30 dicembre 2013

Obiettivi 2013 - consuntivo

Direi che non è andata benissimo (in neretto gli obiettivi presi), ma la centratura dell'obiettivo n. 11 è a tutti gli effetti una cosa piccola ma buona.

Strada
1 - Zero multe;

Alimentazione
2 - Elaborare 10 ricette complicate, fuori dalle mie abitudini e dalla mia padronanza (5) ;

Cura della mente
3 - Leggere, tra le altre cose, questi 3 libri: Infinite Jest, 2666, Delitto e Castigo (acquistato);

Cultura e amici
4 - Vedere al cinema almeno 6 film di livello (forse 2) + 6 uscite birra e/o pizza (4);

Piacere
5 - Trombare la Cucinotta (le ho mandato un DM in twitter, nessuna risposta);

Casa
6 - Riordinare il ripostiglio, gettare il gettabile, sistemare la porta va e vieni, fare le riprese di tinteggiatura; (nulla)

Salute
7 - Proseguire attività tennistica + camminate + sempre scale quando si può (peso max 82 il 31/12 mattina) (inserimento attività podistica e 78 di peso);

Economia
8 - Incrementare il saldo del c/c vs 2012;

Famiglia
9 - Cercare di non perdere le staffe con figlio 1 per lavoro e figlio 2 per scuola;

Scrittura
10 - Ricominciare a buttar giù delle storie; (poca roba)

Salutissima
11 - Arrivare al 2014 (in faccia alla scaramanzia).


26 dicembre 2013

Vita di David Foster Wallace

Sapete come funziona col Kindle, no? Evidenziate le righe che vi attizzano mentre leggete un testo e poi ve le ritrovate ne I miei ritagli. Ecco, queste suppergiù sono le mie per quanto riguarda Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi (3,3 carver) il libro di D. T. Max (Einaudi - trad. Alessandro Mari) anche se il lavoro poi l’ho fatto a mano, ché l'avevo cartaceo.
Non se ne deduce il contesto, non sono legate l’una all’altra, non sono filtrate e non hanno probabilmente neppure un senso, se non il mio.
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La sua famiglia era nativa del Maine.

Proveniva da una famiglia di talenti in cui regnava l’amore, non tanto diversa dai Glass di Salinger.

Il torace mi sussulta come una centrifuga in azione con delle scarpe dentro.

Costello rammenta una lettera in cui l’amico gli annunciava di voler scrivere un romanzo da leggersi “anche tra mille anni”.

Avrebbe poi dichiarato che la narrativa gli impegnava il novantasette per cento del cervello, mentre la filosofia solo il cinquanta.

Per di più rimuginava ancora sul venerabile consiglio letterario ricevuta da Lelchuk: “Non dire, metti in scena”.

L’incipit del Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein era uno dei due migliori incipit della letteratura occidentale: Il mondo è tutto ciò che accade. L’altro incipit che Wallace considerava d’ineguagliabile bellezza era quello de La Scialuppa di Stephen Crane: Non c’era uomo che conoscesse il colore del cielo.

Il tono piatto ma evocativo dei dialoghi (in La scopa del sistema) proviene da DeLillo, di cui Wallace aveva letto alcuni romanzi durante la stesura

Quando Wallace diede il romanzo a McLagan, l’amico lesse alcune pagine e glielo restistuì: non aveva tempo da sprecare con gli epigoni.

Nel corso degli anni Wallace sarebbe arrivato a disconoscere il romanzo parlando di un’opera scritta da un quattordicenne cervellone.

S’infatuò d’un musicista che stava componendo un brano servendosi del diabulus in musica – il tritono, la quarta aumentata che la chiesa aveva giudicato tanto ammaliante da metterla al bando.

Wallace definì lo stile dei minimalisti come “realismo catatonico anche detto ultraminimalismo anche detto Carver malriuscito”.

A questo punto ho ambizioni modeste che principalmente ruotano attorno al restare in vita.

Wallace si sottopose a sei sedute di elettroshock.

Di Lester Bangs Wallace apprezzava la prosa tripudiante perché, con ogni probabilità, si avvicinava più di ogni altro scritto al suo modo di parlare. L’espressione di Bangs “un’erezione del cuore” divenne una delle sue preferite.

