilio, le chiese se le piacesse gestire quelle pratiche e tutto il resto.
“Non ci perdo la testa” disse lei.
Sì, Walter, ora che Maddalena lo valutava con più serenità, sembrava carino: aveva una voce da speaker della radio, aveva capelli puliti ed era rasato di fresco. Indossava una magnifica camicia bianca stirata alla perfezione e aveva delle mani assai curate per essere un uomo. Con quelle mani poteva certo permettersi di gesticolare, anzi avrebbe senz’altro dovuto imparare il linguaggio dei sordomuti e magari comunicare solo con quello, viste le mani!
Certo però c’era ancora qualcosa che Maddalena non riusciva a mandare giù, c’era ancora un tarlo che la rosicchiava dentro.
E credette di capire cos’era quando si convinse che Walter le aveva detto ciò che lei avrebbe voluto sentire e, quand’anche non fosse andata proprio così – siamo onesti – il ragazzo ci aveva scherzato su con tanta, troppa, leggerezza.
Forse si sbagliava, forse non era questo che la rodeva. Forse la disturbava soltanto il fatto che Walter, ipotizzando di cacciarsi in uno di quei giubbotti fosforescenti per la domiciliazione delle pizze, potesse permettersi di dire delle cose, così… tanto per dire. E, per di più, di sabato sera!
I quel-che-gli-pareva Crew attaccarono Black Betty e Claudio si girò verso gli altri:
“Chi la cantava… chi la cantava questa?”
17 settembre 2015
Left & right
La prima regola delle cuffiette recita:
Se tutte le persone osservassero le leggi del quieto vivere e della buona educazione con la stessa pedissequa ostinazione con la quale rispettano il destro e sinistro negli auricolari vivremmo in un mondo ideale.
È veramente ammirevole l'impegno che mettiamo alla ricerca di quella piccola L o R per introdurla nella cavità auricolare deputata. Come se invertendole di orecchio la musica che ci veicolano potesse perforarci i timpani o mandarci in pappa il cervello o, a furia di ascolti rovesci, metterci in contatto chissà mai con Belzebù.
Tira via in teatro o al cine, lì capisco che il suono possa e debba ricondursi anche razionalmente allo spazio e alla direzione in cui si promana.
Ma a me, singolo individuo posizionato casualmente nel mondo, che differenza mi farà mai se l'elicottero dei Pink Floyd mi arriva da destra piuttosto che da sinistra?
Eppure anch'io la cerco l'indicazione del left o del right, tante volte mi fermasse un ispettore mentre corro lungo il borro.
Se tutte le persone osservassero le leggi del quieto vivere e della buona educazione con la stessa pedissequa ostinazione con la quale rispettano il destro e sinistro negli auricolari vivremmo in un mondo ideale.
È veramente ammirevole l'impegno che mettiamo alla ricerca di quella piccola L o R per introdurla nella cavità auricolare deputata. Come se invertendole di orecchio la musica che ci veicolano potesse perforarci i timpani o mandarci in pappa il cervello o, a furia di ascolti rovesci, metterci in contatto chissà mai con Belzebù.
Tira via in teatro o al cine, lì capisco che il suono possa e debba ricondursi anche razionalmente allo spazio e alla direzione in cui si promana.
Ma a me, singolo individuo posizionato casualmente nel mondo, che differenza mi farà mai se l'elicottero dei Pink Floyd mi arriva da destra piuttosto che da sinistra?
Eppure anch'io la cerco l'indicazione del left o del right, tante volte mi fermasse un ispettore mentre corro lungo il borro.
