Copio Chiagia che s'ispira a Gramellini e fermo le istantanee delle mie 3 Italie-Germanie, anzi aggiungo una bonus track.
1970 - L'ho vista solo il giorno dopo, in bianco e nero sul già citato Radio Allocchio Bacchini. Ricordo la frase di mio padre che, incredulo, raccontava della gente che a Firenze per la gioia aveva fatto il bagno nelle fontane. Ecco, lui era più stupito da questa cosa che dalla rocambolesca partita dell'Azteca. Il mio idolo Gigi Riva segnò un gol straordinario (riguardatevelo dall'inizio, è lui che recupera quel pallone nella nostra metà campo) e fu il primo ad abbracciare Gianni Rivera alla rete del definitivo 4 a 3. Quell'abbraccio, ogni volta che lo vedo o che lo penso, mi dà i brividi, né più né meno dello scolapasta assassino.
1978 (extra) - Non era una finale e non era un'eliminazione diretta, era la partita di un gironcino al mundial argentino. Era l'estate del mio primo lavoro (in vacanza da scuola) al distributore Esso dell'area di servizio Chianti Ovest, pompavo bnezina giù nei serbatoi ed ero di turno. Fu Pasco, un collega - che dio o chi per lui lo benedica! - ad arrivare con un Sinudyne 14 pollici in rigoroso bianco e nero che fu piazzato all'Esso Shop. Era una grande Germania, erano i campioni del mondo in carica, giocavano con Sepp Maier in porta, ma tenemmo il campo bene, meglio di loro e pareggiammo 0 a 0. Rammento Antognoni, col 9, sostituito da Zaccarelli.
1982 - Ero militare a Pistoia e dovevo rientare alle 11, tassativo. Se fossero andati ai supplementari, li avrei persi. La vedemmo a casa mia con mia sorella, mio cognato e una coppia di loro amici di Pontassieve, mai visti prima e poi spariti nel nulla. Rientrai in caserma con il tricolore appeso al collo come un mantello e mi presi l'applauso dell'ufficiale di guardia. Ma la cosa che più ho impressa nella memoria è la delusione al rigore di Cabrini e la sequela di insulti che gli ho urlato contro, altro che il vaffa bonario di Pertini.
2006 - Ero in campeggio, alle Rocchette, e l'ho vista coi villeggianti allo schermo gigante, compresi parecchi tedeschi. Anche il mio France era piccolo e dormiva in roulotte con dolcemetà che si era sacrificata... ricordo anch'io molto bene quella fava di Fabio Caressa che alla fine disse "E ora andiamo a Berlino a prenderci la coppa" e che ci toccammo tutti, proprio lì (ognuno i suoi).
2012 - Quello che mi vien da dire è che fuori non percepisco un clima da Italia-Germania, non si respira il sapore acre di certe vigilie. Non si parla di formazione, non la si discute. Dove son finiti i 50 milioni di Commissari Tecnici? Hanno perso il lavoro pure loro?
28 giugno 2012
26 giugno 2012
Wimbledon 2012
Il primo Wimbledon che ricordi in tivù è quello del 1976 con la finale giocata e vinta dall'astro nascente Borg. L'avversario dello svedese era il rumeno Ilie Nastase, un personaggio unico, il McEnroe di quei tempi, per intenderci.
Ero con Nicola, siamo partiti presto dopo pranzo, era un caldo soffocante, gli adulti murati nelle case. Era il giorno della finale, ma dovevamo farne altre ventimila, non è che un evento solo, seppure così importante, poteva saziare il nostro vagabondo spirito estivo.
Siamo andati prima al lago del Migliorini, strisciando per fossi e viottoli erbosi incuranti del caldo e, una volta là, abbiamo fatto strage di persici: pesciolini fin troppo colorati e vivaci per vivere in quella melma di lago ma comunque immangiabili.
Poi siamo tornati e sudati fradici ci siamo buttati sul divano per ammirare i nostri eroi sul catodico tubo del mio Radio Allocchio Bacchini.
Nicola teneva Borg e io Nastase, perché tenere Nastase era più comodo, lui era famoso, l'altro era un pischello venuto da chissà dove. Nicola, invece, che faceva sempre l'alternativo tifando Stenmark, il Lanerossi Vicenza e James Hunt sposò la causa del biondone, imparò pure il rovescio a due mani e prese a farmi il culo sul campo in terra rossa del Rampizzi (eh sì).
A me Wimbledon rilassa, oltre a scandire piacevolmente la vita. Intanto è in un periodo in cui siamo spesso in ferie, al mare nei weekend o in piscina ed evoca giocoforza scenari migliori della sagra della ballotta di novembre. E poi è preciso, puntuale, si presenta educato sul tuo schermo, ti irrora il salotto di un bel verde e pare che ti dice "ciao, stai ancora là? Io ci sono, puoi buttare un occhio se ti va".
Wimbledon è una garanzia, ritorna ogni anno ed è sempre carico di fascino.
Tutto questo per dire che se un anno avrò quei due-tremila euro da buttare ci vado a vedere una finale.
Ero con Nicola, siamo partiti presto dopo pranzo, era un caldo soffocante, gli adulti murati nelle case. Era il giorno della finale, ma dovevamo farne altre ventimila, non è che un evento solo, seppure così importante, poteva saziare il nostro vagabondo spirito estivo.
Siamo andati prima al lago del Migliorini, strisciando per fossi e viottoli erbosi incuranti del caldo e, una volta là, abbiamo fatto strage di persici: pesciolini fin troppo colorati e vivaci per vivere in quella melma di lago ma comunque immangiabili.
Poi siamo tornati e sudati fradici ci siamo buttati sul divano per ammirare i nostri eroi sul catodico tubo del mio Radio Allocchio Bacchini.