Pochi mesi dopo il suo arrivo, Wallace aveva già abbozzato una scena basata su Big Craig, uno dei residenti più intriganti della Granada House. Big Craig – Don Gately nel romanzo.

Se le parole sono tutto ciò che abbiamo, sono dio e il mondo, allora dobbiamo trattarle con attenzione e rigore: dobbiamo venerarle.

A Syracuse [...] Franzen e Wallace passarono in automobile per la strada in cui Raymond Carver aveva abitato durante gli anni Ottanta quando lavorava all’Università; il prezzo della casa in cui aveva dimorato era stato maggiorato di diecimila dollari per via della sua fama.

Wallace annotò “Scrittura Successo Fama Sesso” Il suo proposito era di diventare un individuo per cui il desiderio delle ultime tre non motivasse la prima.

E David sentiva la mancanza di Mary Karr [...] tuttavia l’aveva portata con sé, trasformandola in un personaggio del romanzo. Joelle Van Dyne, conosciuta anche col nome di Madame Psychosis.

Wallace ricordò a Pietsch che la trama del libro che aveva comprato “si era sempre avvicinata di più a un arco, che a una linea destinata a trovare conclusione”.

Un’idea per accorciare il libro senza doverlo accorciare più del possibile: note.

Pietsch: Le conversazioni tra Marathe e Steeply sulla montagna sono la parte del romanzo che ho in assoluto meno voglia di rileggere.

Le risposte esistevano, insisteva Wallace con il suo editor, ma erano al di là dell’ultima pagina; Infinite Jest doveva proseguire nella mente dei lettori, ovvero si trattava di una narrativa pensata per descrivere la traiettoria di un ampio arco, non un triangolo di Freytag.

I parallelismi tra la vicenda biografica di Dostoevskij e la propria catturavano la sua attenzione, così come già avevano fatto al tempo della permanenza presso la Granada House.

Raccontò all’amica Debra Spark di essere caduto “nell’ottavo girone dell’inferno: i-correttori-di-bozze-dei-correttori-di-bozze”.

Leggere Infinite Jest avrebbe voluto dire accettare una sfida.

A un certo punto alcune linee parallele dovrebbero cominciare a convergere in modo che il lettore possa proiettare una “fine” al di là della struttura fisica del libro. Se nel vostro caso non si è realizzata nessuna convergenza del genere, allora vuol dire che con voi il libro ha fallito.

Penso che la mia scrittura sia migliorata, ma scrivere è meno Divertente di quanto non fosse.

Dedicò molto tempo alle lettere pur di procrastinare, e l’argomento di molte fu il suo procrastinare.

Rievocò Faulkner, secondo cui scrivere un romanzo era come erigere un pollaio durante un uragano.

Aveva l’abitudine di ripetere alle sue classi d’allievi che un romanziere è tenuto a conoscere il suo soggetto abbastanza bene da ingannare il suo vicino di posto a bordo di un aeroplano.

Il quotidiano satirico “Onion” nel 2003 pubblicò un pezzo intitolato: Fidanzata abbandona lettera di rottura di David Foster Wallace a pagina 20.

Aveva fatto tirare una riga sul nome “Mary” del suo tatuaggio ormai sbiadito, e aveva aggiunto un asterisco sotto il cuore; più sotto aveva collocato un secondo asterisco e il nome “Karen”, trasformando il proprio braccio in una nota a piè di pagina in carne e ossa.

Chad Hardbach (editor della rivista letteraria n+1): “L’opera del ’96 di David Foster Wallace è ormai assurta al ruolo di romanzo americano fondamentale degli ultimi trent’anni, la stella di prima grandezza attorno a cui orbitano lavori di minore importanza”. Infinite Jest era diventato Il Giovane Holden di una generazione che aveva letto Il Giovane Holden sui banchi di scuola.

In Infinite Jest, quando uno dei personaggi muore, si ritrova “catapultato verso casa oltre […] le palizzate di vetro della Convessità a una velocità disperata, sale verso nord e grida un richiamo alle armi chiaro e cristallino e quasi matericamente allarmato in tutte le lingue conosciute del mondo.
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p.s. e mica lo sapevo cos’era un epigono.

