31 marzo 2012

E Cenere ritorneremo

Viene giù una pioggerella fine, di quella che nemmeno bagna, dà solo fastidio.
Mi ero accollato io la bega di passare dal forno, ed era anche logico visto che risultavo l’unico a possedere uno scooter nella cerchia dei parenti stretti e c’era da attraversare mezza città.
L’unico forno crematorio della provincia lavora 24 ore su 24 ma, nonostante il ciclo continuo d’attività, accumula sempre maggior ritardo nello smaltire i clienti.
Farsi cremare è l’ultima moda a quanto pare. Viene quasi voglia di morire, giusto per farsi mandare in fumo e non dare soddisfazione ai vermi.
Mio nonno va in scena questo pomeriggio alle tre, dodici giorni dopo la sua dipartita. Abbiamo scelto la cremazione, d’accordo con mio padre, non perché il vecchio l’avesse lasciato scritto o detto, ma solo per spendere meno.
Ce l’avrebbero polverizzato e raccolto in un’urna dalle dimensioni di una scatola di scarpe da donna e poi, noi, così confezionato, l’avremmo introdotto nello stesso loculo di nonna. Sarebbe stato sufficiente aggiornare la scritta sulla lapide.
Marina, un’amica di mamma abita sulla via per andare al cimitero dove sta il forno, e mi stavano venendo dei pensieri. Niente di che, mi faccio un film in cui mi fermo a trovarla con lei che mi offre da bere e magari pure qualche cos’altro. D’altra parte era stata proprio Marina, cinque anni prima, quand’ero ancora un pischello in erba, a farmi toccare le sue tette e a gettare le basi per il monopolio delle mie fantasie erotiche dei successivi mille e mille anni.
«Ho notato che le stai guardando» mi fece ammiccando al decolleté «beh, puoi dare anche una palpatina, se ti va».
In effetti, mi andò parecchio abbrancare le due mammelle e massaggiarle, fino a che sentimmo rientrare mia madre.
Il lavoro era rimasto incompiuto e la mia inesperienza non aveva facilitato altri rendez vous con Marina.
Avevo pensato di partire con un certo anticipo e presentarmi da lei sbarbato e docciato ma, tra un foglio da compilare e un paio di telefonate da fare, passai sotto casa di Marina che erano già quasi le tre e decisi di non fermarmi. Correvo il rischio, dopo tutta l’attesa, che alle cremazioni mi dessero via il nonno. Che lì aspetti e aspetti, alla fine se ti danno una scatola, pure se non è la tua te la pigli, non ti conviene fare il difficile.
Ai forni manco una tettoia c’era, e la pioggerella, a furia d’insistere, era riuscita nell’impresa bastarda di bagnarmi.
Mentre aspetto le ceneri di nonno non c’è molto da fare, sto in zona, leggo le epigrafi e respiro. I morti cremati hanno un odore dolciastro, non so se è il legno della bara o il materiale organico proprio, fatto sta che pare di stare fuori a una rosticceria cinese, con quello che ne consegue. Dopo cinque minuti sei intriso d’odore di morto bruciato e senti in bocca il gusto dolciastro. L’essenza ti penetra e ti opprime e, quando pensi di allontanarti, ti chiamano.
«Centurioni Otello?»
«Eccomi, è mio nonno».
Consegno le carte, spargo una decina di firme e mi sistemo l’urna acciaiata sotto a un braccio. Lascio finalmente il ricettacolo del tanfo, che tanfo poi non è, ma stucca, che è quasi peggio.
Al nostro cimitero, dove dobbiamo tumulare il nonno, mi aspettano per le 16, ci sono i miei familiari, qualche zio e un paio di cugini, insomma, una decina di parenti in croce.
Sono in perfetto orario e so che dovrei filare dritto dai miei, ma mi torna la voglia di Marina, del suo caffè e della sua morbidezza. D’altra parte il nonno ormai l’ho agguantato.
Mi fermo, che sarà mai, tutt’al più tardo dieci minuti, sempre che sia in casa. Mi butto giù per i tornanti piegando e accelerando per guadagnare qualche minuto e spero che l’urna con il nonno, nel bauletto, non ne risenta. Non vorrei sbagliarmi, ma mi pare che soffrisse pure di mal d’auto, il nonno.
Suono, e una parte di me spera che non ci sia nessuno, l’altra parte di me, invece, quella che corrisponde al 99%, trema di desiderio e prega che Marina apra.
«Chi è?»
«Sono Giacomo, il figlio della Piera…»
Attimi infiniti e muti. Ecco, adesso mi manda a cagare e poi chiama la mamma per dirle che mi sono perso. Penso al nonno nel bauletto che sorride sornione e mi fa:
«Ehi, che cazzo, non vorrai lasciarmi qui!»
Salgo. Una volta su, gli abbracci e i saluti si sprecano, con tanto di baci sulle guance. È un po’ arruffata ma è sempre una bella donna, ed è sola. Mi fa sedere.
«Prendi qualcosa? Un caffè?»
Faccio di sì con il capo ma non esce un fiato dalla mia bocca impastata. Un enorme e pacchiano orologio da parete segna le 16, saranno già tutti in fibrillazione giù al cimitero. Li posso quasi vedere che scalpitano e sbuffano, impazienti di murare il nonno e ripartire, chi per l’ufficio, chi per casa e chi per un qualsiasi posto del mondo meno merdoso di un cimitero.
Marina è appoggiata al mobile di cucina, mi guarda con una smorfia che è la vita:
«Non è che sei venuto per me, per caso?»
Cristo sì, vorrei dire, invece scappo.
«Scusa» le faccio.
Scendo e filo al motorino, apro il bauletto e prendo le ceneri del nonno.
E torno su, da Marina, di corsa. Mi assale di nuovo l’aria dolciastra che pare sprigionarsi dall’urna. Eppure dovrebbe essere sigillata, forse l’odore mi si è piantato nel naso, forse ne ho impregnati i vestiti.
La trovo sulla porta, sorride di quel sorriso che dice tutto. Le indico un mobile basso appena all’interno:
«Ti spiace se la metto qui, non mi arrischio a lasciarla al motorino».
«Certo, appoggia pure. Poi mi dici cos’hai lì di così prezioso…»
È allora che mi ritrovo un metro di lingua in bocca e il corpo di Marina spiaccicato sul mio, mentre sento che passa il caffè.  L’aroma si spande per casa e sormonta implacabile ogni altro olezzo.
Qualcuno aspetterà.


