30 settembre 2011

Password scaduta

Ogni 3 x 2 perdo le password, ma non è colpa mia, dai.
  - La password è scaduta
Di nuovo?
  - Immettere la nuova password
Allora cerchi di ricordare cosa dispone la policy aziendale: evitare la data di nascita tua e dei figli, evitare i nomi tuo e dei figli, lasciar perdere tutti i dati della moglie, evitare i nomi degli animali domestici e tutti i nomi di persone che possano essere ricondotti a te, resta libero solo il nome dell’amante (se quello lo riconducono a me allora ho un problema più rognoso che non la password).
Provi: marisa
  - La password deve essere lunga almeno 8 caratteri
Uhm: marisa69
  - La password deve contenere almeno una lettera maiuscola
Uffa: Marisa69
  - La password deve contenere almeno un carattere speciale
Riuffa: Marisa6&
  -  La password deve essere diversa dalle ultime 5 usate
Eccheccazzo però: Marisa&6
La scrivi giusta stavolta, ma ormai hai i nervi a fior di pelle e va a finire che la sbagli nel secondo campo, quello di conferma.
A quel punto inizi a pestare i tasti a casaccio tipo così:
Askljka ladlkaj lkasjjad aòlsdjasjd alskjhs
Una, due, tre volte e il sistema ti blocca l’accesso. Regolare.
Sbollita la rabbia c'è da farsi inviare una nuova password rispondendo alla domanda segreta. Nonostante il sistema ti consigliasse di scrivere il cognome da nubile di tua nonna (erano comunque due, alla bisogna quale avresti digitato?), tu ti sei ostinato per inserire il tuo scrittore preferito, quasi a omaggiarlo, nella segreta convinzione che, se magari un giorno un giovane hacker californiano avesse stilato una classifica con tutti i nomi degli scrittori preferiti immessi nella domanda segreta, il tuo non ne sarebbe rimasto penalizzato.
E qui spunta un altro problema dal monte, quando l’ho compilata 'sta benedetta domanda segreta? Sarò stato nel periodo Giovane Holden, e quindi Salinger, o nel periodo carveriano? Sarò stato nel periodo dell’orrore, e quindi Stephen King, o della ribellione bukowskiana? Magari stavo nella fase alternativo-snob con alle mani Pamuk o mi ero inguaiato coi versi del buon Rabindranath Tagore?
Ma poi, mi chiedo, tutta ‘sta manfrina, per cosa?
Ma chi vuoi che mi venga al piccì a fare il lavoro mio? Magari.
Allora prendo la nuova password, la ricopio su un post-it e l’attacco allo schermo.

29 settembre 2011

Lo Scolapasta Assassino

Stavamo al campeggio e io ero addetto all’asciugatura delle stoviglie. Nella dotazione della nostra casa mobile c’era uno scolapasta bianco.
Per non inzuppare troppo il canovaccio, mi sono avvalso della tecnica di pre-asciugatura brevettata e nota come scuoti-l’acqua-dalle-finestrelle-di-quei-buchetti-del-cazzo ® .
Così me lo sono battuto sulla mano sinistra infliggendomi un dolore imprevisto e lancinante. Lo scolapasta infatti aveva tre piedini, a me ignoti, e me ne sono piantato uno sul palmo della mano.
Il dolore è passato, dopo un po’, non è che ho rischiato un’amputazione, insomma.
Solo, da allora – e qui lo giurerei sulla testa dei miei figli se fossi Tu Sai Chi – ogni volta che lo prendevo in mano una scossa di brividi mi squassava dalla cervice ai talloni.
Bon, le ferie son finite e hai risolto, diranno i miei 25 adorati lettori. Manco per idea, invece!
Adesso ogni scolapasta del mondo che tocco mi provoca la stessa irritante sensazione. Brividi, brividi spessi un dito.
Quel che è peggio è che l’escalation pare senza fine. Mi basta pronunciare la parola e il brivido parte automatico, mi agguanta prima la testa e poi mi percorre in verticale, attraversandomi.
Ma dirò di più, e angosciosamente lo scopro adesso, è sufficiente scriverlo o anche solo pensarlo.
Sto valutando se tirarci fuori un horror.