23 dicembre 2013

A Natale siamo tutti più buoi

100 anni fa
Si andava di persona a fare gli auguri, si alzavano le chiappe e si finiva a scaldarci nel canto di un focolare amico senza la fretta che quella non era stata ancora inventata.

50 anni fa
Si scriveva una bella lettera, coi ghirigori qualcuna e in ogni caso in corsivo e con una grafia impeccabile da maestra.

40 anni fa
La telefonata dall'apparecchio nero colla ruzzola a tutti i parenti anche a quelli più lontani colla teleselezione che tanto è Natale per una volta. E iniziava il pranzo, matematico, che qualcuno era ancora a telefono.

30 anni fa
Il telegramma, si faceva all'ultimo, nel bel mezzo del marasma del 24 mattina quando non c'era più tempo per spedire e l'organizzazione prenatalizia era andata a puttane.

20 anni fa
Il biglietto d'auguri, che più nessuno aveva tanti argomenti da condividere per mettersi lì a buttare giù una lettera intera e perché qualcuno iniziava a temere le nuove tecnologie, un po' il canto del cigno della carta.

10 anni fa
Email statiche, pratiche, veloci, versatili e zuppe di copincolli: ideali per il nipote in Australia come per lo zio al piano di sopra.

7 anni fa
Email dinamiche con le renne e con Santa Claus le lucine e la musichetta, roba proveniente per lo più dai luoghi di lavoro e ribaltata al parentame quasi a voler dimostrare che qualcosa di buono si produce anche là in quell'ufficetto tanto infamato.

5 anni fa
SMS personalizzato, una frase carina per ognuno degli amici e per ogni famiglia dei parenti affinché arrivi un bip in segno d'affetto, comodo.

3 anni fa
SMS a grappolo, un solo sms con la stessa anonima frase d'augurio, spesso ripresa da uno che ti ha preceduto, inviato a tutta la rubrica, compreso la guardia medica e il centro assistenza TIM (o Wind o chi per lui).

1 anno fa
Il famigerato tag in facebook sull'immagine di Natale, che sia l'albero, Natale Babbo, Renna Rudolph o una capannuccia stellacometizzata, e quindi tu, taggato insieme ad altri 96.

Oggi
Un tweet buttato nel vuoto siderale dei cinguettii con un hashtagh di #buonnatale che resterà tra le tendenze italia per 23 ore almeno.

L'anno prossimo o quando verrà
Di persona, perché la fretta sarà stata tacciata di incostituzionalità dalla Consulta mentre i camini con il fuoco acceso, seppur finto, te li regaleranno assieme al nuovo decoder e scalderanno di nuovo ogni magione.

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(Il carro rosso - Giovanni Fattori - Pinacoteca di Brera)

20 dicembre 2013

Alla stazione a vedere i treni

Quarant’anni dopo, tenendo per mano mio figlio e trovandomi a passare dalla stradella accanto al podere del Poggio, mi ricordai di quell’antica giornata di sole in cui mio padre mi aveva spiegato il treno.
Qualche mese prima eravamo andati a trovarlo all’ospedale, in centro a Firenze. Sbrigata la visita e stretti gli abbracci, mia madre aveva pensato bene di portare me e mia sorella alla stazione a vedere i treni.
Treni che arrivavano e treni che partivano in un andirivieni trito e ripetitivo, ma capace di abbagliare gli occhi curiosi di qualsiasi bambino del mondo, me compreso.