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Il testo partecipa all'EDS Il nome della cosa come anche :

29 marzo 2012

Mezzi anfibi

Avete presente Beetle Bailey, di Mort Walker? No? Beh, è 'sto tizio qui a fianco, un militare di leva sfaccendato.
Beetle, in una striscia, chiede un autografo al suo superiore, il sergente Snorkel, e questi glielo fa di buon grado.
In realtà Beetle gli fa firmare un permesso di libera uscita, solo che, all’uscita, l’ufficiale di picchetto gli fa: questo permesso non è valido, è firmato dal sergente Non lasciate passare quest’uomo.
Io e altri 3 deficienti, nel remoto ’82, siamo riusciti a fare di meglio, autofirmando i nostri permessini domenicali 9-13 con il nome del nostro tenente, che stava in licenza, e presentandosi al portone solo alle 11. Ora, al di là del fatto che il tenente non li avrebbe potuti fisicamente firmare, quale soldato in libera uscita dalle 9 se ne va alle 11? Nessuno, ovviamente.
Beccati e respinti in camerata diretti. Il giorno dopo fummo seriamente cazziati dal tenente, del quale avevamo falsificato la firma, che minacciò di denunciarci. Ci salvò il pianto dirotto del fante Cutigni da Arezzo che, però, ci portò in premio la polveriera di Natale, in compagnia delle peggiori teppe della caserma.
In polveriera funzionava così: 2 ore di guardia e 4 di riposo per 7 giorni filati. Di giorno comunque non dormivi perché c’erano sempre servizi da fare. Il viaggio del cambio guardia durava una mezz’oretta e, quindi, il tempo tra un turno e l’altro per dormire era di 3 ore, compreso quello che ti serviva per prendere sonno.
Dopo 2 giorni così crollavi e, per guadagnare tempo, finiva che non ti spogliavi più nemmeno la notte e ti buttavi sulla branda in mimetica.
Al quarto giorno si completava l’abbrutimento quando smettevi pure di toglierti gli anfibi che diventavano parte di te.
Da fante assaltatore, mi son fatto un discreto culo da militare, ho avuto persino l'onore di correre su per una collina con 25 chili di vipera sulle spalle - con tutto il rispetto che va ai nostri vecchi che hanno fatto le guerre quelle vere - ma se c’è un ricordo che vorrei davvero cancellare sono le misere ore di riposo in branda, con gli anfibi ai piedi.
Questo non vi autorizza, se schiacciate un pisolino in treno, a togliere le vostre maledette scarpe.

Ho visto dov'ero


Ho visto dov’ero prima di nascere
ero sepolto nella terra nuda di Atlantide
nel succo rosso dei frutti del melograno
nel vento perduto di una bandiera immota
nell’attimo falso del ghiaccio che si scioglie
nel tic-tac di un orologio fermo
sulla bocca di due amanti dimenticati
nel monotono frusciare della risacca
ho visto dov’ero prima di nascere
in un luogo senza luogo e senza te

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(gara estemporanea di poesia - Lido di Orrì - agosto 2010)

27 marzo 2012

Alla ricerca di Neno

Il suo nome, Nicodemo, era importante e difficile.
Troppo per la sua sorellina, che un giorno lo chiamò Neno, e Neno rimase per tutti.
Neno s'è ammazzato di lavoro in vita sua. Ha iniziato nei campi da piccolo, poi ha lavorato nell'orario canonico e anche oltre le 17 quando faceva festa. Ma ha lavorato anche di sabato e di domenica e, per non farsi mancare nulla, ha lavorato nei giorni di ferie.
Per lungo tempo è stata una necessità, poi è divenuta una scelta e andava bene così.
Anche quando ha smesso di accettare lavori da altri ha continuato a lavorare alla casa, alla sua casa. È morto mentre stava grattando la facciata per ritinteggiare. Lui stesso non avrebbe saputo scegliersela un'uscita di scena più idonea.
L'hanno sistemato nella bara, col suo vestito migliore, quello blu dei cinquant'anni di matrimonio, incravattato a dovere e con le unghie ancora gialle di pittura murale da esterni. Per anni li ho maledetti coloro che, preparandolo, nemmeno una strusciata di alcol sulle unghie gli hanno passato.
Come spesso accade è servita un'illuminazione diversa, da fuori, per farmi capire che l'elemento che stonava in quella bara non erano le unghie macchiate di vernice, ma il vestito blu. Una tuta ci voleva.
Il Neno, nel caso che si trovi in qualche buco di paradiso, in questo momento, per la sua felicità, starà sicuramente piastrellando, intonacando o tirando su un muro a piombo: che cattiveria avercelo inviato in giacca e cravatta!

L'impagliatura dei fiaschi durante il riposo invernale.
Un giorno il Neno tornò a casa con la fotocopia sbiadita di una rivista contadina, Firenze Agricola, in copertina c'era lui piccolo, con i suoi nonni, ché la mamma non l'aveva nemmeno conosciuta. Sua nonna gli sta accanto, sono seduti sui gradini di casa, mentre suo nonno sta impagliando dei fiaschi. Era raggiante per il ritrovamento e mise in cornice la fotocopia.
Qualche tempo fa ho avviato una ricerca che mi ha portato, ieri, alla consultazione degli annali di Firenze Agricola, presso l'archivio del Museo della Civiltà Contadina a Luco di Mugello.
Devo ringraziare con il cuore il signor Marcello Landi, curatore e responsabile dell'archivio, che, con estrema cortesia e disponibilità, mi ha messo a disposizione le riviste. La passione che anima il signor Landi, unita a pazienza e volontà, gli ha permesso di arricchire con testimonianze e documenti storici preziosi la raccolta del museo.
L'ho trovata alla fine la mia foto, anzi, l'ha trovata lui: è sul numero di febbraio del 1933.
I miei bisnonni e mio padre bambino: il Neno.

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La finestra sui ricordi, ieri, mi ha portato anche a scattare una foto per l'aggiornamento di uno dei post a cui tengo di più.

25 marzo 2012

Chissà chi lo sa?