Nicola teneva Borg e io Nastase, perché tenere Nastase era più comodo, lui era famoso, l'altro era un pischello venuto da chissà dove. Nicola, invece, che faceva sempre l'alternativo tifando Stenmark, il Lanerossi Vicenza e James Hunt sposò la causa del biondone, imparò pure il rovescio a due mani e prese a farmi il culo sul campo in terra rossa del Rampizzi (eh sì).
A me Wimbledon rilassa, oltre a scandire piacevolmente la vita. Intanto è in un periodo in cui siamo spesso in ferie, al mare nei weekend o in piscina ed evoca giocoforza scenari migliori della sagra della ballotta di novembre. E poi è preciso, puntuale, si presenta educato sul tuo schermo, ti irrora il salotto di un bel verde e pare che ti dice "ciao, stai ancora là? Io ci sono, puoi buttare un occhio se ti va".
Wimbledon è una garanzia, ritorna ogni anno ed è sempre carico di fascino.
Tutto questo per dire che se un anno avrò quei due-tremila euro da buttare ci vado a vedere una finale.
25 giugno 2012
Libri da scrivere - n. 3
Colita
La passione amorosa di un attempato professore per un'adolescente. Alla fine, con tutto quel fuoco nei lombi, l'infiammazione al colon era il minimo.
Siddhartagnan
Ritrovare se stesso tirando di scherma.
Camera con Vistola
A un barese in gita a Varsavia assegnano una stanza con affaccio sul fiume.
Lo stravecchio e il mare
Sono ottantaquattro giorni che Santiago non prende un pesce. Disperato, si ubriaca col brandy.
Eat
Un mostro vive nelle viscere di Derry, una cittadina del Maine, e quando ti trova ti mangia.
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Qui le sessioni precedenti: 1 - 2
24 giugno 2012
Notti magiche...
...inseguendo un gol
sotto il cielo
di un'estate
ucraina.
P.s. Questo post partecipa al concorso "Metti un post su blogger coll'ipad te che tu fai tanto i' ganzo".
22 giugno 2012
Acqua 2 Ho
Il comune dove abito, Bagno a Ripoli, (avremmo modo di parlarne anche male, ma un'altra volta) ne ha fatta una giusta impiantando sul territorio enne distributori di acqua alta qualità, ché a noi bere proprio quella del rubinetto ci schifava un po', anche se con la brocca e i filtri si faceva.
Quindi si va ai distributori pubblici e si evita l'assurdità ecologica di approvvigionarsi ai supermercati di bottiglioni plastici ripieni del prezioso liquido proveniente dai luoghi più disparati e lontani e altissimi e purissimi della penisola (quando non dall'estero), e portato a destinazione da tutti quei bei TIR che mi passano davanti casa rilasciando gli amabili resti di polveri sottili che non riuscirebbe a tirare via manco quel matto di Pablo col Pronto, purtroppo.
Va così che, gratuitamente, ci procuriamo dell'ottima acqua da bere, financo gassata, volendo.
Solitamente io, dolcemetà e pikachu (il piccolo) beviamo quella gassata mentre goku (il grande) quando viene, va rigorosamente a naturale, essendo sempre stato avverso alle bollicine.
Ora succede uno strano fenomeno quando siamo a cena in 4 e sulla tavola coesistono i 2 tipi di acqua, naturale e minerale: pikachu beve solo ed esclusivamente acqua naturale e guai a versargli l'altra.
E io, da padre, che ci vedrò secondo voi? Una picca? No!
Ci vedo l'ammirazione, il rispetto, la stima, l'invidia, l'emulazione... l'amore, in una parola, del cucciolo per il suo fratellone.
E mi sciolgo, pure con l'aria condizionata a palla.
Quindi si va ai distributori pubblici e si evita l'assurdità ecologica di approvvigionarsi ai supermercati di bottiglioni plastici ripieni del prezioso liquido proveniente dai luoghi più disparati e lontani e altissimi e purissimi della penisola (quando non dall'estero), e portato a destinazione da tutti quei bei TIR che mi passano davanti casa rilasciando gli amabili resti di polveri sottili che non riuscirebbe a tirare via manco quel matto di Pablo col Pronto, purtroppo.
Va così che, gratuitamente, ci procuriamo dell'ottima acqua da bere, financo gassata, volendo.
Solitamente io, dolcemetà e pikachu (il piccolo) beviamo quella gassata mentre goku (il grande) quando viene, va rigorosamente a naturale, essendo sempre stato avverso alle bollicine.
Ora succede uno strano fenomeno quando siamo a cena in 4 e sulla tavola coesistono i 2 tipi di acqua, naturale e minerale: pikachu beve solo ed esclusivamente acqua naturale e guai a versargli l'altra.
E io, da padre, che ci vedrò secondo voi? Una picca? No!
Ci vedo l'ammirazione, il rispetto, la stima, l'invidia, l'emulazione... l'amore, in una parola, del cucciolo per il suo fratellone.
E mi sciolgo, pure con l'aria condizionata a palla.
21 giugno 2012
Di Sasso restare
Matera è qualche cosa, insomma, va vista.
Ti resta negli occhi, la sua storia, il caldo torrido, la gravina, i paesaggi delle colline attorno e la sensazione privilegiata d’essere in un buco segreto di mondo.
Anche parcheggiare in piazza San Pietro Caveoso, dov’è stato flagellato Jim Caviezel in The Passion di Mel Gibson, fa un certo effetto, cristosanto.
Epperò, 'sti Sassi, son patrimonio, sì, ma di chi?
Dell’Unesco, dei materani, dell’umanità? Certo, quello è che canalizza il flusso continuo di visitatori: i Sassi.
E allora, se mi permettete, non so bene a chi rivolgermi, questi Sassi dovrebbero essere mantenuti a garbo. Non si può visitarli e scoprire che all’interno vi sono abbandonati rifiuti di ogni genere che nessuno si prende cura di togliere o di segnalarne la presenza.