Tornando da mia zia verso casa nostra passavamo dal Poggio e fu qui che, camminando con mio padre, gli domandai del treno.
- Babbo, ma come fanno i treni che arrivano alla stazione a ripartire all’indietro?
Mio padre, da buon muratore, fino ad allora mi aveva insegnato soltanto come incastrare i mattoncini del Plastic City per la costruzione di blocchi solidi e sicuri, ma adesso moriva dalla voglia di darmi una seconda lezione sulle cose della vita.
- Vedi, - mi disse – funziona così!
S’inginocchiò e m’invitò a sedere sull’erba di fronte a lui. Lo guardavo ammirato, era il mio papà ed era il mio Dio. Mia mamma e mia sorella stavano chissà dove mentre io ero lì con lui. E andava bene così.
Raccolse cinque o sei sassi, locomotiva e vagoni, e li dispose in fila sulla stradella in mezzo a noi.
- Il treno arriva trainato dalla sua locomotiva e si ferma qui, dove finisce il binario, sui respingenti. Li hai visti i respingenti alla stazione?
- Sì - dissi, ma non me li ricordavo mica.
- Poi i viaggiatori scendono, mentre il treno sta fermo. Le hai viste le persone scendere?
- Sì, sì le ho viste quelle – dissi, e potete scommetterci che ne avevo viste a bizzeffe.
- E mentre chi è arrivato va via e chi parte sale sui vagoni, alla coda del treno si aggancia un’altra locomotiva che ha fatto manovra in stazione con i binari e gli scambi. Vedi, arriva da dietro.
Non è che compresi bene le parole, ma i gesti di mio padre con la sua mano che accodava un sasso nuovo in fondo al treno dei sassi-vagoni e se li portava via tutti, o quasi, quelli erano chiari.
- E quella? – dissi indicando la pietra rimasta in stazione.
- Quella è la vecchia locomotiva, poi andrà a tirare fuori un altro treno.
Mi sorrise e si alzò lasciando lì i sassi, composti e allineati in un esemplare convoglio. Ripartimmo, mano nella mano. Fatta una manciata di passi mi girai un attimo, per dare un ultimo sguardo al mio treno. Mi dispiaceva di doverlo lasciare lì.

La prima volta che France è stato in treno l’abbiamo portato da Firenze a Figline, un tragitto breve, una domenica pomeriggio, giusto per il viaggio. Aveva tre anni. Si è accomodato sul suo sedile, mani sui braccioli e sguardo fuori dal finestrino impaziente e concentrato come un grande.
- Siamo partiti, siamo partiti! – e ci guarda sgranando gli occhi.
Il treno sì è appena mosso, ma lui è già in estasi.
- Siamo partiti, siamo partiti… - quasi nient’altro per quindici minuti.
Ti viene da pensare che ci vuole poco a far felice un bambino.
Sulle prime abbiamo cercato di farlo star zitto, affinché non disturbasse, ma poi anche alla luce dei sorrisi degli altri viaggiatori, l’abbiamo lasciato dire.
Io e dolcemetà: due grandiglioni rimbecilliti dall’amore per quel frugoletto ricciolino.
Siamo rientrati con il buio e il viaggio è stato meno carico di emozioni, ma quando siamo scesi in stazione l’ho portato in testa al treno, mi sono accoccolato di fianco a lui e gli ho tenuto una lezione sui respingenti.

Un giorno poco dopo andammo nel bosco alla ricerca di funghi e di bastoni da appuntire. Lasciai la macchina abbastanza lontana dalla nostra meta perché potessimo camminare un po’ con gli zaini zeppi di panini, bevande, bussole e coltellini. Non amiamo allontanarci dalla civiltà per tempi superiori alle due ore senza avere con noi una bella scorta di generi di sopravvivenza.
Respirammo l’aria pura dei miei luoghi d’infanzia e passando di fianco al Poggio non potei resistere. C’era una staccionata nuova a delimitazione del campo e scavalcarla fu un gioco. Non mi ricordavo esattamente il posto e non speravo davvero di ritrovare il mio treno di sassi, lì composto sulla stradella. E infatti non c’era, però c’erano i sassi.
Mio figlio a ogni modo non mi chiese nulla, ero io che desideravo capitasse.
Sentivo il bisogno di annodare questa corda da mio padre a mio figlio e volevo che mi attraversasse.
- Lo sai come funzionano i treni?

18 dicembre 2013

Corri ragazzo vai


Categorie di runner che partecipano alle non competitive della domenica mattina:

Il veterano
Ha settant'anni compiuti, è un diesel, parte lento e affronta la salita nelle retrovie, per lunghi tratti corre nell'ombra, ma quando meno te l'aspetti ti raggiunge e, se fai l'errore di salutarlo, ti racconta della sua ultima maratona corsa in 3h e 53m. Naturalmente, ti arriverà davanti.