28 settembre 2011

Mai dir eMail

Non le leggo le mail più lunghe di tre righe.
La lettera elettronica deve rispondere a requisiti di velocità, immediatezza e, soprattutto, brevità. È la sua natura.
Alla quarta riga mi puoi pure mandare affanculo. Non lo leggerò. O, se lo leggerò, non sarò in grado di recepirlo.
Le mail di lavoro poi, massimo due righe ti concedo: già è una cosa che non mi piacerà, tu falla pure lunga!
E lo dichiaro, ai miei amici e ai miei capi. L’obiezione di solito è “ma se ci sono più dettagli da inserire, se l’argomento è ampio, se te lo devo spiegare per bene…” e altre scuse del genere subminchiata. Comunque non lo leggerò o, se preferisci, non sarò in grado di comprenderlo quello che viene dopo la terza riga. Fai te.
Ma non è deficit d’attenzione, badate, è l’era digitale. Concetti sintetici, cultura mordi e fuggi e info smitragliate.
Il tutto, a sera, si ricompone nella tua testa in un affascinante puzzle di cinquemila piccole tessere, di parole, d'immagini e di lampi di genio.
Se devo approfondire studio su un libro, leggo un quotidiano, vado a un convegno o magari chessò m'iscrivo a lettere.
Lo stesso vale per i post, amici blogger, content is king, è pacifico, ma short content is king di più. In fondo siamo qui perché ci piace scrivere, sì, ma non dimentichiamoci che andiamo in sollucchero quando ci leggono.
Sì lo so, anch’io ho scritto post prolissi, ma sono all’inizio, potete giocarvi le vostre ultime fiches che migliorerò.
Adesso saluto, ché sto andando lungo.

27 settembre 2011

Parole parole parole

C’era questo amico che lavorava al call center, aveva imparato una nuova parola e cercava di usarla il più possibile. Pensava che gli conferisse un’aria saputa. Ammorbidiva i reclamanti con l’eloquio forbito. Solo che non aveva la più pallida idea del significato.
-       Ho un problema con la bolletta…
-       Mi può tergiversare il suo numero cliente?
----------------
-       Sono due giorni che cerco di telefonare!
-       Signora stia calma non si tergiversi.
----------------
-       Mi sa che ho pagato 2 volte una fattura.
-       Può dirmi la data in cui ci ha tergiversato l’importo?
----------------
-       Allora richiamo io, a che numero?
-       Le tergiverso il mio numero diretto, prenda carta e penna…
----------------
-       Vorrei fare una voltura, sa è morta mia nonna.
-       Tergiversiamo subito l’utenza al nuovo nome, intanto le tergiverso anche le mie condoglianze.
----------------
Era la sua parola feticcio, il vocabolo jolly pronto per ogni occasione.
E considerate che non ho aggiunto niente di mio, così la so e così la tergiverso.

26 settembre 2011

Noi che facevamo l’amore in 500

Se a diciott’anni avevate sotto al culo una Golf, vi potete anche risparmiare di leggere il seguito.
La mia 500 era rossa, targata FI471252, colle foderine azzurre e il tettino nero apribile. Il tettino da cui abbiamo urlato la nostra gioia nel luglio dell’82.
Farci l’amore dentro era un'impresa.
Il primo requisito fondamentale erano i reclinabili visto che non tutti i modelli li montavano.
E poi? Poi serviva convinzione, slancio, acrobatismo, creatività, spirito di sacrificio, adattamento, ironia e anche sprezzo del pericolo, per la temuta leva del cambio sempre pronta a profanarti da dietro.
Inoltre, tasto dolente, serviva pure una ragazza.
A vederle oggi, quando ti sfrecciano accanto che c’è un raduno, pare impossibile perfino che ci s’entri seduti figuriamoci se ci si può immaginare quella 500 come teatro di performance erotiche.
Diciamolo, quando si pigliava a prestito la 127 del babbo era come fissare una camera all’Hilton.