Probabilmente sono malato, io mi vedo come quei pazienti che si muovono per gli ospedali con il trespolo che regge la flebo.
Dalla mia flebo viene giù internet. Io vivo attaccato ad internet.
E san Google motore martire sta lì pronto a esaudire ogni mia richiesta e a placare ogni mia curiosità.
Ma questo quadro, che potrebbe rappresentare una sfaccettatura di progresso, ha le sue belle pennellate stonate, e non mi riferisco al fatto che Google venga a bracare i miei dati personali e ad allertarmi quando mi stanno per scadere le mozzarelle nel frigo.
La disponibilità immediata di ogni tipo d'informazione, al di là dell'utilità spiccia, rischia di favorire l'atrofizzazione di svariati banchi di memoria del nostro encefalo.
Una volta, passavamo mesi a rincorrere la risposta a una domanda, in ufficio, in famiglia, tra gli amici e quando, alla fine dei salmi, la risposta saltava fuori era un dato che immagazzinavi e che avresti avuto sempre disponibile nella vita. Così so che Fabio Vanni cantava Lei balla sola, che Lyle Lovett impersona il pasticciere in America oggi, che il vero nome di Tony Renis è Elio Cesari e che Febo Conti presentava Chissà chi lo sa?
Li ricordo perché i suddetti quizzoni sono sorti in un'epoca in cui, se era grassa, avevi un modem a 56K e col cavolo che l'accendevi per cercare pasticcieri dallo sguardo spiritato, anche per non doverti sorbire - diciamolo! - quei fischi laceranti, ma saranno stati così necessari? (ancora me lo chiedo)
Ti capita anche oggi di cercare il vero nome di Nek o la data di nascita di quella attrice perché tua moglie continua a sostenere che è più vecchia di lei.
Vai lì, gugoli, lo sai e poi - puff - due giorni e l'hai bello che scordato.
La facilità della ricerca e dell'acquisizione dell'info va a scapito dell'assimilazione.
In ultimo, i quiz che si lanciavano tra amici sono stati svuotati del senso. Non è bello chiedere "Chi era il cantante degli Albatros? Mi raccomando non gugolate".
Google (il web, in effetti) c'è e non ha senso rinunciarvi.
Quindi, e veniamo al punto di questo post (premessa eccessiva lo riconosco) è una ricchezza trovarsi per le mani una domanda a cui il web non sa dare una risposta e, anzi, disporre di una platea, proprio grazie al web, cui provare a proporla.
Magari la risposta c'è nel web, ma con gli elementi che ho in mano io non riesco a farmici condurre.
Dunque stavo alle medie (anni settanta) e nella mia antologia di lettere, che se non erro si chiamava Invito alla lettura, c'era un brano che leggemmo e che mi piacque parecchio ma che, poi, riparlandone in seguito, non sono riuscito a riscontrare nella memoria di nessun altro.
Quello che mi interessa, ovviamente è conoscerne il titolo e l'autore.
Indizi:
- si parlava di un supplente (o forse di un nuovo maestro) che andava a fare lezione in una classe di alunni terribili;
- la classe era identificata con il classico numero più la sezione, direi Terza C, ma non sono certo, né della Terza né della C;
- quando il nuovo profe entra in classe un alunno (il capobanda dei rivoltosi) tiene in mano un'arancia e la fa saltare sulla mano in tono intimidatorio, della serie ora te la tiro;
- alla fine gliela tira davvero, diretta in viso, e il profe fa un minimo movimento con la testa, quello che appena gli serve per scansare il frutto che va ad infrangersi sulla parete dietro di lui;
- in questo modo li conquista; anche se questo potrebbe essere il mio lieto fine applicato, non saprei.

Niente, mi piacerebbe rileggerlo, ecco.

23 marzo 2012

Russo for dummies

Io ai miei figli ci ho insegnato il russo.
Prima a uno, e sedici anni dopo a quell'altro.
E in quell'intervallo mica l'ho parlata più la lingua di Cechov (foto ansa-rostock), però il russo è come andare in bicicletta, e quando l'hai imparato non lo scordi più.
Dice, ma come mai conosci il russo, l'hai studiato?
No, lo so a orecchio.
C'è chi l'orecchio ce l'ha musicale, ma a me Dio non me l'ha dato, io non riconosco un si bemolle da un mi cantino, un la diesis da un là dietro.
Però c'ho l'orecchio per il russo, che ci volete fare?
E insegnare il russo a un cucciolo di tre anni è un gioco divertente, anche se resta un gradino sotto a Schiaccia il Sofficino.
Ad ogni modo, se vi va di fare un salto a San Pietroburgo o un volo a Mosca, magari emulando le gesta di Mathias Rust, ecco le frasi utili che è consigliabile conoscere:
- Ehi, testadiminchioski, la mia valigioski non è arrivatoski.
- Buongiornoski, cornettoski e cappuccinoski, per favoroski.
- Mi scusoski, da che partoski per il Cremlinoski?
- Quanti rubloski costoska matrioska?
- Vaffanculoski (da usare con parsimonia).
- Sono un ganzoski (in caso di vostro effettivo atterraggio in Piazza Rossa).

Ah, dimenticavo, leggeteli i Racconti di Cechov che sono straordinarioski, oltre che tradotti da linguisti più accreditati di me.

22 marzo 2012

Amaro 18

È 18 pure questo, conoscete l'articolo?
Va a finire che c'è una spiegazione per tutto.
Quando le decisioni vengono prese in modo moderno ti stanno cucinando un boccone da ingoiare. E di sovente è amaro.
Comunque è un alcolico, bevete pure senza concertazione ma scordatevi di Ber-sani.

21 marzo 2012

Incarnazione della vanità

Lezione numero uno sulla seduzione (da Hanno tutti ragione di Paolo Sorrentino):
Mi rivolgo a voi, a quelli che, come me, bellissimi non lo sono mai stati. Quelli, insomma, che non è che una passa e vi muore dietro, magari non vi nota neanche e allora, è palese, resta una sola e unica arma nel vostro bagaglio, ma un'arma che può essere possente e smisurata e può smuovere le montagne: la parola.

Lezione numero uno sulla seduzione by Hombre:
Il primo passo per sedurre una donna (dico donna solo perché scrivo io, ma vale anche a sessi invertiti) consiste nel farle capire quanto vi piace. Dovete essere chiari e utilizzare il sistema che più vi è congeniale per comunicare alla donna dei vostri sogni quanto la desiderate. Parlatele, scrivetele una lettera, chiamatela a telefono, smessaggiatela, mandatele una mail o quello che vi pare ma, assolutamente, ficcatele in testa che vi fa impazzire, che pensate a lei ogni istante e che, secondo voi, è straordinaria.
Soprattutto se lei è veramente bellissima e tendete a reputarla inarrivabile, se vi sembra che abbia tutt'altra classe e tutt'altre mire che non voi, ecco, se avete una singola speranza di fare breccia nel suo cuore e nei suoi sogni è palesandole quanto vi piace.
E magari, se non avete la certezza che abbia capito, ripeteteglielo.
Perché dal momento che lei avrà ben compreso di essere desiderata da voi, in quel preciso istante, voi non sarete più un individuo, uno tra tanti, non sarete più insignificante, o trasparente, o neutro, no, in quel preciso istante, diverrete l'incarnazione della sua vanità, e lei vi guarderà con occhi nuovi.
Allora si apre un varco e nasce una speranza.
E se non doveste notare risultati nell'immediato, non disperate, perché il semino l'avete buttato e potrà iniziare a germinare da un momento all'altro.
Se ve ne state zitti, lì, a cogitare su quanto è bella lei, siete già fuori dai giochi, non foss'altro perché altri faranno a cazzotti per incarnare la sua vanità.
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(Vanity - John William Waterhouse)