Il vecchio amico
Quello colla pancetta, quello che non vedevi dai tempi del "Divina" disco club. Quello dalle gran pacche sulle spalle e del bisogna organizzare una cena che di correre sembra non gliene possa fregare di meno. Eppure ti arriverà davanti.

Lo sciancato
Lo vedi partire che pensi non arrivi alla prima curva, corre tutto storto, un po' come Pollentier mandava i pedali, butta i piedi in fuori e le ginocchia in alto in un condensato d'ineleganza unico. Non te lo spieghi mica, ma ti arriverà davanti.

Il fighetto
Parte in quarta per farsi notare, ogni tre per due s'aggiusta il ciuffo e la maglietta sulle spalle. Appena la strada comincia a salire accusa dolori addominali o crampi assortiti per portarsi avanti con le giustificazioni, non si sa mai. Soffiandosi via il ciuffo dagli occhi ti arriverà davanti.

L'ex calciatore
Che difatti indossa la maglia viola sbiadita j.d. farrow's di Luciano Miani, che lui viene solo per avere più fiato quando gioca a calcetto e che questo non è certo il suo sport principe che la corsa per lui viene dopo il calcio, il basket, la pallamano e la pallacorda epperò, pure lui, con la maglia numero 10, ti arriverà davanti.

La donna di spalle
Che la vedi, la punti e decidi che sarà il tuo ghost, il tuo obiettivo, il tuo riferimento assoluto nella gara, da seguire e da non perdere d'occhio per poi raggiungerla e staccarla nel finale perché non ce l'ha quest'andatura irresistibile, diciamolo. Ma non la vedrai mai di faccia e ti arriverà davanti.

Il moribondo
È più di là che di qua, ansima come e peggio della locomotiva di Stephenson, eppure osa passarti avanti in salita, ma si capisce che morirà di lì a breve. Comunque preferendo morire a pancia piena, dopo il rifocillo finale, persino lui ti arriverà davanti.

Il salutone
Conosce tutti, quelli di una società e quelli di un'altra, saluta e stringe mani come fosse il leader di una qualche fazione politica. A metà gara supera un vecchio in tuta che arranca nei pressi del coma vigile e che probabilmente è partito mezzo secolo prima di tutti, e gli urla il si presume solito "Buongiorno maresciallo!". Ti arriverà davanti e poi verrà a salutarti.

Il culo
Sì vabbè che c'è anche una donna attorno, pare, della polisportiva Nave, forse, ma tutto quello che conta è che c'è un culo scolpito che corre, si muove sinuoso nella corrente alternando cambi di peso, contrazioni e distensioni della mela destra, della mela sinistra e di tutto l'ambaradàn. Manco a dirlo ti arriverà davanti.

Il chiacchierone
Non si cheta un secondo anche se in realtà non c'ha un cazzo da dire. Niente di nuovo almeno, le solite pippe su Renzi sindaco, Renzi segretario e Renzi però quelle facce lì; oppure sul tale che stava colla tale ma poi si son lasciati che la tale gli ha letto gli essemmesse della talaltra. Parla in circolo solo per dimostrare che a lui il fiato gli avanza e, fatalmente, ti arriverà davanti.

Il maresciallo

12 dicembre 2013

Automobilisti, strana gente

C'è questo buco per strada che non lo richiudono.
Non si capisce che c'hanno trovato, se una tomba etrusca, il petrolio o la maiala di so ma', fatto sta che hanno aperto il cantiere 20 giorni fa e non c'è sentore di fine lavori.
A qualunque ora passi non ci vedi un operaio manco col cannocchiale di Galileo.
Causa buco, la strada ha una sola carreggiata percorribile e c'è un semaforo temporaneo che ne regola il traffico e la mattina si forma una coda straordinaria, che può variare da uno a due chilometri con canonico imbottigliamento.
L'automobilista che fa? Il primo giorno viene colto di sorpresa dal buco, il secondo ripassa da lì sperando che l'abbiano già ritappato, e dal terzo in poi, invece, non ha più motivo né giustificazione, ma continua a passare da lì. In auto, chiaramente.
E consideriamo che esistono almeno un paio di strade alternative, certo un po' più lunghe, ma prive di buchi e di file di macchine. Però l'automobilista continua abitudinariamente a sciropparsi il suo percorso abituale e almeno trenta minuti di coda.
E ogni giorno mi chiedo perché, forse gli automobilisti hanno una vocazione al tafazzismo, o forse c'è qualcuno che li spinge a farlo. Chissà, magari gli spingitori di cavalieri medievali si sono riciclati in un più moderno spingitori di automobilisti.
Forse gli automobilisti amano solo restarsene al calduccio ascoltando la loro radio preferita e ritardando il più possibile il loro arrivo sui luoghi di lavoro. O forse semplicemente non gli passa per la testa che potrebbero esserci delle soluzioni alternative perché loro son così: sono automobilisti.