25 settembre 2011

Vive la difference

Ho sempre cercato di essere originale, di distinguermi nelle scelte dagli altri, anche a mio danno quando gli altri avevano già fatto la loro scelta ed era quella giusta.
Ora, se le opzioni sono numerose, una valida alternativa anche se comunque sarà un ripiego, la si può trovare.
Quante volte ci siamo chiesti da piccoli quale fosse il nostro colore preferito? La netta maggiornaza dei miei amici aveva una predilezione per il rosso. E anch'io, ovviamente, perché il rosso è il rosso, ha qualcosa in più, è noto a tutti, non ci sarebbe nemmeno da domandarlo.
Ma niente, per non finire nel branco mi dichiarai per il blu e così per anni mi sono sciroppato biglie blu, macchinine blu, magliette blu, ognicazzodicosa blu in coerenza con la mia scelta.
Quando le opzioni sono due, il rischio è maggiore. E non parlo di Limonata o Camomilla.
Andò che Marco mi portò di soppiatto in cucina a casa di sua nonna: c'era da fare una roba segreta! Scalò il bancone e cavò giù da un pensile l'oliera con tanto di ampolle belle piene.
"A me mi piace l'aceto" dichiarò felice e tirò giù due gozzate chiosando con un "aaaah" di estrema soddisfazione.
Poi mi guarda e mi fa "E a te?"
Chiaro come la Sambuca Molinari che mi piacesse l'aceto, a tutti i bambini piace l'aceto. L'aceto è il colore rosso dei condimenti.
"No no, a me mi garba l'olio" sentii uscire dalla mia bocca.
Marco allora mi porse l'ampolla e, nel fiscale rispetto dei miei gusti dichiarati, bevvi, reprimendo con una certa maestria i conati di vomito.

24 settembre 2011

FingerBooks

Eccoli, arrivano: sono i  FingerBooks. Che roba è? Mini eBooks leggibili per SmartPhone e Android. Se volete approfondire qui è spiegato tutto molto bene.
Perché lo segnalo? Solo perchè Hombre è presente nella raccolta. La vedete lì a sinistra dell'immagine? Al secondo rigo lì, L'Ultima Cernia? Eh sì, è un parto della mia mente malata, nonché l'opera che mi calerà tra capo e collo una fatwa non appena PapaRatzi la leggerà.
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Inoltre dal 17 Ottobre, chiunque volesse stimolare la propria creatività potrà partecipare al concorso “Scrittori per The FingerBooks” inviando il proprio racconto e vincere un iPad Apple Wi-Fi 3G. Il concorso è gratuito e destinato a tutti coloro che volessero cimentarsi nella scrittura di un racconto, di genere Giallo o Romanzo e di lunghezza variabile tra 1.800 e 9.000 battute. Per partecipare è sufficiente inviarlo all'indirizzo fingerbooks@buongiorno.com entro il 31 dicembre 2011. Tutti i lavori che risponderanno ai requisiti verranno sottoposti al giudizio di una giuria composta da giornalisti e scrittori professionisti che decreteranno due vincitori, uno per ciascuna categoria.

23 settembre 2011

Di scarpe e di stratope

L’ex fidanzato dell’amica stratopa di Carolina discettava sulle scarpe.
Esso sosteneva che la scarpa, una volta tolta, va lasciata riposare per almeno 24 ore.
Questo perché il calore del piede, ma forse anche l’odore aggiungerei, ripresentandosi dopo un intervallo minore delle 24 ore incide sull’usura della scarpa in maniera esponenziale.
Perciò, rispettando la regola, non puoi indossare lo stesso paio di scarpe per due giorni di seguito, ed è una roba scomoda. Capita che la mattina hai lì belle e disponibili le calzature del giorno prima, perché le hai lasciate in mezzo o magari te le sei tolte in fretta e ti sei buttato sotto la doccia. E invece niente, le devi mettere via e cercarne un altro paio.
A me 'ste cose mi segnano, le assimilo, me le porto dietro.
Vi prego perciò di non condividere con me le vostre regole di vita del cazzo, tanto meno se provengono da fonti oggettivamente inattendibili come gli ex fidanzati delle vostre amiche stratope.
Poi potremmo chiederci se Esso è diventato un ex perché la stratopa, anche e giustappunto perché stratopa, si è stufata che lui, dopo fatto l’amore, per 24 ore lasciasse a totale riposo la di lei tomaia in pelle o perché lei l’ha magari beccato che teneva il piede in due scarpe.
Ma questa è una storia che non la si può raccontare così, su due piedi.