20 marzo 2012

Modus calciandi

Tendenzialmente non mi fido di quelli che giocano a calcio.
E ve lo dice uno che ha giocato a calcio e che, potesse, non farebbe altro.
Alle scuole calcio, ma soprattutto dopo, con l'avvento delle partite vere, si insegnano comportamenti non corretti, anche se la cosa non è esplicita nel POF e non viene illustrata su nessuna lavagna.
Almeno, questo è quello che viene da pensare osservando i comportamenti dei calciatori in campo. E non parlo solo dei cocchi da serie A.
Finché sei al campetto in un 5 contro 5 tra amici, tutto bene, chi subisce la punizione la chiama e chi l'ha commessa sta muto, e spesso sta muto pure se pensa di non aver commesso il fallo.
La presenza dell'arbitro, sia che si giochi la finale di champions o il torneo interaziendale, alimenta e autorizza, invece, una serie di comportamenti che se riuscissimo a osservarli con distacco ci aprirebbero gli occhi su come realmente sono: inammissibili.
Invece sono tollerati o, peggio, auspicati anche da chi il calcio lo segue da spettatore, e sono divenuti parte del mondo calcio.
Le simulazioni per ottenere una punizione sono di per sé scandalose, il finto dolore per scaturire l'ammonizione/espulsione dell'avversario non è forse vergognoso? Esiste un altro sport dove si finge di morire per creare un danno all'avversario e un vantaggio alla propria squadra? Non me ne viene in mente nessuno, purtroppo. E per fortuna.
E la mano alzata a reclamare un fallo laterale, o un angolo, quando il calciante di turno sa bene di aver toccato per ultimo la palla? Poca cosa, dite? Mi spiace ma non sono d'accordo. Proprio perché è poca cosa è ancora più grave alimentare quella falsità e lo vedi, lui lì, chiedere quel fallo che non gli spetta e farlo così, come fosse normale, come fosse lecito, come fosse obbligatorio.
Ricordo, in una delle mie prime partite di calcio che, su un angolo, vado a saltare per colpire di testa e il difensore mi agguanta per la maglia e mi tiene giù. Io resto sbigottito, lo guardo e gli chiedo cosa cazzo stia facendo. E lui, a questa mia protesta, resta lì più smarrito di me… spiazzato dalla mia reazione, dal fatto che io non comprendessi, in fondo, che lui si stava solo comportando normalmente.

Durante le ferie di qualche anno fa, io e i miei, siamo stati tamponati, per una tortuosa strada pugliese presso Mattinata, da una Golf nera degli anni ’80 con a bordo 5 marocchini, i quali ci hanno rifilato gli estremi di un’assicurazione sconosciuta e tanti saluti. Poi ci hanno seguito per 10 chilometri e ho temuto seriamente che finissero il lavoro buttandoci giù per la scogliera.
E quando noi ci siamo fermati per andare in spiaggia ci hanno salutato con dei gran bei sorrisi. A presa di culo, pensai.
L’anno scorso, altro incidente senza colpa a causa di un tizio che tenta un’inversione a U sui viali a Firenze alle 17 di una giornata di pioggia, in un tratto con la doppia riga. Il ragazzo è pura razza ariana, alto, bello e biondo. Capello lungo raccolto a coda. Gioca a calcio in una squadra di Eccellenza e dopo un minuto uno dall’incidente, con me frantumato e seduto sul marciapiede a far la conta dei danni fisici, efficientissimo, ha già spostato il mio scooter e la sua auto, per non intralciare il traffico. Che pensiero carino!

L’assicurazione dei marocchini ha rifuso il danno totalmente, in meno di due mesi, e quasi mi commuovo ripensando all’equivoco dei sorrisi che ci elargirono.
Il calciatore ariano invece si è preso dei testimoni falsi, ha dichiarato che la sua vettura era “FERMA E PARCHEGGIATA” e che io, prima sono caduto, e poi gli sono finito addosso. Insomma, ha fisiologicamente applicato alla vita il suo modus calciandi.
Alla fine ho beccato il 50% di colpa, grazie alle sue spudorate dichiarazioni: si è guadagnato il suo bel rigore inesistente e l'ha segnato. Bravo, diobòno!
Con questo, eccezioni ce ne sono, ma resta il fatto che l’onestà non è una questione di razza. Semmai di sport.
E potendo, la prossima volta, cercherò d’incocciare l'auto di un rugbista.

19 marzo 2012

Io che non sono l'Imperatore

Mi permetto di citare Edoardo Bennato perché è proprio con i suoi versi che Pino (lui sì ch'è Imperatore de Jure e de facto) decide di aprirci quella finestra su Napoli che è il suo romanzo: Benvenuti in casa Esposito (ed. Giunti).
'O pullastro nun s’è cuotto bbuono, questo il testo della telefonata che dà il titolo al primo capitolo, ma 'o pullastro di Pino, invece, il suo romanzo, quello sì che s'è cuotto davvero bbuono.
Non è facile trattare tematiche reali e delicate con la levità dell’invenzione e infilzarle con la lama dell’ironia. Eppure, Pino Imperatore l’ha fatto con maestria, il suo romanzo si rivela una lettura gradevole, mai sopra le righe, una lettura che spesso e volentieri ti allarga un sorriso, pure se qualche volta è amaro.
La scrittura di Pino non ricerca acrobatismi nella forma e non si avvale di facili ruffianerie, ti conquista semplicemente con le perle lessicali del dialetto e con una rappresentazione dello spirito napoletano: roba che andrebbe insegnata nelle scuole.
Le gesta di Tonino Esposito sono l’ossatura del romanzo, ma non possiamo dimenticare personaggi dai tratti pregevolissimi come 'o Tarramoto, El Rapido, 'o Serpente. O magari come Ciruzzo 'o Schiattamuorto.
E poi c'è la voce partenopea del navigatore satellitare di Tonino, della quale vi allego un gustoso estratto:

“Svolta a destra”
Tonino svoltò. Trecento metri più avanti, l’asfalto s’interruppe per fare spazio a un viottolo di campagna.
Il navigatore assunse un tono burlesco: "T’aggie fatto ‘o scherzo, t'aggie fatto ‘o scherzo! Non dovevi andare di qua. Ci sei cascato, eh? Sei proprio un babbà! Torna indietro!”
Risero tutti, tranne Tonino: “Ah, sì? M’hai fatto ‘o scherzo? Mo’ ti combino io p’'e feste!” E schiacciò il pulsante di spegnimento.
Prima di disattivarsi, il navigatore enunciò le ultime parole di circostanza: “Mi stai uccidendo, eh? Disgraziato! Curnuto! Ommo ‘e merda!”