10 dicembre 2013

99 rimostranze a dio, o a chi per lui

La rimostranza è l’esprimere, portando motivate ragioni, il proprio biasimo, o rimproverando, o, più spesso, protestando per un torto subito o una mancanza di rispetto; nell’uso, più com. al plur.: farò le mie r. a chi di dovere (www.treccani.it).

E di Rimostranze, ne abbiam fatte 99, a dio, o a chi per lui (non a Cincirinella!) e Eva Clesis della Redazione di Ottolibri le ha curate raccogliendole in un ebook che, volendo, potete acquistare su Amazon già da domani a 5,99 eurini(*).

La mia rimostranza? Eccola, è la n. 99:

Caro Dio, o chi per te,
quella volta là, c'hai provato e va bene. Non ti portiamo rancore, hai mostrato coraggio e Dio te ne renderà merito, insomma puoi rendertene merito, ecco. Però la prossima volta che decidi di spedire la carne della tua carne sulla Terra per far quadrare i conti, per fare adepti, per dare delle direttive o anche solo per cazziare qualcuno, non mandare tuo figlio, ti supplico, manda tua figlia.
Che, con tutto il rispetto, Gesù ha pure fatto delle gran cose, tra camminare sull'acqua, moltiplicare i pesci senza calcolatori e resuscitare i morti... però, ecco, una femmina sarebbe più adatta, nel contesto storico.
Lo so, tu mi dirai che e' figl so piezz’e sacro cuore, però Gesù si è prodotto in performance talmente avulse dalle possibilità umane che per forza non era credibile, miracoli li hanno dovuti chiamare.
Però, se non sei credibile, hai voglia di predicare, hai voglia di essere figlio di, ma chi t'ascolta?
Con una donna sarebbe diverso. Perché la donna è una che s’alza la mattina prima di tutti, una che fa la spesa per la famiglia, porta i figli a scuola, li riprende, prepara colazioni, pranzi e cene a diritto, gestisce in autonomia il miracolo, quello sì, del ciclo cesta dei panni/lavatrice/stendino/stiratura/cassetto, una che sette giorni al mese lunare si sminestra pure le cose sue senza che in casa ne risentano, una che frulla tra piscina, calcio, palestre, fa e sfa borsoni fetenti, una che lavora anche otto ore al giorno, tiene a bada le mani del capo, tiene casa in ordine, e spolvera e pulisce i vetri alle finestre insomma, una così, una donna, se anche dovesse ridare la vista a un cieco, cosa sarebbe mai al confronto di quello che già fa?
Una donna che ridà la vista a un cieco sarebbe credibile, magari deve trovarli quei dieci minuti liberi per impastare il fango e lo sputo, ritagliarli tra la riunione a scuola e lo scarico lavastoviglie, ma se li trova, il cieco sarà l'ultimo dei suoi problemi.
In attesa di Gesuina, porgiamo i nostri più cordiali saluti.

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E grazie al Cielo per la segnalazione dell'iniziativa
(*) ah, non pensate che me ne venga qualcosa a parte la peritura fama e un fascio di strali divini.