15 settembre 2015
Le mie ambizioni musicali negli anni
(L'uomo in ammollo Franco Cerri) |
Più o meno, in un approssimato ordine cronologico, son questi:
- Essere Gianni Morandi
- Sposare Wilma Goich
- Scrivere una canzone copiando gli uccelli disposti sui fili elettrici
- Trovare la melodia di Mister Mandarino al pianoforte
- Sfondare con il mio pezzo "Mabel"
- Essere Robert Plant giovane
- Avere l'orecchio assoluto
- Suonare Sono solo canzonette come Bennato
- Sposare Donatella Rettore
- Riconoscere la marcia trionfale dell'Aida da cinque note
- Incidere io una strofa del Vitello dai piedi di balsa con Elio
- Imparare ad accordare la chitarra con il metodo Franco Cerri
- Essere un pinkfloyd, uno di quelli vivi
- Sposare Dolores O'Riordan
- Scrivere dei testi tipo Pasquale Panella
- Andare a Sarabanda
- Sposare Enzo Jannacci
- Capire i Nirvana
- Resuscitare Rino Gaetano
- Essere Robert Plant vecchio
- Sposare Adele
- Cantare Stairway to Heaven come questa crista qui.
Consuntivo sogni realizzati: 0 (zero).
12 settembre 2015
Williams stai Serena
(Vinci un asciugamano) |
Poco dopo, la numero uno del mondo ha ri-esultato per una smorzata in corridoio della nostra e ho pensato che il dio del tennis (probabilmente esiste) avrebbe dovuto punirla.
Infine, a seguito di un servizio vincente, non un ace tra l'altro, l'americana sbroccava proprio esultando in maniera esagerata e dozzinale manco avesse vinto il grandeslam dei grandislam slammosi, e Robertina povera che non sapeva più che faccia fare. Lì ho pensato che il dio del tennis (esiste matematico) sarebbe intervenuto sicuramente, magari procurando un mezzo stiramento in uno dei due prosciuttoni williamseschi.
E invece non è servito nemmeno il dio (c'è) del tennis perché l'immensa Vinci, voglio sperare incazzata come una scimmia per gli inspiegabili atteggiamenti antisportivi di Serenona, ha fatto tutto da sé.
Eccola, nella foto, sotto l'asciugamano prima di andare a servire per il match. Isolata dal pubblico e dal mondo, isolata da Serena e dal campo, alle prese con i soli suoi sogni di bambina così vicini da poterli toccare. Bellissima Miss Towel.
Ed è stata disarmante e genuina quando, oltre a scusarsi con Serena per lo slam interruptus e con il pubblico USA, ha spiegato la sua complicatissima tattica: butta la palla di là, tienila in campo e corri. La semplicità paga sempre, anche nel tennis.
Parole che spero siano giunte anche all'orecchio della nostra futura top player Camila Giorgi che dovrebbe avere il coraggio e l'umiltà di rivedere, anche se solo per frangenti particolari di partita, il suo credo del picchiala sempre.
La giornata era stata magistralmente inaugurata da una Flavia Pennetta implacabile e perfetta a completamento di questa giornata tennisticamente memorabile per i colori azzurri.
E restiamo connessi perché già da stasera ci sarà da celebrare una sola delle nostre due atlete pugliesi.
Colei che uscirà sconfitta da questa storica finale.
9 settembre 2015
La regola delle tette
Essa serve a stabilire se l’attacco che, nel tempo, la ghiandola mammaria subisce dalla forza di gravità la mantiene entro canoni eroticamente accettabili oppure no.
Si effettui una misurazione con la portatrice sana di tette all’impiedi: la distanza tra il mento (guardando avanti) e il capezzolo non deve superare di norma i 30 cm. Oltre i 30 anni, ogni 3 anni si aggiunge 1 cm, quindi, per esempio, a 42 anni il dislivello mento capezzolo è eroticamente valido fino a 34 cm.
Il limite non è fiscale, c’è una tolleranza in cm pari alla misura di reggiseno. (4a = 4cm).
È meglio se vi limitate a una misurazione occhiometrica, non fatevi beccare col metro in mano.
Che poi, alla fine, vige sempre la regola delle regole:
Le tette più belle sono quelle che puoi toccare.