(Pino, fanno 500 euri e vedi di non rifilarmi la banconota quella farlocca)

18 marzo 2012

Lettera aperta a Dee D. Jackson

Io non ero così. Meteoropatico, intendo.
Me ne sbattevo del tempo che faceva, alla faccia del colonnello Bernacca. E' stato l'altro tempo, quello che passava, a sintonizzarmi l'umore sul meteo.
E non ci posso fare nulla, O' sole, pure se non è mio, mi fa stare bene, mi predispone a trascorrere giornate migliori e, spesso, la predisposizione è tutto. Di contro, i nuvoloni mi azzittano, fuori e dentro.
Anni fa contava solo il succo di quello che c'era in ballo, non il tempo con il quale lo si affrontava o, comunque, non che mi ricordi di giornate rovinate dalla pioggia o dal vento. E non è solo un problema di memoria.
Adesso basta un poco di grigio nell'aria, che me lo sento colare giù fin nelle ossa e finché non spunta un sole a prosciugarlo, grigio mi resta anche l'animo.
Come avrei voluto essere il tuo Uomo Meteora, sbrilluccicosa Dee D., quando a fine anni '70 hai inondato le discoteche con le tue note spaziali, conquistando il mio cuore e il mio spirito ballerino.
Adesso Dee D. - lo so che vivi in Italia - te lo dico, nel caso tu voglia dedicarmi una nuova versione di quel mitico 45 giri, magari in memoria di quanto t'ho amato, mi sa che il titolo lo devi cambiare.

Tuo
Meteoropatic Man

16 marzo 2012

Lunedì chiusin chiusino (*)

Una volta i fidanzati si vedevano martedì e giovedì, più sabato e domenica.
Il venerdì non era un gran giorno. Se si esclude l’Hit Parade di Lelio Luttazzi in onda alle 13:00 su Radio2, per il resto era grigio, con tutto che in qualche casa era pure vigilia e farsi vedere allegro mica andava bene. E il sabato mattina s’andava pure a scuola.
Poi c’è stato un momento in cui si è scoperta la serata del venerdì, probabilmente con il diffondersi del sabato non lavorativo in vari ambiti professionali e con il tempo pieno lun-ven in diverse scuole elementari.
E così il venerdì si è sabatizzato, magicamente, ed è stata un’ottima cosa perché ti ha permesso di andartene a lavorare tranquillo e beato ché il giorno dopo era festa, o quasi. E per la sera del venerdì si è preso a organizzare cene ed eventi mondani, agevolati anche dal fatto che Portobello aveva chiuso i battenti, Renée Longarini aveva sciolto il gruppo delle telefoniste e, in tivù, niente valeva più la pena di essere guardato.
Ultimamente mi succede una cosa strana: mi s’è venerdizzato il giovedì. Cioè, io arrivo al giovedì e son leggero, sto al settimo cielo proprio. Mi alzo consapevole che il giorno dopo è venerdì, un pre-prefestivo fitto di programmi da fare e da disattendere allegramente. Programmi impossibili persino da concepire di martedì.
Il giovedì ti viene da metterti i jeans e le scarpe comode, ti viene di andare a farti un trancio di pizza e un giro in libreria in intervallo mensa. E magari di fissare un caffè con gli amici al tuo personalissimo Central Perk, sulla strada del ritorno a casa.
Sì  l’ho capito anch’io che bisogna lavorare di più, più a lungo e più duramente, mica vivo sotto una capanna di vetro (cit.), l’ho capito bene, ma questo sarà l’obiettivo dell’Italia. Io, nel mio piccolo, punto a giovedizzare il mercoledì.


(*) France ha studiato la filastrocca (**) per imparare i giorni della settimana, da qui il titolo e i conseguenti deliri.

(**) IL PULCINO
Lunedì chiusin chiusino
martedì bucò l'ovino
sgusciò fuori mercoledì
pio pio fece giovedì
venerdì fe’ un volettino
beccò sabato un granino
e la domenica mattina
aveva già la sua crestina.

15 marzo 2012

Le storie siamo noi

La plausibilità d'un racconto, come la credibilità d'una bugia si fonda sui dettagli.
Non è il soggetto, la trama grossa, che conferirà alla nostra storia la qualifica di veritiera, che poi è quello che ci serve, sia che presentiamo un testo a un editore sia che raccontiamo una versione adattata dei fatti a qualcuno, ma sarà la sceneggiatura, la trama fine a farlo.
I dettagli rendono la storia credibile (Reservoir Dogs).
Perché pure una bella storia, di fantascienza quanto volete, deve rientrare in canoni di plausibilità.
E allora prendiamo un dettaglio, può essere un gesto, un oggetto, un dialogo o anche un pensiero, l'importante è che stia nel contesto della storia ma, al tempo stesso, ne possa stare fuori senza soffrire, possa essere enucleato dal quantum senza che la trama grossa ne soffra, prendiamo un
dettaglio, scomponiamolo in minimi termini, ingrandiamolo 100 volte o rendiamolo parte di noi, incarniamolo.
La minuziosa descrizione del particolare, l'attenzione alle sfumature svilupperà nell'interlocutore la convinzione che tutto ciò può essere vero ma che, almeno almeno, è verosimile. E questo nel 99% dei casi è sufficiente.
Le sfaccettature e le sottigliezze della trama fine ci aiuteranno a definire la nostra storia e a crederci davvero, pure noi.
Un grande esempio cui ispirarsi ce lo offre Tarantino con il monologo di Tim Roth in Reservoir Dogs: la storia del cesso di Mr. Orange.