5 dicembre 2013

Ti prego, non chiamarmi Barbie

- Ma 'sta vecchia non muore mai?
Questo che parla è il mio genitore e la vecchia di cui va cianciando è sua mamma e pure mia nonna, come si evince dalle parentele, ma è anche un’ottantaquattrenne artritica e demente, con rispetto parlando.
- Ma, Luca, è sempre tua mamma!
E questa è la mia genitrice, una che non si scompone mai e che sa sempre esattamente cosa dire, una mamma con tutti i crismi.
- Crunch, crunch.
E 'st'idiota che mastica è mi' frate. La cena è terminata da un’ora ma lui si fa ancora di fondente nero, quello con le nocciole, sgranocchia in estasi come fosse in un altro universo e innaffia di Fanta. Ha il cervello agli arresti domiciliari e se a una cert’ora non lo fermi, capace che tira mattina e difatti i brufoli li vende all’ingrosso.
La nonnina, oltre a mio padre, ha un'altra legittima erede, la zia, che non foss'altro perché si prende cura della sua vecchia quasi da sola, sta in odore di santità. A me mi piace parlare un po' scelto, tipo dire si evince, con tutti i crismi e odore di santità.
Mi piace perché di studiare non è cosa e allora vado con quello che sento in tivù così i gonzi poi credono che so parlare. E dico anche a me mi, quando ci vuole. Anche se alla fine poco mi fotte di parlar bene, come volevasi dimostrare.
C'è questo problema che la vecchia da sola non campa più, alle sue costole hanno piazzato una badante dell'est di sana e robusta costituzione, che se la piglia, se la culla, se la porta in giro, se la nutre e se la pulisce di roba grossa e di roba fina. Il babbo ha cominciato a chiamarla Kornelia Ender, ma non chiedetemi perché.
Di sabato e domenica Kornelia se la spassa alle Cascine o chissà dove la porta il cuore e la zia si cura della vecchia, se la porta a casa sua e se la tiene a pensione fino a domenica sera. Quando la riporta le fa scendere un calmante e la mette a letto.
La polaccona, o quello che è, arriva il lunedì mattina presto, problemi non ce ne sono e fin qui ognuno si piglia le beghe sue.
Di giovedì è un’altra musica: la vecchia, con i suoi dolori, i suoi ohi ohi e le sue scariche corporali tocca a papino mio. Ma questo in teoria, perché va a finire che lui strafà in ufficio e dalla bacucca mi tocca andarci a me e non è proprio come meriggiare a Capri d’agosto.
- Oggi ci vai te, Barbara. La nonna si sente più a suo agio con te che con tuo fratello.
- Minchiasecca, però!
- Ma come parli, Barbie?
Ora, se davvero vuoi farmi uno spregio chiamami Barbie. Io che di Barbie non ho nulla. Nein capello platinato, nein chilometri di gambe, nein vitino di vespa, nein tette a punta. Io che viaggio con gli anfibi ai piedi e con una maglietta sdrucita color nerofumo di copertone da puttane.
Esigo che mi si chiami BaRbaRa, con tutt’e due le mie ERRE, ostili e dure.
L'idea m’è venuta verso metà dicembre sentendo il mio genitore blaterare a telefono con la zia. Pare ci fosse un bel botto di soldi contanti da dare a Kornelia, il mese più la tredicesima, più gli extra, una cifra attorno ai tremila tanto per essere chiari. Li avrebbero lasciati al solito posto, in casa della nonna, salvo tirarli fuori attorno al venti per la ragazza dell’est malata d’amore per la vita.
Dopo sette giovedì di fila dalla nonnina io stavo al limite.
- Perché non l'ammazzi? - fa Ollio sfumacchiando, è seduto sulla spalliera di una panchina.
- Già, perché?
Non è stata una decisione presa così, ma se vi concentrate su come si dipanasse un giovedì pomeriggio in compagnia di mia nonna capirete da soli che prima di uscire pazza qualcosa mi dovevo inventare.
Scegliere il giorno invece è stato facile, sapevo che i soldi erano in casa e sapevo dove: dietro a una vecchia foto della zia bambina. Un ritratto dove la zia avrà sì e no cinque anni: è seduta su una scalinata in pietra col parapetto in muratura rifinito in cotto, su ogni gradino un vaso di gerani e in ogni vaso grappoli di fiori rosso scarlatto. La zia bambina ha la testa inclinata verso una spalla e gli occhi furbetti che puntano il fotografo, con una mano ha staccato un fiorellino.
Decidiamo di entrare per la razzia dei tremila euri la domenica notte, verso le tre. Al ritorno di Kornelia dalle sue scorribande festive con i badanti del mondo emerso, l’opera sarebbe stata compiuta. Sì, sono anche una che dice euri.
Ollio è a posto e sa tenere la bocca cucita se cucita ha da stare.
Passiamo dalla finestrina della caldaia scalciando la retina antinsetti che mica sono così torda da entrare con le chiavi.
Con la pila accesa filo dritta da mia zia bambina, stacco la foto dal muro, tiro via i soldi dalla busta e li passo a Ollio. Facile come mangiare una pesca melba.
- Allora? - mi fa Ollio.
- Adesso vado!
Torcia in bocca, struscio in cucina e mi prendo un coltellaccio da cocomero, colla punta bella dritta. Dico a Ollio di restare lì e vado in camera, dalla nonna.
Ho tutto il tempo che voglio, la vecchia dorme della grossa, è supina, non devo nemmeno girarla. Alzo il coltello e le mollo un fendente sul petto.
Non ci crederete, la vecchia balza a sedere di scatto, caccia un urlo soffocato e il coltello schizza chissà dove. La nonna spalanca gli occhi e guarda in direzione del fascio di luce. Non può vedermi, sto inghiottita dal buio, ma la sento gorgogliare qualcosa. Forse dice “è tardi”, forse dice “non mi garbi” o un’altra parola priva di senso.
O forse dice Barbie. Cazzo.