22 settembre 2011

Tornando a casa

Lo vedo al semaforo, aspetta il rosso. La regolazione dell'incrocio è complicata e lui lo sa. I rossi sono lunghi. Ere geologiche. C'ha il naso da pagliaccio, rosso, in armonia con il colore del semaforo che è un po' il suo datore di lavoro. Porta un caschetto biondo di capelli e un sorriso sfrontato. Tira per aria una serie di birilli colorati e cammina. Sorride e cammina avanti e indietro, forse dice anche qualcosa, magari canticchia, ma non sono così vicino da sentirlo.
Ha la faccia di uno felice.
Gli automobilisti lo guardano, che altro devono fare? Certo non scendono dalla macchina per congratularsi né si mettono a sventolare gli accendini.
Il lavavetri dopo un po' ti fa girare pure i coglioni, al terzo giorno sei capace d'investirlo se si ripresenta colla spatola o se ti spugna i fanali, ma il giocoliere col red nose no, mette allegria, mi viene voglia di abbracciarlo.
Però io sto dalla parte del verde, maledetto semaforo. Rallento per vedere, mi suonano, tiro via. Sbircio dallo specchietto per capire se alla fine tira fuori un cappello, se raccoglie due euro.
O se qualcuno lo tira sotto.

Le parole che ti ho detto

Archiviati i primi sei anni di vita di Francesco, ecco una dettagliata statistica delle espressioni a lui più frequentemente rivolte:
  • saluta
  • non te lo buttare addosso
  • come si dice?
  • non correre
  • vai a letto
  • sei legato?
  • mangia
  • stai da parte
  • basta cartoni
  • cazzo france (*)

(*) sostituire col nomignolo di vostro figlio per avere un risultato personalizzato.

20 settembre 2011

Erba di casa mia

Curare un prato è un po' come educare e crescere un figlio.
La parte della semina - che ve lo dico a fa'? - è la più divertente.
La nascita pure ha il suo fascino, i giovani germogli sono così teneri, così indifesi che daresti la vita per loro.
Poi devi concimare, mantenere fertile il terreno che accoglie la tua erba o la famiglia che accoglie il sangue del tuo sangue, con fatica e con passione. Innaffiare ogni giorno affinché resti verde, vivo, fresco.
Ma serve anche severità, e quindi tagliare per rinforzare. Devi dare aria al terreno, devi consentire alla tua creatura di aprirsi e respirare meglio. Ci devi parlare.
E anche se lo vorresti solo per te, devi imparare a condividerlo, ad accettare che altri ci possano passeggiare. Questo, inspiegabilmente, ti darà gioia.
Ma il lavoro più difficile arriva qualche anno dopo, con le erbacce da tirare via e con perfidi muschi da sconfiggere per offrire la giusta protezione al tuo amore che intanto dovrà imparare a crescere nel mondo, a contaminarsi, a riprodursi, magari quando tu ti scorderai di passare l'acqua e anche quando non sarai più della partita.

Pensandoci bene, curare un prato è anche un po' come tutelare la coppia e, sempre metaforicamente, è come preparare la nostra mente agli insegnamenti scolastici. È come allenare una squadra di calcio. Curare un prato è assimilabile a gestire le relazioni coi nostri amici. Curare un prato ricorda il sesso, ricorda la vita stessa.
Per farla breve, per ogni tipo di situazione che dovrete affrontare o descrivere potete servirvi di questa metafora del prato del cazzo ®.
Basta che versate un euro sul mio conto PayPal.

19 settembre 2011

Odio - sinfonia n. 2

odio le frasi fatte anche se "odio le frasi fatte" è una frase fatta
odio il muschio
odio le penne a sfera che sbavano
odio i bicchieri, le tazze, le padelle che pur rovesciate conservano ancora acqua in interstizi e scanalature alla loro uscita dalla lavastoviglie
odio le erbacce
odio la pizza bianca
odio i fogli della banca, delle assicurazioni, le bollette, gli estratti conto
odio l'uovo sodo troppo sodo
odio la gonnapantalone
odio la muffa