Per i tre che ancora non la conoscono:

13 marzo 2012

Venga dotto'

C’era una stagione in cui il medico di famiglia, quanto a onniscienza e rispetto, stava appena un gradino sotto a Dio. E a volte nemmeno.
Il medico condotto, se veniva a visitarti a domicilio perché avevi 39 di febbre, doveva trovare casa pulita e due dita di vinsanto in un bicchierino. E verso il dottore solo stima e fiducia, quando non adorazione.
Alla fine della giornata s’era tracannato per degnare quei diciotto/venti bicchierini eppure guidava ancora e non sbagliava una diagnosi ch’era una.
La famiglia si atteneva scrupolosamente a ciò che lui legiferava in fatto di comportamenti da tenere per il paziente e, soprattutto, in fatto di medicinali.
Intanto perché negli anni settanta si avevano ben altri cavoli di cui occuparsi che non lo studio dei principi attivi, ed era grasso che colava se in casa eran note l’aspirina, la cibalgina e il vicks vaporub. Ogni cristo che si rispettasse faceva il mestiere suo, e lo faceva al meglio.
E anche perché il ruolo del medico era incarnato di una sacralità che andava oltre ogni possibile parere personale, essendo modellata su principi etici radicati fin nell’anima d’Ippocrate.
Poi, abbastanza misteriosamente, la professionalità è implosa, portandosi dietro anche un impoverimento esemplare della qualifica. Il medico generico lo capisci da te che non sa un cazzo.
Eppure sono gli stessi dottori d’una volta - in taluni casi proprio la medesima persona fisica – quelli che tenevano la competenza cucita addosso e ora se la ritrovano sdrucita, a brandelli e divorata dalle tarme dello scetticismo. Sono fatalmente divenuti fallibili agli occhi della gente.
In giro è fitto di sedicenti dottorini o, comunque, di esperti che dormono con l’enciclopedia medica sotto al cuscino e che curano i propri familiari e se stessi sulla base di una ricerca su san Google motore martire, cui danno in pasto frasi del tipo vescicole purulente nella regione poplitea – che fare?
Il mestiere del medico di famiglia si sgonfia per forza se il paziente ha già l’elenco di medicine da farsi prescrivere, la lista di esami da richiedere e sa pure dove sta il poplite. Gli resta la firma, al dottore, e il prezioso ricettario rosso come residuale simbolo dell'antico potere.
Il dottore rimane informato solo per quanto riguarda i malati della vecchia guardia, quelli che trovi sempre all’ambulatorio nonostante siano afflitti solo dagli acciacchi dell’età. Quindi, scordatevi che possa tornarvi utile andare dal medico generico oggi, a meno che non vi serva uno straccio di certificato per la palestra.

12 marzo 2012

A mille ne voglio

Mia nonna sosteneva che la casa non ruba, nasconde.
Casa mia invece è ladra patentata.
È da quando la abito che mi frega sistematicamente gli adattatori per spine tedesche.
Ritengo che possa essere il suo cibo, voglio dire, è una casa, chi può sostenere di sapere di cosa si nutre una casa?
Forse ha fame, quindi ruba perché ha bisogno di alimentazione. Piccolina.
Solo che anche i miei elettrodomestici necessitano di alimentazione e senza le spine tedesche non muovono un dito.
Gli apparati elettrici muniti di spina tedesca, non fissi, che uso, sono: ferro da stiro, aspirapolvere, tagliasiepi, deumidificatore e una sorta di centogradi. E solo i primi due sono di frequente utilizzo.
In passato ho tagliato via tante di quelle spine che poi ho sostituito con quelle standard italiche, solo che poi nasce il problema della garanzia. Allora ho tentato di risolvere comprando tanti adattatori per quanti apparecchi posseggo, di modo tale che non dovendo sfilarli dalle spine non li avrei persi.
Quanti di questi adattatori avrò acquistato in vita lo sa Iddìo! Se parto con cinque, nel giro di un anno resto con uno solo che fa la spola quotidiana tra aspirapolvere e ferro da stiro e, all'evenienza, si dà da fare anche per le altre operazioni.
Hai voglia a nasconderli, troppo brava sarebbe casa mia. No, no, per me se li mangia proprio.

11 marzo 2012

Domenica ore 17

A noi che c'abbiamo il calcio colato dentro che sarebbe da siringare via come si fa con il liquido denso d'un versamento al ginocchio, a noi può capitare che la domenica alle 17 ci girino a frullo i cosiddetti.
Ecco, niente di male, basta che ci diate una mezz'oretta: imprechiamo e sbuffiamo spegnendo la tele o tornando dallo stadio e poi riprendiamo il corso della nostra vita vera. Quella vita in cui il tifo, il calcio in tivù, le chiacchiere sui rigori che non c'erano e le infamie dirette a quei cocchi di mamma di giocatori insulsi che hanno l'ardire d'indossare la sacra casacca ma ti ripagano restituendola troppo pulita e poco sudata, riguadagnano in buon ordine la landa periferica delle tue cose.
Alle 17 può sembrare che il lutto non sia elaborabile, capita che ti sfugga un pensiero d'umore nero che ritieni possa protrarsi fino alla prossima partita vinta, ma non è così, davvero.
Una mezz'ora, questo ci serve. Il tempo di fare due coccole al gatto o di portare fuori il cane, il tempo di scaricare una lavastoviglie e di mettere su l'acqua per un the, il tempo per impastare un pane alle noci, il tempo concesso da un parcheggio. O il tempo di buttare giù un post.

10 marzo 2012

Sul carrello dei vincitori

Non è che sono aduso a tessere le lodi di mia moglie, non qui almeno.
Questo per vari motivi. Primo perché non si fa: il cliché del marito che la sfotte un po' tiene ancora bene. Secondo perché lei NON legge il blog e questo mi fa mediamente incazzare.
Certo ne ha mille di motivi per non leggere qui in quanto spolvera, lava, stira, ammira, sbrina il frigo, pulisce tonnellate di verdure, corre in qua e corre in là, e tutto questo aggiungetelo al fatto che lavora. Io invece sto al cazzeggio davanti al monitor spesso e volentieri.
Oggi però voglio segnalare una sua pregevole iniziativa, l'inserimento nel corredo d'utilità familiare di quest'aggeggio qua:











Non so se ha un nome, convenzionalmente è un Euro Plastificato Giallo da Carrello (EPGC - Eppiggiccì - mi scuso per la qualità della foto).
Per me è stato un vero è proprio toccasana ed è andato a risolvere i miei atavici problemi di reperimento moneta da carrello.
Tendo a liberarmi, per il peso, dei soldi in metallo e quindi spesso ne sono sprovvisto (con le lire era anche peggio) inoltre, dalle mie parti, vai alla Coop e van bene 50 cc e un euro, mentre all'Esselunga un euro e due. Insomma, ti puoi trovare spiazzato in un attimo ed essere costetto ad ammassare i prodotti della spesona del venerdì su di un carrellino mignon che ribalta al primo cambio di corsia.
Se invece, appeso al portachiavi dell'auto tieni il tuo EPGC, niente ti può fermare perché, l'altra cosa notevole, è che l'aggeggio ha una tacca che permette comodamente di gestire una sorta d'attaccastacca dal portachiavi. Quindi non rischi neppure di lasciarlo in macchina, come può succedere se tieni qualche moneta ad uso carrello in zona cruscotto.
Interrogata sull'argomento, la signora dichiara che gliel'ha dato "un omino in un negozio", ergo non so neppure come consigliarvi per procurarvene uno, sappiate solo che esiste.
Ah, non vi pensate usandolo di poter abbandonare il carrello dove vi pare perché dentro non c'avete messo una vera moneta in quanto, ovviamente, l'EPGC ha un valore corrente ben al di sopra dell'euro.
L'ultima emissione di Titoli Nazionali Tedeschi aveva come valuta proprio l'EPGC, fate voi.

p.s. già m'immagino le telefonate, gli sms e i commenti... tutti a chiedere se il colore giallo sia indispensabile. Chiaramente sì, che v' 'o dico a fa'?