7 settembre 2015
I fagiolini non sono come lo scotch
Né come il rotolo di carta da cucina o carta igienica, per dire.
Avete presente come son fatte tutte le robe arrotolate, no?
Ne hai consumate metà come spessore ma in realtà sei ben oltre a causa degli avvolgimenti esterni che son più lunghi.
Anche il serbatoio della macchina fa uguale, una vita per arrivare a mezzo e poi va giù d'un botto, ma lì non me lo spiego se non con un gombloddo delle case automobilistiche.
Insomma se state a pulire i fagiolini, via la testa via la coda, e l'attività si delinea parecchio barbosa, quando avrete dimezzato il monte non è il caso di rilassarsi pensando al rotolo di scotch (o al serbatoio della benza) perché la seconda metà dei fagiolini da nettare è una metà effettiva e ancora non siete a nulla.
È un paio d'anni che pulisco fagiolini a profusione, sai com'è... se li hai assaggiati cucinati in quella che si dice sia la maniera di Fabio Picchi (nella foto), diventano incredibilmente un alimento PCD.
Comprate i fagiolini, tanti quanti ve ne stanno nel vostro tegame di riferimento e che vi consentano di rimestare agevolmente.
Tritate una cipolla, fina quanto preferite, non tanto fina a gusto mio.
Aggiungete mezzo bicchiere scarso di olio.
Un paio di spruzzate di origano.
Una decina di foglie di basilico (o menta) sminuzzate.
Sale quanto basta e peperoncino se vi aggrada.
Un paio di etti di polpa di pomodoro.
Mescolate il tutto a freddo nel tegame e poi cuocete a fuoco lento per una quarantina di minuti o quel che serve.
Io li cuocio coperti e se si asciugano troppo in cottura intervengo con dell'acqua calda.
Servire tiepidi.
O caldi.
O freddi.
Servire, insomma.
Avete presente come son fatte tutte le robe arrotolate, no?
Ne hai consumate metà come spessore ma in realtà sei ben oltre a causa degli avvolgimenti esterni che son più lunghi.
Anche il serbatoio della macchina fa uguale, una vita per arrivare a mezzo e poi va giù d'un botto, ma lì non me lo spiego se non con un gombloddo delle case automobilistiche.
Insomma se state a pulire i fagiolini, via la testa via la coda, e l'attività si delinea parecchio barbosa, quando avrete dimezzato il monte non è il caso di rilassarsi pensando al rotolo di scotch (o al serbatoio della benza) perché la seconda metà dei fagiolini da nettare è una metà effettiva e ancora non siete a nulla.
È un paio d'anni che pulisco fagiolini a profusione, sai com'è... se li hai assaggiati cucinati in quella che si dice sia la maniera di Fabio Picchi (nella foto), diventano incredibilmente un alimento PCD.
Comprate i fagiolini, tanti quanti ve ne stanno nel vostro tegame di riferimento e che vi consentano di rimestare agevolmente.
Tritate una cipolla, fina quanto preferite, non tanto fina a gusto mio.
Aggiungete mezzo bicchiere scarso di olio.
Un paio di spruzzate di origano.
Una decina di foglie di basilico (o menta) sminuzzate.
Sale quanto basta e peperoncino se vi aggrada.
Un paio di etti di polpa di pomodoro.
Mescolate il tutto a freddo nel tegame e poi cuocete a fuoco lento per una quarantina di minuti o quel che serve.
Io li cuocio coperti e se si asciugano troppo in cottura intervengo con dell'acqua calda.
Servire tiepidi.
O caldi.
O freddi.
Servire, insomma.
4 settembre 2015
Biumor 2015 - Il Belgio gioca il jolly
(ELECTION DEI - FurFra) |
(pronti, via) |
Dunque si parte, venerdì scorso, grattando via mezza giornata di ferie visto che son tre ore di macchina e alle 17:30 'gnerebbe star là.