Ascolta la sinfonia n. 1

18 settembre 2011

Moglie e blog

Detto a voi, mia moglie non legge il blog. Proprio se ne strabatte e io non so più come incuriosirla.
Gli inizi non furono certo incoraggianti "Ho aperto un blog" "Pure? Ma non ne vorrai fare troppe?"
Ma io duro, tengo botta. Poi se si cerca di smontarmi è proprio quando m'incaponisco. Ditemi che non sono in grado di stendere i panni e diventerò il re dell'acchiappino, ditemi che scrivo da schifo e prenderò il Pulitzer. Son fatto così.
A volte mi sente parlare con amici degli argomenti trattati in Linea d'Hombre e s'infastidisce perché non ne sa mezza, ma di andare a leggerseli non le passa per l'anticamera.
L’aspetto positivo è che qui sono libero di scrivere qualunque cosa, tipo che mi sono innamorato di Sienna Miller o della mia compagna di stanza, che sto pensando di vendere un rene (suo) a un anziano signore di Birmingham e che, se c'è una cosa che davvero adoro, è stirare.
Tanto non lo saprà mai.
__________________
Aggiornamento del 28 settembre: ok, mia moglie non ha ancora letto, ma quello ci sta. Come ci sta che nemmeno Sienna Miller abbia postato un commento. Mi stupisce un po' che non l'abbia letto la mia compagna di stanza, ma quello che mi lascia di stucco è che nemmeno l'anziano signore di Birmingham si sia fatto vivo. Su di lui ci contavo, ecco.

16 settembre 2011

Se telefonando

Ci sono persone con cui non ci chiacchieri volentieri, spesso sono degli attaccabottone odiosi amanti del telefono e della vera voce. Loro vogliono parlare, sempre e comunque.
Capita che devi comunicare anche con loro, per lavoro o per diletto. Allora gli mandi una mail e loro ti telefonano. Gli mandi un sms e loro ti telefonano. Gli scrivi una lettera e loro ti telefonano. Apri un blog e loro ti telefonano.
Gli mandi un piccione viaggiatore e loro se lo mangiano. E dopo ti telefonano.
Come a un delitto è auspicabile associare l’adeguata pena, vorrei una regola che stabilisse il giusto canale di comunicazione, almeno per la risposta.
Se inizi tu, scegli l’arma con cui comunicare e va bene, ma se comincio io chi risponde deve essere tenuto a mantenere lo stesso mezzo, lo stesso ambiente.
E se ti faccio segnali di fumo, amico, inizia ad accendere il fuoco.

15 settembre 2011

Il mondo secondo Gap

Sto sempre lì a rincorrere la tecnologia, non la raggiungo mai, sono un fottuto criceto nella ruota.
Per anni ho cercato di ridurre le dimensioni del mio cellulare con acquisti successivi, ma apparecchi sempre nuovi e minuscoli uscivano sul mercato lasciandomi indietro a rispondere alle mie chiamate con telefoni sovradimensionati e fatalmente obsoleti.
Alla fine penso d’avercela fatta entrando in possesso d’un telefonino talmente piccolo che già pigiare con il dito un tasto solo è un problema serio. Vabbè, però m’ingegno, uso la punta del mignolo, non è comodissimo ma finalmente ritengo di aver azzerato il gap.
Niente, eccoli arrivare in branco: sono gli smartphone di nuova generazione, spessi e larghi almeno il doppio del mio cellulare, poi arriva l’iPad, è enorme, non si tiene con una mano sola e io sono di nuovo sprofondato nel terzo mondo tecnologico a causa delle dimensioni del mio senza fili, stavolta troppo piccolo.
Però c'è un momento in cui il gap lo colmo davvero, anzi sto addirittura avanti, sono oltre tutti gli aggiornamenti tecnologici. Proiettato al di là del prodotto di ultima generazione.
È quando esco e mi scordo il telefono a casa. In quel caso sono io che distanzio tutti e divento davvero irraggiungibile, come Coppi sul Pordoi.

14 settembre 2011

Walter ego

Non parlerò di Bonatti alpinista, le sue imprese sono note - o dovrebbero esserlo - a tutti.
Non parlerò della vicenda del K2, la cui verità è nota - o dovrebbe esserlo - a tutti.
Voglio invece ricordare il Bonatti uomo vero, il Bonatti che restituisce il Cavalierato di Gran Croce quando scopre di essere stato accomunato nell'onorificenza a Compagnoni.
Bonatti è un uomo a cui ispirarsi, un simbolo d'integrità e coraggio.
Consiglio a tutti la lettura di K2 - LA VERITA'.
3,3 Carver (*)
La storia della più grande impresa dell'alpinismo italiano va riscritta, ci vuole coraggio.