8 marzo 2012

Volevo la sottana

Il mio desiderio più grande? Io volevo solo diventare mamma.
Quello mi manca. Più che diventare calciatore professionista.
Lo dico oggi, ma è un caso, chi mi conosce lo sa già.
È stato con la release diventare padre che ho scoperto le limitazioni rispetto al pacchetto diventare madre.
Non fraintendetemi, non si tratta della mia passione per Ryan Gosling, la questio è ben più seria.
In realtà sto bene uomo, mica mi lamento per quello, però avrei partorito volentieri, pur non aspirando al dolore fisico.
Giocare il ruolo decisivo nella sopravvivenza della specie, non l'avrei mica schifato.
Ma il nocciolo della faccenda risiede nel portarsi un cucciolo in pancia e nutrirlo di te. Ecco, magari un uomo difficilmente ci pensa a quanto sia poderoso questo passaggio, ma io, di fronte a una pancia embarazada, provo la stessa sensazione di quando sto sotto la Torre Eiffel e guardo su: ammiro impotente un fenomeno di straordinaria bellezza.
Il babbo, lo si sa, è un compagno di giochi per i suoi figli, mentre la componente biologica che sta nel vivere la stessa vita, respirare la stessa aria e alimentarsi l'uno nell’altro connota, invece, il rapporto madre/figlio di una incontrovertibile unicità.
Queste mie esternazioni generano incredulità nelle femmine (coi maschi non ci parlo di 'ste robe ché loro riconducono tutto a se tu se'  buco dillo!), esse non sono in grado di comprendere appieno la fortuna che hanno, figuriamoci se possono accettare che un uomo gliela invidi. Ma non è ottusità, è natura. Neppure io comprendo l'invidia del pene, essendone dotato da sempre (Ce lo tramandiamo di padre in figlio - Altan).
Lo so che c’hanno fatto su pure un film, con Mastroianni e la Deneuve (Niente di grave, suo marito è incinto), film che non ho visto, se non a spizzichi, ma mi par di ricordare che lui non la prenda bene.
Ma se la genetica farà questo passo avanti (indietro?) mi troverà pronto: io sto già respirando Lamaze.

p.s. mi scuso con tutti per la quantità di parentesi tonde ficcate nel post, ma frequento ancora da troppo poco tempo l’associazione Parentesisti Anonimi.
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(nella foto: Uomo incinta - Marta Fresneda Gutierrez)

7 marzo 2012

A domanda rispondi - n. 6

Qualcuno di voi sa dirmi perchè mi si sta snellendo la pancia ma, mi si aumenta il seno? grazie?
Goditela, non durerà.

Cosa è rimasto del voi adolescente?
La collezione dei Gin Fizz.

Qual'è la maggiore rappresentazione del romanticismo? Pittura, architettura o scultura?
Apostrofatura.

Qualcuno mi sa paragonare la vita di Leopardi alla vita dei ragazzi di oggi?
Tutto quel tempo piegato sulla consolle, te la cerchi la gobba, amico.

Differenza tra un macbook air del 2008 e un macbook air ultimo modello?
4 anni.

Come si trova in un pieno cartesiano il centro di simmetria di una figura?
In un pieno cartesiano? Prima svuotalo, poi si dovrebbe vedere.

Come sbloccare samsung galaxy ace?
Non è meglio se lo restituisci al legittimo proprietario?

Chi mi può fare un server su Pokemon Online?
Hai provato a usare "Forza bruta"?

Ma se non ho la cittadinanza italiana posso andare in Portogallo senza il visto?
Meglio senza essere visto.

Non trovate che poter stare assieme alla persona amata sia la più grossa ricchezza che un uomo possa avere?
Sì, se è un'ereditiera.

Parrucchieri cinesi a firenze?
Noi non fale capelli in città con la elle come filenze. Pelò puoi tlovale a Bologna, Milano, Napoli.

Come convincere mia mamma a comprarmi i tacchi?
Dille che li avevi già ma poi un tizio, un taccheggiatore, te li ha rubati.

Come insegnare al cane di mia cugina a fare i bisogni per strada?
Prima insegna a tua cugina a raccoglierla, poi pensiamo al cane.

Qualcuno mi saprebbe aiutare con questi 2 logoritmi...!
Logoritmi? Un lapsus che avrebbe arricchito Freud.

Secondo voi è maleducazione togliere le scarpe in un luogo pubblico?
No, se è una piscina.

Rapportarsi con un bambino iperattivo: come?
Con ipersculaccioni.

Governo e mafia, mi dite la differenza tra queste forze?
Una è un gruppo ristretto di persone che ha il potere di guidare l'Italia, e poi c'è l’insieme dei ministri.

È vero che se mettiamo del ghiaccio sui testicoli per una decina di minuti aiuta la produzione di sperma?
E se trovi una volontaria che regge lì i cubetti è anche meglio.

Come capire se gli interesso oppure no?
Cerca di respirare o, in alternativa, di mantenere una temperatura corporea al di sopra dei 30 gradi.

Come calcolare un cateto se si sà solo la misura dell'altro cateto e dell'ipotenusa?
Parliamo in un mondo ipotetico in cui Pitagora è morto in culla, o cosa?

Come faccio a sapere se il mio biglietto aereo è rimborsabile?
Se ti rendono i soldi lo è.

È una buona idea secondo voi depilare le parti intime?
Se ti permettono di depilare parti intime altrui, certo.

Chi abbandona il posto di lavoro senza dire nulla incorre in una procedura penale?
No, se è muto, sì se è il guardiano del faro.

Domanda a cui ci ho ragionato molto, ci penso seriamente... come potrei fare lo schiavetto ad una ragazza?
Tipo... la sposi?