(pompista bionda in val di Chienti) |
Bon, siamo in albergo, e qui c'è da decidere la mise della serata che comincia presto e finisce tardi e non c'è modo di cambiarsi a metà.
C'è da scegliere tra l'outfit artista gay californiano e quello artista gay nostrano, di etero non se ne parla nemmeno.
Optiamo per il classico jeans + maglia bianca che fa tanto dolcegabbanico.
Si scopre subito, al Castello della Rancia, che come i nostri stilisti di riferimento, siamo indistinguibili seppure molto diversi. A me mi chiamano Francesco e a lui gli tocca il Furio.
Ci si ciuccia la pippa inaugurale, ma solo metà. In quello stralcio, tra il sindaco e il direttore viene pronunciata 12 volte la parola internazionalità, o similia.
Poi tutti nel forno mansardato, ma non ventilato, a tagliare il nastro della mostra.
Ci si tuffa sulla nostra opera e... sorpresa: l'installazione non è composta c'è solo l'urna in vista.
Le reazioni vanno dall'ottimismo sfrenato di France:
"Cavolo, ce l'hanno censurata. Hanno avuto paura a esporre la scheda".
E già che iniziava a guardarsi attorno pronto a buttarsi a terra, nella papabile eventualità che si presentasse un libico con un kalashnikov.
Al pessimismo mio (Naaa, so' realista!):
"Macché censura, se ne sono scordati 'sti coglioni!"
E infatti apro e sta tutto dentro l'urna. E dire che avevamo inviato sia uno schizzo della realizzazione composta che un testo che spiegava nel dettaglio cosa fare.
Ma niente, ci tocca mettersi lì - con tutto che ormai si grondava come ciuchi e la temperatura saliva ancora con tutti che persistevano respirando - a tirare fuori le schede e i lapissini, ci tocca andare ad accattare un po' di nastro adesivo per raggiungere un risultato appena appena sufficiente come esposizione.
(fotina triste con ombra) |
Poi alla ricerca della stanza dei segreti dove avremmo consumato la fantomatica light dinner ventilata sull'invito.
Light sarai te, pensavamo rimpinzandoci senza sosta dei peggiori appetizers della storia salvo poi ritrovarsi a panza piena quando è arrivato il main course incarnato in un coscio di maialino arrosto.
È stato li che quello della giuria lungo con la barba, uno simpatico, ci ha detto che il nostro Rocco piacere era piaciuto, anzi c'era una mozione per appiccicarlo in terra proprio ai piedi della torre del castello ('zzo!) dove avrebbe accolto un po' tutti... ma poi niente qualcuno della giuria (che si è guardato bene dal palesarsi) l'ha dichiarato fuori tema (4!) e così niente, manco esposto, manco una foto sul catalogo, manco una citazione.
Resterà nei nostri cu...ori, per fortuna, perché Rocco è Rocco.
Oltretutto le patatine che facevano parte dell'opera (VERE) se le sono pure mangiate durante una seduta della giuria: quelle non erano fuori tema, eh?
Stendiamo un velo pietroso sulla premiazione, davvero parecchio triste, disertata in blocco da tutti i vincitori. Ma premiare solo chi viene? C'era soltanto Elvis Corrale Rodriguez da Cuba, vincitore della sezione caricature, seppure anche lui abbia dato una bella delusione al sindaco quando, in risposta al municipale "Ar iù eppi?" se n'è uscito con un "Ma io parlo italiano" smontando d'un colpo il castello d'internazionalità, che già aveva preso una bella botta nel 2011 quando la vincitrice russa Anastasia Kurakina si presentò parlando un romanesco che nemmeno Meo Patacca.
(guarda come ti riduce una notte con un uomo nel letto) |
E comunque nel 2017, a meno che non abbiamo il demone socratico che ci dice no, noi ci si torna.