Da quassù il mondo degli uomini altro non sembra che follia, grigiore racchiuso dentro se stesso.
E pensare che lo si reputa vivo soltanto perché è caotico e rumoroso.

(Walter Bonatti)

13 settembre 2011

Indovina chi è venuto a cena

Da piccolo avevo diversi idoli, da Gianni Morandi ad Adriano Panatta, da Neil Armstrong a Raffaella Carrà, da Cochi e Renato a Gustavo Thoeni. E poi avevo un dio: Gigi Riva.
Stasera me ne stavo beato all'autogrill a farmi un trancio di pizza al salamino di Spizzico quando mi chiama Giacomo da Cagliari. Stava mangiando alla Stella Marina di Montecristo, mangi pesce mangi bene spendi poco.
Mi fa: "Ciccio sai chi c'è a cena a un tavolo accanto al mio?"
E lì ho capito, non ci vuole uno scienziato.
"Noooo, Gigi Riva? Scherzi?"
"No, non scherzo, Ciccio, è qui da solo..."
(ma perché continua a chiamarmi Ciccio? Boh!)
"Dimmi che devo fare" mi chiede.
Le immagini di una vita di tifoso, discepolo, adepto e fan sfegatato mi sono passate davanti agli occhi.
"Beh, chiedigli... chiedigli se ha rivisto Hof, digli che mio padre è andato a vederlo al Palagi quando si ruppe la gamba la seconda volta, fagli i complimenti per il sito, digli che ho scambiato delle email con suo figlio, digli che compro le sue reliquie su ebay, digli che ho un bellissimo articolo su una Domenica del Corriere di fine anni sessanta con una foto di lui in camera con alla parete un poster di De André e con ai piedi un paio di mocassini senza calzini. Digli che gli avevo scritto un paio di lettere, ma che non mi ha mai risposto. Digli che magari poteva pure. Ah, e digli che vorrei una delle sue maglie degli anni settanta, quelle bianche coi risvolti rossoblù e il filino al collo. Parlagli magari della doppietta nel 3 a 1 all'Inter a San Siro, dei suoi 35 gol in maglia azzurra e di quella incredibile rovesciata contro il Vicenza. Digli che l'amo. Fatti una foto insieme a lui o stringigli la mano. Chiedigli se davvero Greatti di nome faceva Ricciotti. Senti se puoi baciare il suo piede sinistro. Digli che ho fatto benzina a Comunardo Niccolai, quel coglione.
Anzi no guarda, non fare nulla, non dirgli un cazzo. Non disturbarlo proprio. Lasciamolo mangiare tranquillo. Non sia mai che gli rovino la digestione dopo tutte le gioie che mi ha dato."
"Se vuoi te lo passo..."
"No, non importa, magari se ti capita digli soltanto che i mocassini senza calzini non è cosa..."
Lo so che non ci crederete, ma tornando a casa, ho sentito un tuono, un Rombo di Tuono, e i brividi lungo la schiena.

12 settembre 2011

ù ù ù mi piaci tù

Vi sarà capitato di chattare o anche solo di fare delle ricerche su Google. Insomma di scrivere una cosa, una parola, una frase e dopo spingere Invio.
Sì? Avete notato quante volte l’ultima parola scritta si porta appresso una lettera clandestina? Già, è la ù.
Questo tasto altrimenti solo utilizzato dai più, da chi va giù, da chi sta lassù o da chi parla d’amore a Mariù, assume invece una straordinaria frequenza di battitura grazie alla sua vicinanza al vecchio tasto del ritorno carrello, il moderno Invio.
Ma chi ha progettato la tastiera doveva proprio disegnare il tasto Invio a forma della elle giallona del Tetris? Era chiaro da subito che la buona vecchia ù, circondata e avvolta dall’affettuoso Return sarebbe stata picchiata numerose volte involontariamente.
Chattando:
Ciao, come staiù
Sto bene grazie, quando ci vediamoù
Vaffanculoù
Almeno cercando Jennifer Lopezù su Google, lì ti sgamano subito, non ti chiedono nemmeno se Forse Cercavi: Jennifer Lopez, ti arrivano direttamente i risultati giusti, ma sicuramente ti registrano tra le statistiche di quelli che battono la ù senza motivo.
Adesso mi sono evoluto e colleziono le frasi che mi arrivano in chat con le ù in fondo alla riga, ctrl+c ctrl+v e le incollo in un file sul desktop dal nome “ù per sbaglio”. E non sono il solo a fare questa raccolta.
Mi figuro un giorno un grande raduno di noi collezionisti di ù per sbaglio, dove ognuno porta le sue frasi, racconta di quando le ha ricevute e scambia con gli altri le doppie.
Sarebbe troppo belloù