Ci siamo imbattuti in alcuni Sassi davvero vergognosi. Così, a memoria, ricordo tracce inqualificabili della civiltà moderna: bottiglie vuote di birra, sacchetti in plastica pieni d’immondizia, bucce di cocomero a gogò, tavolini da giardino semi-apparecchiati, sacchi a pelo, gomme di bicicletta, ammassi indistinti di calcinacci e terra, lattine.
Va da sé che visitare i Sassi, per loro natura, ci s’immagina che non sia come andare a zonzo in un salone degli arazzi, ma un conto è il grezzo naturale, l’odore di vissuto e di muffa di un Sasso scavato nella calcarenite e un conto è l’abbandono e l’incuria in cui alcune grotte versano.
Che devo dire? Son rimasto stupito anche che ci abbiano accompagnato nel nostro giro guidato al cospetto dei Sassi profanati dalla sporcizia (e non era materiale del giorno prima, vi assicuro). Non sarebbe cambiato molto ma, almeno, fatevi furbi: portate i turisti dov'è pulito e nel frattempo (SUBITO!) sbrattate il resto.
Basta poco, una mattinata e un manipolo di volontari.
Quanto alla soundtrack di Matera consiglio Johnny Cash, io l'ho sentita là, alla radio, venendo via e... beh.
Ti resta negli occhi, la sua storia, il caldo torrido, la gravina, i paesaggi delle colline attorno e la sensazione privilegiata d’essere in un buco segreto di mondo.
Anche parcheggiare in piazza San Pietro Caveoso, dov’è stato flagellato Jim Caviezel in The Passion di Mel Gibson, fa un certo effetto, cristosanto.
Epperò, 'sti Sassi, son patrimonio, sì, ma di chi?
Dell’Unesco, dei materani, dell’umanità? Certo, quello è che canalizza il flusso continuo di visitatori: i Sassi.
E allora, se mi permettete, non so bene a chi rivolgermi, questi Sassi dovrebbero essere mantenuti a garbo. Non si può visitarli e scoprire che all’interno vi sono abbandonati rifiuti di ogni genere che nessuno si prende cura di togliere o di segnalarne la presenza.
Ci siamo imbattuti in alcuni Sassi davvero vergognosi. Così, a memoria, ricordo tracce inqualificabili della civiltà moderna: bottiglie vuote di birra, sacchetti in plastica pieni d’immondizia, bucce di cocomero a gogò, tavolini da giardino semi-apparecchiati, sacchi a pelo, gomme di bicicletta, ammassi indistinti di calcinacci e terra, lattine.
Va da sé che visitare i Sassi, per loro natura, ci s’immagina che non sia come andare a zonzo in un salone degli arazzi, ma un conto è il grezzo naturale, l’odore di vissuto e di muffa di un Sasso scavato nella calcarenite e un conto è l’abbandono e l’incuria in cui alcune grotte versano.
Che devo dire? Son rimasto stupito anche che ci abbiano accompagnato nel nostro giro guidato al cospetto dei Sassi profanati dalla sporcizia (e non era materiale del giorno prima, vi assicuro). Non sarebbe cambiato molto ma, almeno, fatevi furbi: portate i turisti dov'è pulito e nel frattempo (SUBITO!) sbrattate il resto.
Basta poco, una mattinata e un manipolo di volontari.
Quanto alla soundtrack di Matera consiglio Johnny Cash, io l'ho sentita là, alla radio, venendo via e... beh.
19 giugno 2012
Faccio lo sborone
Uno, due, tre…
Al casino mi ha portato il mio cugino grande, il Loris.
Che io, per me, ci sarei anche andato prima, ma era che lui ci teneva troppo a questa cosa. C’aveva portato già suo fratello.
Ma ora toccava a me, diobono, sedici anni finiti e tanta voglia di veder della passera.
Che io, per me, avevo già visto quella della Barbarina, se vale dal buco della gabina al mare. Che lei lo sapeva che quando si cambiava il costume c’era la fila di noi a spintonarsi lì fuori, ma non s’affrettava mica, anzi pareva che lo faceva apposta.
Che poi ce lo dissi pure, Barbarina tanto te l’ho vista, non è che me la fai anche toccare. Vamolà e uno spintone, ma secondo me, prima o poi…
Pedala il Loris, che io devo mantenere le forze, dice, e quindi sto dietro, in piedi sul portapacchi, faccio il signore. Il posto sta sullo stradone lungo che porta a Riosparuto, per quello lo sanno pure i cinnazzi di sei anni, fa un caldo boia e meno male che non fatico.
L’ho capito adesso cos’aveva da ridacchiare mio papà, a pranzo, con tutto che era strano che di sabato il Loris fosse a mangiare da noi. Mia mamma stava zitta, invece, ma per sapere sapeva anche lei, e mi ha sbucciato pure una mela, senza che le chiedevo nulla.
Prendo il vento in faccia, fischio alle ragazze e canto. Faccio lo sborone, ma in realtà mi sto cagando sotto, mica per nulla. Che per me il Loris l’ha capito, ma che devo fare? Se c’è una via per farla finita di bastonare il cieco è questa.
Quando s’arriva ho le gambe molli, nemmeno avessi pedalato io e venissi dalla riviera.
Trecentoventisei, trecentoventisette, trecentoventotto…
Il Loris mi fa accomodare in una specie di salottino dove c’è già un signore coi baffi, anzi, sarebbe meglio dire ci son due baffi con un signore, visto che i mustacchi hanno l’aspetto e la dimensione di code di martora ed è la prima cosa che si nota.
Che c’abbiamo, un’entratura? Chiede una tipa tracagnotta e mezza ignuda che pregavo il cielo non era la mia, ecco.
Sì, fa il Loris, c’è il mio cuginetto che da oggi entra nel giro.
Poi confabulano un po’ e il Loris s’infratta dietro una tenda, un corridoio e chissà cos’altro.
‘Spetta mo’ qua, e io fermo.
Immobile come la statua biancobarbuta di Garibaldi in piazza, accanto al mustacchione che nel frattempo s’è messo a leggere, che per me faceva finta e voleva solo sembrare che stava lì per caso.