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Il testo partecipa all'EDS Nero di Natale by La Donna Camèl assieme a:
Zebre e savane - Dario
Placida come il fiume - Leuconoe
Madeleine - Melusina
Natale con soffritto - Pendolante
Pedalata nera - Kermit
Il quadro capovolto seconda parte - Fulvia
Una vita segnata - Lillina
Nero livido - Calikanto
Se tu mi amassi - La Donna Camèl
Chi è di scena - Angela
Taccido - Angela
Notturno per Torino - Pendolante

4 dicembre 2013

Io non voto con il porcellum

Beh, sì, l’avevo già detta questa cosa.
Il motivo della mia delusione, a conferma che andare a votare con questa legge non era né cosa buona né cosa giusta, lo possiamo chiamare Bindi, o magari larghe intese, chessò, o fors’anche farsi umiliare da Grillo o non aver trovato le palle il coraggio, caro Bersani, di uscire di scena con dignità quando ancora eri in tempo.
Fatto sta.
Quello che voglio è dare un segnale, non votando. E anche dichiarandolo con anticipo: io non voterò se resterà il porcellum.
Dite che un non voto in fondo è poca cosa? Non penso. Se è importante ogni singolo voto, allora dev’essere giocoforza importante ogni singolo non voto.
Il mio non voto è un non voto pesante considerando che dai 18 anni non ho mai saltato un turno e che la mia coscienza è in disaccordo con questa mia alzata d'ingegno.
Di conseguenza mi asterrò persino dalle primarie che anche tutta ‘sta democrazia, tutto questo prendere decisioni solo dopo aver consultato i cittadini o tutto l’arco politico, gli elettori, gli amici e i parenti fino al sedicesimo grado è un troppo che ha stroppiato.
Serve un pelo in meno di condivisione per riuscire a fare le cose in concreto.
Se questo post è una petizione? Forse… nell'accezione che viene da peto e dal suo falso derivato. Già, probabilmente è solo una scureggina nel mare magnum dell'indignazione, spero solo che puzzi un po'.
Non votate con il porcellum, date retta a un bischero, potete firmare nei commenti.
Va da sé che io sono qua, rendetemi partecipe dei vostri pensamenti, se volete, ché io non disdegno cambiare idea quando ci sono delle buone ragioni per farlo.

P.s. proprio stamattina alle 6:30 a.m., mentre correvo immerso nel gelo delle brume notturne, ascoltavo in radio la dichiarazione di Grasso di ieri: Sulla legge elettorale al momento lo stallo (da 'stallatico' n.d.H.) è evidente e la politica non sente la marea montante di una rabbia che si riverserà, più forte di prima, contro tutti i partiti.
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