(siamo contenti di essere arrivati uno) |
Concludendo, il dovuto omaggio al vincitore Constantin Sunnerberg e al suo Rainy Day (ma coi duemila euri, un low cost te lo potevi pure pagare, Constantin!)
Anche se a me piaceva quest'altra (la foto fa onco e c'è pure l'ombra di France, se la trovo meglio poi la cambio):
(Gaudium Magnum - Gianni Audisio) |
27 agosto 2015
I baci che non ti ho dato
Ci son dei giorni che arrivi a sera e ti sembra di non aver fatto niente.
E probabilmente non hai fatto niente.
Niente di significativo che va oltre la routine.
Niente che tu abbia programmato prima e niente che si possa ricordare poi.
Niente che va per il verso sbagliato da raddrizzare e niente che va per il verso giusto da festeggiare.
Sono giorni che di solito finiscono su un divano manovrando un telecomando nella vaga ricerca di succose - e false - notizie di calciomercato.
Se hai fortuna e stai abbastanza attento però te ne accorgi prima e ti resta uno sputo di tempo per infilarci dentro qualcosa di buono.
E allora essicchi i peperoncini e li triti, raccogli il basilico e fai il pesto, dai una mano di cementite al nuovo tavolo da giardino ricreato da un bancale o magari fai 5.800 punti in una manche a ruzzle e ti porti al comando del torneo settimanale.
Ci sono dei giorni in cui non hai scritto una riga, in cui non hai letto manco l'1% di Shantaram.
Ci sono giorni in cui non hai dato un bacio uno, ecco quelli sono i peggiori.
p.s. la retorica contenuta in questo post può avere effetti collaterali, nel caso consultare un medico.
E probabilmente non hai fatto niente.
Niente di significativo che va oltre la routine.
Niente che tu abbia programmato prima e niente che si possa ricordare poi.
Niente che va per il verso sbagliato da raddrizzare e niente che va per il verso giusto da festeggiare.
Sono giorni che di solito finiscono su un divano manovrando un telecomando nella vaga ricerca di succose - e false - notizie di calciomercato.
Se hai fortuna e stai abbastanza attento però te ne accorgi prima e ti resta uno sputo di tempo per infilarci dentro qualcosa di buono.
E allora essicchi i peperoncini e li triti, raccogli il basilico e fai il pesto, dai una mano di cementite al nuovo tavolo da giardino ricreato da un bancale o magari fai 5.800 punti in una manche a ruzzle e ti porti al comando del torneo settimanale.
Ci sono dei giorni in cui non hai scritto una riga, in cui non hai letto manco l'1% di Shantaram.
Ci sono giorni in cui non hai dato un bacio uno, ecco quelli sono i peggiori.
p.s. la retorica contenuta in questo post può avere effetti collaterali, nel caso consultare un medico.
19 agosto 2015
A domanda rispondi - n. 12
(The answer, my friend) |
Senti se passa lui.
Per allenarsi a sparare… come si chiamano quei posti?
Stati Uniti.
Rimedi naturali per la cellulite?
Pantaloni lunghi.
Qualcuno ha trovato benefici nella pressoterapia?
Almeno è vicino a casa.
Come convincere una donna (io 20 lei 40) che l'età non conta in una relazione?
Con una bugia.
La mia ragazza da 0 a 10 mi ha dato 4 di bellezza, perché?
Perché ti vuole bene.
È legale chiamare una figlia con il proprio nome?
No, se sei Ugo.
Qual è l'ordine dei libri di Dan Brown?
Primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto.
Come far correre di più il mio quad 50cc?
Imbocca il discesone.
Qual è la differenza tra un chiavetta wifi e una chiavetta wifi con antenna?
L'antenna.
Sono incinta, devo fare un test?
No, devi fare un bambino.
Ditemi un solo motivo valido per continuare a vivere in un posto orrendo come l'Italia?
Tipo se stai agli arresti domiciliari.
Chi è per me il cugino di mio cugino?
Sei te.
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