Se mi concentravo potevo sentire le cicale fuori dalla finestra che s’accordavano al tapùm tapùm del mio cuore.
Una mora, alta un paio di metri, viene a pigliarsi l’altro, e come le va lesto dietro, il baffone.
Ora non ci sono che io ed è come se una morsa mi agguanta le budella. Vorrei scappare e scapperei se solo posso evitare che lo sanno tutti in paese. E allora resto, con queste gambe burrose e un affarino tra le gambe così rattrappito che nemmeno quando si fa il bagno nell’acqua gelata della pescaia.
Bionda, è l’unica cosa che riesco a pensare, vorrei proprio che appare una bionda, non m’importa se tinta, che io mica lo so. E poi è uguale.
Dopo uso il trucchetto, quello mio per rilassarmi quando c’ho troppa strizza: inizio a contare. Da uno in su, fin dove arrivo prima che succeda la cosa, la cosa che son lì per quella. E conto, niente di specifico, metto solo in fila dei numeri, uno via l’altro e andare oltre il cento, verso il mille.
E al cinquecentosettantuno una mano rosso smaltata scosta la tenda.
-----------------------------------------------
Il testo partecipa all'EDS Attesa come anche :
Ti aspetto by SpeakerMuto (Radio Free Mouth)
God save the Queen - by Melusina (Poco mossi gli altri mari)
E tu come stai? - by firulì firulà...
Anime - by Lillina (Ora e Qui)
Ombre di fiori sul mio cammino - by Dario (Solo Testo)
In-attesa - by Chiagia (La pipa di Magritte)
Al casino mi ha portato il mio cugino grande, il Loris.
Che io, per me, ci sarei anche andato prima, ma era che lui ci teneva troppo a questa cosa. C’aveva portato già suo fratello.
Ma ora toccava a me, diobono, sedici anni finiti e tanta voglia di veder della passera.
Che io, per me, avevo già visto quella della Barbarina, se vale dal buco della gabina al mare. Che lei lo sapeva che quando si cambiava il costume c’era la fila di noi a spintonarsi lì fuori, ma non s’affrettava mica, anzi pareva che lo faceva apposta.
Che poi ce lo dissi pure, Barbarina tanto te l’ho vista, non è che me la fai anche toccare. Vamolà e uno spintone, ma secondo me, prima o poi…
Pedala il Loris, che io devo mantenere le forze, dice, e quindi sto dietro, in piedi sul portapacchi, faccio il signore. Il posto sta sullo stradone lungo che porta a Riosparuto, per quello lo sanno pure i cinnazzi di sei anni, fa un caldo boia e meno male che non fatico.
L’ho capito adesso cos’aveva da ridacchiare mio papà, a pranzo, con tutto che era strano che di sabato il Loris fosse a mangiare da noi. Mia mamma stava zitta, invece, ma per sapere sapeva anche lei, e mi ha sbucciato pure una mela, senza che le chiedevo nulla.
Prendo il vento in faccia, fischio alle ragazze e canto. Faccio lo sborone, ma in realtà mi sto cagando sotto, mica per nulla. Che per me il Loris l’ha capito, ma che devo fare? Se c’è una via per farla finita di bastonare il cieco è questa.
Quando s’arriva ho le gambe molli, nemmeno avessi pedalato io e venissi dalla riviera.
Trecentoventisei, trecentoventisette, trecentoventotto…
Il Loris mi fa accomodare in una specie di salottino dove c’è già un signore coi baffi, anzi, sarebbe meglio dire ci son due baffi con un signore, visto che i mustacchi hanno l’aspetto e la dimensione di code di martora ed è la prima cosa che si nota.
Che c’abbiamo, un’entratura? Chiede una tipa tracagnotta e mezza ignuda che pregavo il cielo non era la mia, ecco.
Sì, fa il Loris, c’è il mio cuginetto che da oggi entra nel giro.
Poi confabulano un po’ e il Loris s’infratta dietro una tenda, un corridoio e chissà cos’altro.
‘Spetta mo’ qua, e io fermo.
Immobile come la statua biancobarbuta di Garibaldi in piazza, accanto al mustacchione che nel frattempo s’è messo a leggere, che per me faceva finta e voleva solo sembrare che stava lì per caso.
Se mi concentravo potevo sentire le cicale fuori dalla finestra che s’accordavano al tapùm tapùm del mio cuore.
Una mora, alta un paio di metri, viene a pigliarsi l’altro, e come le va lesto dietro, il baffone.
Ora non ci sono che io ed è come se una morsa mi agguanta le budella. Vorrei scappare e scapperei se solo posso evitare che lo sanno tutti in paese. E allora resto, con queste gambe burrose e un affarino tra le gambe così rattrappito che nemmeno quando si fa il bagno nell’acqua gelata della pescaia.
Bionda, è l’unica cosa che riesco a pensare, vorrei proprio che appare una bionda, non m’importa se tinta, che io mica lo so. E poi è uguale.
Dopo uso il trucchetto, quello mio per rilassarmi quando c’ho troppa strizza: inizio a contare. Da uno in su, fin dove arrivo prima che succeda la cosa, la cosa che son lì per quella. E conto, niente di specifico, metto solo in fila dei numeri, uno via l’altro e andare oltre il cento, verso il mille.
E al cinquecentosettantuno una mano rosso smaltata scosta la tenda.
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Il testo partecipa all'EDS Attesa come anche :
Ti aspetto by SpeakerMuto (Radio Free Mouth)
God save the Queen - by Melusina (Poco mossi gli altri mari)
E tu come stai? - by firulì firulà...
Anime - by Lillina (Ora e Qui)
Ombre di fiori sul mio cammino - by Dario (Solo Testo)
In-attesa - by Chiagia (La pipa di Magritte)
17 giugno 2012
Read Only Memory - n. 7
Gli enigmisti, e non solo, sanno bene che la definizione perfetta che inquadra il bibliotecario è beato coi libri, anche e soprattutto perché si tratta del suo anagramma.