8 settembre 2011

Tener banco

Venne il primo giorno di scuola e un banco per Carlino non c'era.
Ma dico, si sarà saputo o no che saremmo stati 23 bambini? Anche 40 anni fa c'erano le iscrizioni e tutto il resto.
Niente, s'arriva il primo giorno di scuola e siamo 23, tutti presenti, da far sedere in 22 banchi. 22 banchi!
Noi che si era arrivati col pullmino, per ultimi, eravamo in 5, da far sedere in 4 banchi.
Pure andare a recuperare un banco da un'altra classe, c'erano almeno altre 10 aule, non si rivelò fattibile, tutto esaurito forse, o magari banchi di altre dimensioni, non so. Sta di fatto che nessuno si mosse.
La Maestra, una di quelle con la emme maiuscola, decise per tutti e assegnò i banchi. E di fianco ad Angelo, sullo stesso banco, piazzò il povero Carlino.
Già fossi stato Angelo non l'avrei presa bene, il primo giorno di scuola e mi trovo il banco invaso da un bambino, tra l'altro, sconosciuto fino a quel momento. Ma fossi stato Carlino ne sarei rimasto segnato per sempre.
Arrivare il primo giorno di scuola e non avere il banco, adattarsi per il lato stretto a scrivere le prime parole della vita ricopiate dalla lavagna, col gomito che spenzola fuori. "Oggi c'è il sole" mi ricordo, anche se probabilmente Carlino avrebbe voluto scrivere "Oggi è una giornata di merda: dopo 6 anni che me la menano arriva finalmente santa susina e non ho manco un banco mio dove appoggiarmi".
Fossi stato Carlino sarei certamente diventato un bambino difficile, poi un adolescente ribelle, probabilmente un delinquente giovanile e, niente di più facile, un adulto disadattato.
Signori della scuola, arriva un determinato numero di bambini in prima classe e voi lo sapete, è un giorno che bene o male conta parecchio, per tutti, vogliamo accogliere questi piccirulli col rispetto che si meritano?
A me la cosa dà ancora noia e mi fa sentire l'involontario usurpatore di un banco intero. Avrei voluto finirci io sullo strapuntino del banco di Angelo, forse a quest'ora avrei dimenticato. Forse.
Carlino invece ce l'ha fatta poi, ha reagito all'ingiustizia, ha una sua vita normale, ha trovato il suo spazio, non ha ancora ammazzato nessuno.
Quando lo incontro e gli chiedo come va, mi dice "bene". E doveste sentirlo quando racconta a noi vecchi compagni del suo primo giorno di scuola, allora sì che tiene banco.

4 settembre 2011

Garantito al limone

Mi faceva male la pancia e volevo una limonata, questi i fatti.
Mamma mi fa male la pancia, dicevo. E lei, ma la pancia pancia o lo stomaco toccandosi prima in basso e poi un po' più in su.
Sai devo sapere se farti una limonata o una camomilla.
Io non sapevo esattamente cosa mi facesse male e comunque non che m'interessasse, volevo solo quella cazzo di limonata.
Mi fa male qui, dicevo toccandomi in  basso. Ah lì, allora camomilla.
La volta dopo le dicevo che mi faceva male un po' più su, ah lo stomaco, diceva lei, allora camomilla.
Poi mi toccavo più in alto ancora, praticamente l'esofago. Ah lì? Allora camomilla.
Non c'era verso di farsela fare 'sta limonata.
Qui, camomilla. Più in alto, camomilla. Di fianco, camomilla.
Alla fine mi sa che ho capito, mia mamma voleva prepararmi una camomilla, più semplice, forse più veloce. Potevo pure avere il morbillo o la malaria, sempre una camomilla mi sarebbe toccata.
Adesso potrei farmela una limonata, che ci vuole? È che ormai preferisco la camomilla.
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