Alla biblioteca dove vado io, ché nonostante il Kindle leggo ancora 'sti cosi cartacei, di solito mi serve un bibliotecario che beato non è di certo. Sempre immusonito, sempre incacchiato con chi lascia la porta aperta, con chi la lascia chiusa, col collega che non gli dà mano o col collega che s'intromette, coi bimbetti che giocano e coi ragazzi che posano il casco nell'armadietto. E poi dorme, per registrare i tuoi noleggi ci sta una vita, guarda in qua, guarda in là, pare sbarcato da Alpha Centauri col diretto delle tre. E penso che quella meravigliosa definizione non regge con lui, non regge se non la modifichi un po'. Alla fine ce la fa, passa i miei volumi e io, sfibrato, posso andarmene, e lo lascio lì: beota coi libri.
- Sai perché ho sposato Carol? – Questa volta pronunciò il suo nome, come per rendere a bella posta più brutalmente indiscreto ciò che stava per confessare. Ma non era, in effetti, la brutalità di Henry; era la brutalità della sua coscienza, che lo sorprendeva prima ancora che lui avesse cominciato a violarne i principî.
- No, - rispose Zuckerman, al quale Carol era sempre sembrata carina, ma noiosa, - no, davvero.
- Non è stato perché piangeva. Non è stato perché le avevo messo il distintivo all’occhiello e l’anello al dito. Non è stato neanche perché i nostri genitori si aspettavano che lo facessimo… Le avevo prestato un libro. Le avevo prestato un libro, e sapevo che se non l’avessi sposata non l’avrei più rivisto.
(Zuckerman scatenato - Philip Roth)
E voi che state leggendo? A parte le dichiarazioni del Trap, intendo.
Alla biblioteca dove vado io, ché nonostante il Kindle leggo ancora 'sti cosi cartacei, di solito mi serve un bibliotecario che beato non è di certo. Sempre immusonito, sempre incacchiato con chi lascia la porta aperta, con chi la lascia chiusa, col collega che non gli dà mano o col collega che s'intromette, coi bimbetti che giocano e coi ragazzi che posano il casco nell'armadietto. E poi dorme, per registrare i tuoi noleggi ci sta una vita, guarda in qua, guarda in là, pare sbarcato da Alpha Centauri col diretto delle tre. E penso che quella meravigliosa definizione non regge con lui, non regge se non la modifichi un po'. Alla fine ce la fa, passa i miei volumi e io, sfibrato, posso andarmene, e lo lascio lì: beota coi libri.
- Sai perché ho sposato Carol? – Questa volta pronunciò il suo nome, come per rendere a bella posta più brutalmente indiscreto ciò che stava per confessare. Ma non era, in effetti, la brutalità di Henry; era la brutalità della sua coscienza, che lo sorprendeva prima ancora che lui avesse cominciato a violarne i principî.
- No, - rispose Zuckerman, al quale Carol era sempre sembrata carina, ma noiosa, - no, davvero.
- Non è stato perché piangeva. Non è stato perché le avevo messo il distintivo all’occhiello e l’anello al dito. Non è stato neanche perché i nostri genitori si aspettavano che lo facessimo… Le avevo prestato un libro. Le avevo prestato un libro, e sapevo che se non l’avessi sposata non l’avrei più rivisto.
(Zuckerman scatenato - Philip Roth)
E voi che state leggendo? A parte le dichiarazioni del Trap, intendo.
16 giugno 2012
Soco soco bate bate soco soco vira vira
Ho mangiato talmente tanto che mi hanno recensito su TrippaAdvisor.
Una settimana al meeting sportivo in cui mi sono distinto soltanto a tavola (e non era quella a vela!).
Tanto tennis, un fiume di mojito e bagni ripetuti tra la piscina e lo Ionio, insomma tutto il pacchetto villaggio. Compresi i balli di gruppo.
E per ogni cosa che ti servisse, dovevi presentarti colle mossette del Soco Soco, altrimenti non ti cagava nessuno. Se non ti picchiavi i pugnetti, i palmi e il petto non mangiavi, non entravi in piscina e non ti pulivano manco la stanza.
E allora ci siamo adeguati e lasciati travolgere dall'animazione anche se tutto quel battersi il petto ricordava piuttosto un massaggio cardiaco e una più appropriata rianimazione.
Tre chili ho tirato su, ma se Dukan pensa di veder passare il mio cadavere sotto al fiume dei suoi milioni si sbaglia di grosso.
E ringraziate che non vi parlerò dei personaggi conosciuti nella settimana: La Singol, il Tabarino, Ray Andreotti Charles, Cicciopeloso, il Fornax arabo, la famiglia Grasso è Bello, la Strafi, Basettone, Zambrotta anziano, Ginger e Fred, Alberto Castagna vivo, Ce l'ho solo io e la signora Carmela.
Comunicazione di servizio: il pane di Altamura causa dipendenza.
Una settimana al meeting sportivo in cui mi sono distinto soltanto a tavola (e non era quella a vela!).
Tanto tennis, un fiume di mojito e bagni ripetuti tra la piscina e lo Ionio, insomma tutto il pacchetto villaggio. Compresi i balli di gruppo.
E per ogni cosa che ti servisse, dovevi presentarti colle mossette del Soco Soco, altrimenti non ti cagava nessuno. Se non ti picchiavi i pugnetti, i palmi e il petto non mangiavi, non entravi in piscina e non ti pulivano manco la stanza.
E allora ci siamo adeguati e lasciati travolgere dall'animazione anche se tutto quel battersi il petto ricordava piuttosto un massaggio cardiaco e una più appropriata rianimazione.
Tre chili ho tirato su, ma se Dukan pensa di veder passare il mio cadavere sotto al fiume dei suoi milioni si sbaglia di grosso.
E ringraziate che non vi parlerò dei personaggi conosciuti nella settimana: La Singol, il Tabarino, Ray Andreotti Charles, Cicciopeloso, il Fornax arabo, la famiglia Grasso è Bello, la Strafi, Basettone, Zambrotta anziano, Ginger e Fred, Alberto Castagna vivo, Ce l'ho solo io e la signora Carmela.
Comunicazione di servizio: il pane di Altamura causa dipendenza.
8 giugno 2012
Incrocio pericoloso
No, non sto parlando dell'incrocio magico Criss Cross (la foto mi serve solo per attirare gli schiavi della ghiandola mammaria) altrimenti avrei detto incrocio pericolosissimo, bensì di un quadrivio da cui transito ogni mattina venendo in ufficio. Passo da lì, sosto al semaforo, e riparto cantando una canzone, sempre la solita. Nello specifico, Pescatore, quella di Bertoli e della Mannoia, ma non riesco a capire perché, e mi arrovello.
Qualcosa che leggo probabilmente, un cartello, una via, un'indicazione stradale... ma non riesco a venirne a capo. O forse un giorno l'ho cantata (perché io in scooter canto, e c'ho quel casco lì) iniziandola in quei pressi e adesso mi riparte in automatico, non so.
Mi sembra di attaccare da Pesca forza tira pescatore, ma non ci giurerei.
Svariati anni fa mi capitava di ritrovarmi sempre in testa La sera dei miracoli del buon Lucio Dalla e, dio o chi per lui m'accecasse se sapevo da dove veniva (o anche solo come utilizzare i tempi verbali giusti in questa frase).
Ad ogni buon conto (ed è la migliore perifrasi che ho trovato al posto di comunque che è una parola che odio ma che comunque non riesco a non usare) alla fine l'ho scoperto: era colpa della videoteca dove andavo a noleggiare e a restituire i film, a fine delle operazioni c'era uno sportelletto in plexiglas che si chiudeva calando dall'alto e una frase sullo schermo che avvisava: "Fai attenzione".
Qualcuno nei vicoli di Roma con la bocca fa a pezzi una canzone...
p.s. sono cosciente che questo post (come altri del resto) esprime più parentesi tonde che concetti.
Qualcosa che leggo probabilmente, un cartello, una via, un'indicazione stradale... ma non riesco a venirne a capo. O forse un giorno l'ho cantata (perché io in scooter canto, e c'ho quel casco lì) iniziandola in quei pressi e adesso mi riparte in automatico, non so.
Mi sembra di attaccare da Pesca forza tira pescatore, ma non ci giurerei.
Svariati anni fa mi capitava di ritrovarmi sempre in testa La sera dei miracoli del buon Lucio Dalla e, dio o chi per lui m'accecasse se sapevo da dove veniva (o anche solo come utilizzare i tempi verbali giusti in questa frase).
Ad ogni buon conto (ed è la migliore perifrasi che ho trovato al posto di comunque che è una parola che odio ma che comunque non riesco a non usare) alla fine l'ho scoperto: era colpa della videoteca dove andavo a noleggiare e a restituire i film, a fine delle operazioni c'era uno sportelletto in plexiglas che si chiudeva calando dall'alto e una frase sullo schermo che avvisava: "Fai attenzione".
Qualcuno nei vicoli di Roma con la bocca fa a pezzi una canzone...
p.s. sono cosciente che questo post (come altri del resto) esprime più parentesi tonde che concetti.
7 giugno 2012
Cose che non stanno zitte mai
Non bastava la sveglia, cazzo, che di quella non ne puoi fare a meno.
La lavastoviglie se ha finito, il televisore se si spegne, il forno a microonde se ha scaldato, l'auto se lasci accesi i fari, il televisore se si accende, il telefono se si scarica, ma vi volete chetare un attimo?
Lasciatemi in pace, non li gradisco i rumori aggiuntivi.
Elettrodomestico che devi lavare le stoviglie? Fallo, tira l'acqua, butta il sapone, sbrillanta, sciacqua, asciuga e poi stop. Basta. Che ti metti a suonare, ma chi te l'ha chiesto? Quando vorrò sapere se hai finito il ciclo vengo a vedere. Hai mai visto una donna che quando le termina il ciclo si mette a suonare? No, e impara da loro!
Se spengo il televisore è perché non voglio vedere o sentire più niente, è inutile che dopo due secondi ti fai un PeeePè, televisore, anzi è dannoso, e mi viene pure voglia di darti un calcio.
Lasciatemi la libertà di svuotare una lavastoviglie dopo tre giorni, di dimenticare nel microonde le zucchine riscaldate e di stare qualche ora con un telefono scarico in tasca che non riceve e non chiama nessuno.
Insomma, statevi zitte cose.
La lavastoviglie se ha finito, il televisore se si spegne, il forno a microonde se ha scaldato, l'auto se lasci accesi i fari, il televisore se si accende, il telefono se si scarica, ma vi volete chetare un attimo?
Lasciatemi in pace, non li gradisco i rumori aggiuntivi.
Elettrodomestico che devi lavare le stoviglie? Fallo, tira l'acqua, butta il sapone, sbrillanta, sciacqua, asciuga e poi stop. Basta. Che ti metti a suonare, ma chi te l'ha chiesto? Quando vorrò sapere se hai finito il ciclo vengo a vedere. Hai mai visto una donna che quando le termina il ciclo si mette a suonare? No, e impara da loro!
Se spengo il televisore è perché non voglio vedere o sentire più niente, è inutile che dopo due secondi ti fai un PeeePè, televisore, anzi è dannoso, e mi viene pure voglia di darti un calcio.
Lasciatemi la libertà di svuotare una lavastoviglie dopo tre giorni, di dimenticare nel microonde le zucchine riscaldate e di stare qualche ora con un telefono scarico in tasca che non riceve e non chiama nessuno.
Insomma, statevi zitte cose.
5 giugno 2012
Cronache dall'autogrill: Coco Phone
A me dovete darmi il nome - uno solo, me ne basta uno! - di quel sant'uomo che spende 20 euri in quest'aggeggio. Una cornetta telefonica vecchio stile, con tanto di filo a spirale, da collegare a dispositivi ultrapiatti e proiettati nel futuro. Un irragionevole balzo nella preistoria che intende propinarci un catafalco al posto del BlueTooth.
Non serve un uomo sano di mente, ne basta uno così così, per capire che dovrebbe essere un prodotto invendibile, eppure... eppure il fatto che sia lì, esposta a mo' di gioiello della corona, negli angusti passaggi del relax autostradale, fa pensare il contrario.
E allora, se per strada vi capiterà di vedere un daft prick (*) che usa la cornettona anni settanta di Coco Phone, vi preeego, chiedetegli come si chiama e fatemelo sapere.
In appendice, a qualcuno interesserà sapere che Grugnino non demorde, ne hanno sfornati addirittura due modelli nuovi. Il primo enorme, probabilmente una misura da alano. Il secondo, in accordo alla giornata mondiale dell'ambiente, con erba e fiorellini stampigliati sulla panciotta gommosa.
Ero coi miei figli e, come contrappasso impone, ho dovuto tirarli via a forza dalle mandrie ammaliatrici dei maialino Grugnino.
(*) cazzone avariato (grazie singlemama)
Non serve un uomo sano di mente, ne basta uno così così, per capire che dovrebbe essere un prodotto invendibile, eppure... eppure il fatto che sia lì, esposta a mo' di gioiello della corona, negli angusti passaggi del relax autostradale, fa pensare il contrario.
E allora, se per strada vi capiterà di vedere un daft prick (*) che usa la cornettona anni settanta di Coco Phone, vi preeego, chiedetegli come si chiama e fatemelo sapere.
In appendice, a qualcuno interesserà sapere che Grugnino non demorde, ne hanno sfornati addirittura due modelli nuovi. Il primo enorme, probabilmente una misura da alano. Il secondo, in accordo alla giornata mondiale dell'ambiente, con erba e fiorellini stampigliati sulla panciotta gommosa.
Ero coi miei figli e, come contrappasso impone, ho dovuto tirarli via a forza dalle mandrie ammaliatrici dei maialino Grugnino.
(*) cazzone avariato (grazie singlemama)
4 giugno 2012
Il perdurare dell'amore
Se lo chiede Tom Robbins in Natura morta con picchio, come me lo chiese tanti anni fa Graziano, che sembrava ossessionato da questo dilemma e che poi, alla luce dei fatti, immagino abbia risolto.
Come far perdurare l’amore?
Un quesito da niente e al tempo stesso irrisolvibile. Io non so come si possa far perdurare l’amore, ma da una settimana a questa parte ho le idee più chiare.
Eravamo a Riccione, un bel gruppo di atleti, pseudo-tennisti, essenzialmente colleghi, più o meno della mia età. In albergo, oltre a noi, era ospitato un altro gruppo numeroso. Noi eravamo quelli giovani.
Gli altri, i nonnini, erano i classici anziani di maggio in riviera. Camminavano lenti, si muovevano con accortezza e cercavano di limitare i tempi non trascorsi a sedere nella hall o in sala da pranzo.
Ero in piedi che guardavo Alonso inseguire gli altri indemoniati per le vie del Principato quando dall’ascensore è spuntata una coppia. Anzi, non si capiva ch’era una coppia, erano solo due anziani signori, di sesso opposto. Camminavano in silenzio, ondeggiando, lui due passi avanti e lei dietro usando la borsa per i delicati meccanismi del suo equilibrio.
Non avevano una vita davanti, a guardarli, anzi sembrava che ce l’avessero ripiegata dentro. Per arrivare al piano della hall c’era un gradino da scendere. Ed è qui che i due vecchietti, in prossimità del dislivello, sono diventati una cosa sola, incarnando ai miei occhi quel perdurare dell’amore che tanto avevo cercato e mai veduto.
Lui si è fermato voltandosi alla ricerca della sua lei e le ha offerto una mano, e lei gliel’ha afferrata, con naturalezza, senza dover ringraziare, sorridere o schermirsi, e senza dire una parola.
Poi lui ha sceso il gradino con gambe incerte, accompagnando il movimento di una coscia con la mano libera e ha atteso che lei fluisse verso di lui, con i suoi tempi, scendendo quei venti centimetri di pericolo stretta al braccio sicuro del suo amore, nel perdurare tenero e semplice di un attimo infinito.
E che questo non v’illuda sulla facilità della cosa perché, a dispetto dell’azione compiuta, per certi versi consumata e banale, altri vecchiarelli son venuti giù dall’inquietante scalino, ma con il solo desiderio di far perdurare la propria posizione eretta.
Come far perdurare l’amore?
Un quesito da niente e al tempo stesso irrisolvibile. Io non so come si possa far perdurare l’amore, ma da una settimana a questa parte ho le idee più chiare.
Eravamo a Riccione, un bel gruppo di atleti, pseudo-tennisti, essenzialmente colleghi, più o meno della mia età. In albergo, oltre a noi, era ospitato un altro gruppo numeroso. Noi eravamo quelli giovani.
Gli altri, i nonnini, erano i classici anziani di maggio in riviera. Camminavano lenti, si muovevano con accortezza e cercavano di limitare i tempi non trascorsi a sedere nella hall o in sala da pranzo.
Ero in piedi che guardavo Alonso inseguire gli altri indemoniati per le vie del Principato quando dall’ascensore è spuntata una coppia. Anzi, non si capiva ch’era una coppia, erano solo due anziani signori, di sesso opposto. Camminavano in silenzio, ondeggiando, lui due passi avanti e lei dietro usando la borsa per i delicati meccanismi del suo equilibrio.
Non avevano una vita davanti, a guardarli, anzi sembrava che ce l’avessero ripiegata dentro. Per arrivare al piano della hall c’era un gradino da scendere. Ed è qui che i due vecchietti, in prossimità del dislivello, sono diventati una cosa sola, incarnando ai miei occhi quel perdurare dell’amore che tanto avevo cercato e mai veduto.
Lui si è fermato voltandosi alla ricerca della sua lei e le ha offerto una mano, e lei gliel’ha afferrata, con naturalezza, senza dover ringraziare, sorridere o schermirsi, e senza dire una parola.
Poi lui ha sceso il gradino con gambe incerte, accompagnando il movimento di una coscia con la mano libera e ha atteso che lei fluisse verso di lui, con i suoi tempi, scendendo quei venti centimetri di pericolo stretta al braccio sicuro del suo amore, nel perdurare tenero e semplice di un attimo infinito.
E che questo non v’illuda sulla facilità della cosa perché, a dispetto dell’azione compiuta, per certi versi consumata e banale, altri vecchiarelli son venuti giù dall’inquietante scalino, ma con il solo desiderio di far perdurare la propria posizione eretta.
3 giugno 2012
Don Mario, parroco illuminato
Immaginatevi Hannibal Lecter, però buono. Così don Mario.
Finito il vangelo faceva quel verso con la bocca, come un Hannibal ante litteram, quella specie di richiamo per serpenti a sonagli.
Poi diceva: "Beh, le letture e il vangelo di oggi, son così chiari, così limpidi, che non necessitano di spiegazione (pausa) Credo in un solo Dio..."
E così in meno di mezz'ora la messa era finita, in barba all'omelia e, chi in pace e chi no, s'andava tutti.
Don Mario, soprannomen omen, era detto scheggia per via di un trancio di granata che si portava conficcato in testa dai tempi della guerra, ma aveva rafforzato il nomignolo scheggiando via nel cantar messa, dall'antifona d'ingresso fino all'andate in pace in una corsa senza respiro.
Mia madre mi aveva forgiato a modino, tra messe, dottrine, comunioni e confessioni non riparavo. Pure capo chierichetto sono stato.
Don Mario da noi era cappellano, prete in seconda, e diceva le messe d'avanzo, quelle più sfigate, tra cui alle 7 la mattina in chiesa e alle 9 al cimitero.
Io andavo alle 9 al cimitero e davo una mano, servivo messa, e leggevo tutto quello che c'era da leggere, dalle letture al salmo responsoriale, dall'ascoltaci o Signore agli avvisi.
Una domenica s'è fatto il record: venti minuti; dopo di che lui è andato alla casa del popolo a far due chiacchiere coi comunisti e io a casa a guardarmi lo sci.
E quando c'era da confessarsi era auspicabile scansare il pievano e cercare direttamente don Mario che, come ministro di Dio, era sicuramente più moderno.
In confessione riuscii a dirgli che avevo visto un giornalino con le donne nude e lui mi spiegò che se Dio ci aveva fatti così, nudi e belli, era perché potessimo guardarci e che quindi non avevo niente da farmi perdonare.
Un'altra volta confessai che spesso pregavo per l'ottenimento di cose materiali tipo bei voti o promozioni a scuola, tipo che non m'interrogassero quando ero impreparato, che Gigi Riva segnasse dei gol, che Thoeni vincesse a Campiglio e che la Veronica s'innamorasse di me. Qui non solo mi assolse dalle colpe, ma proprio si esaltò commosso perché tutta questa fiducia verso Gesù (io pregavo Gesù) non ce l'aveva manco lui.
Finito il vangelo faceva quel verso con la bocca, come un Hannibal ante litteram, quella specie di richiamo per serpenti a sonagli.
Poi diceva: "Beh, le letture e il vangelo di oggi, son così chiari, così limpidi, che non necessitano di spiegazione (pausa) Credo in un solo Dio..."
E così in meno di mezz'ora la messa era finita, in barba all'omelia e, chi in pace e chi no, s'andava tutti.
Don Mario, soprannomen omen, era detto scheggia per via di un trancio di granata che si portava conficcato in testa dai tempi della guerra, ma aveva rafforzato il nomignolo scheggiando via nel cantar messa, dall'antifona d'ingresso fino all'andate in pace in una corsa senza respiro.
Mia madre mi aveva forgiato a modino, tra messe, dottrine, comunioni e confessioni non riparavo. Pure capo chierichetto sono stato.
Don Mario da noi era cappellano, prete in seconda, e diceva le messe d'avanzo, quelle più sfigate, tra cui alle 7 la mattina in chiesa e alle 9 al cimitero.
Io andavo alle 9 al cimitero e davo una mano, servivo messa, e leggevo tutto quello che c'era da leggere, dalle letture al salmo responsoriale, dall'ascoltaci o Signore agli avvisi.
Una domenica s'è fatto il record: venti minuti; dopo di che lui è andato alla casa del popolo a far due chiacchiere coi comunisti e io a casa a guardarmi lo sci.
E quando c'era da confessarsi era auspicabile scansare il pievano e cercare direttamente don Mario che, come ministro di Dio, era sicuramente più moderno.
In confessione riuscii a dirgli che avevo visto un giornalino con le donne nude e lui mi spiegò che se Dio ci aveva fatti così, nudi e belli, era perché potessimo guardarci e che quindi non avevo niente da farmi perdonare.
Un'altra volta confessai che spesso pregavo per l'ottenimento di cose materiali tipo bei voti o promozioni a scuola, tipo che non m'interrogassero quando ero impreparato, che Gigi Riva segnasse dei gol, che Thoeni vincesse a Campiglio e che la Veronica s'innamorasse di me. Qui non solo mi assolse dalle colpe, ma proprio si esaltò commosso perché tutta questa fiducia verso Gesù (io pregavo Gesù) non ce l'aveva manco lui.
1 giugno 2012
Noia credevamo
Raccolgo al volo l'appello alle liste di v. e butto giù la lista di cose che mi annoiano:
- i sogni raccontati
- le persone monotematiche
- i libri di De Carlo
- gli oroscopi
- i viaggi in macchina
- la tivù prima delle 23
- le riunioni
- i corsi di formazione
- le recite / i saggi
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