Voglio fare sesso con la nonna di un mio amico? puo rimanere ancora incinta?
All’inizio della primavera riuscirai a coronare il tuo sogno. 9 mesi esatti dopo la nonna metterà al mondo tuo figlio e tu diventerai padre dello zio del tuo migliore amico, generando così un paradosso logico-temporale a causa del quale la Terra sarà inghiottita da un buco nero.
I maya avevano previsto tutto: mayale.

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Qui trovi le sessioni precedenti:   1  2  3  4  5

5 marzo 2012

Equitalia s'è desta

Son pronto alla morte, Equitalia chiamò.
Ogni volta che dall’Agenzia delle Entrate mi fanno un accertamento fiscale, a me, impiegato e con ben poco da dichiarare e/o tentare di evadere, resto basito.
Per lo spreco di tempo di questi ispettori, e per il mio. Davvero, mi chiedo se non hanno un metodo migliore per impiegarlo. La risposta, ovviamente, vien da sé, basta ammirare i suvvisti nullatenenti usufruire di tutte le agevolazioni  possibili legate al reddito, dai bonus nascita figlio, all’esenzione per i ticket farmaceutici, alla percezione degli assegni familiari.
Eppure mi si controlla nel 2001: tutto bene.
E mi si ricontrolla nel 2003: tutto bene.
E mi si controlla ancora e di nuovo nel 2007.
Nel 2007 mi vengono comminati 24 eurini di sanzione per mancata presentazione del contratto di mutuo. Telefono e chiarisco: ho presentato il contratto di mutuo già nel 2001 e nell’accertamento 2003, come nel 2007, era scritto a chiare lettere da loro di “non presentare documenti già prodotti in precedenti accertamenti”. Ah ok, mi fanno, le arriverà rettifica e sgravio.
Corca! Mi notificano, invece, una cartella esattoriale di 24+non so bene cos’altro per finire a 40 euri.
A questo punto pago, mi dico, perdo più tempo a perseverare contestando che altro. Anche perché la procedura del ricorso appare impraticabile a un mortale sprovvisto di uno straccio di laurea in giurisprudenza. Mi accingo a pagare online salvo scoprire che (:-O) non si può!
Allora torno sui miei passi, rispolvero la questione di principio, riprendo le carte e, lancia in resta, mi catafiondo all’Agenzia delle strafottutissime Entrate.
Dopo un’attesa di un’ora e mezzo inutile (eccezion fatta per il nuovo record segnato con Johnny Crash goes  Texas:  33156) vengo ricevuto da un’affabile dottoressa (scrivo affabile affinché la fetusa non possa riconoscersi) che mi accoglie fumando in ufficio, tanto per cominciare, e che rifiuta letteralmente di comprendere ciò che tento di spiegarle.
Eppure è semplice, ho provato a spiegarlo a France (6 anni) e l’ha capito pure lui. Se ti metto in punizione perché non hai fatto i compiti che io stesso ti avevo chiesto di non fare tu come reagisci? Mi compro un suv e ti investo, la risposta.
Concludendo, in un agognato ossimoro, esco dall’agenzia delle entrate: ho un modellino di richiesta di sgravio che, adesso, ho bello che compilato con tutte le spiegazioni del caso e che ho inviato tramite ricca raccomandata con ricevuta di ritorno a mio schifosissimo carico (5,50 euri).
Non credo in una soluzione a breve, ma li terrò impegnati più tempo possibile, anche da solo, fino all’ultimo sangue, come Orazio Coclite sul ponte, affinché gli evasori, quelli veri, possano scorrazzare liberamente con i loro suv sull’altra sponda del Tevere.

3 marzo 2012

La Di Vino Commedia

Il servizio ChiamaOra informa che l’utente cercato è di nuovo raggiungibile.

PER ME SI VA NE LA CITTA’ DOLENTE,
PER ME SI VA NE L’ETTERNO DOLORE
PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE.

E penso al mio futuro con terrore
e 'l dubbio nella mente si dilaga
rivolgomi a Virgilio a malincuore:

Ma pe’ entra’ lì, c’è uno che ci paga?
d’andarci a gratis non mi fo persuaso
ma lo maestro mio manco mi caga

menarmi mi vorrà per lo mio naso?
poscia mi squilla lo telefonino
ma non c’è campo, esco, sarà il caso

son Guido e Lapo stanno al vinaino
saluto e scappo a gambe levate
e ‘l Duca resta lì come un cretino

a ber sotto le stelle fila il Vate.

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La Di Vino Commedia, finita di scrivere in osteria davanti a fiumi di rosso, diventa un trattato enologico suddiviso in tre parti, ciascuna delle quali contiene 33 Chianti.

1 marzo 2012

La Dieta Dukan


Digitando "Du" su san Google motore martire, dopo Ducati, Dubai, Durex e Durc appare Dukan, la dieta che va per la maggiore. Un 5° posto incredibile con tendenza a salire. Certo Durc lo vedo più indietro in graduatoria, a meno che non sia il nome di un Pokemon.
Durc, usa fuoco carica! Sì, potrebbe essere.
Su La Linea siamo obbligati dallo statuto a discutere di dieta e magrezza, e difatti non è che ci chiamiamo Le Lonze d’Hombre.
Poi, non appena La Linea d’Ombra chiederà la chiusura del blog, cercate pure Le Lonze, perché non credo che quei fetenti di Coca Colla alzeranno un dito per me, se non il medio. Burp.
Tutti ne parlano, molti la seguono, ma non è la farfallina di Belén: è la dieta Dukan.
Se penso alla dieta mi viene in mente questo post dell’amico Chiagia, è meraviglioso, leggetelo, bastano 10 secondi. Di Dukan invece hanno anche già disquisito in modo amabile e disagiato qui.
Il risultato è garantito, la prima settimana si perdono 2 chili assumendo solo proteine e 3 cucchiaiate di crusca d’avena al giorno, temo prodotta dal buon Dukan, poi si susseguono altre fasi ma, sinceramente, non sono né in grado né voglioso di disquisirne.
L’aspetto fantastico della dieta è che per tutti i cazzo di giovedì della vostra vita mangerete solo e sempre proteine, niente grassi, niente zuccheri, niente carboidrati (ripeto: niente carboidrati), questo contribuirà a rendervi tutte strafighe (gli uomini è provato che non arrivano al primo giovedì) e, soprattutto, vi porterà a rivalutare il lunedì, che perderà il primato di giorno più odiato della settimana.
Ah, un’ultima cosa: basta con la minchiata sono d’ossatura grossa, non ci credete più nemmeno voi.

p.s. per chi non l’avesse capito, questo post nasce dall’esigenza di portare nuova linfa e contatti sul sito. Non a caso sono state utilizzate alcune tra le prime 100 chiavi di ricerca del web: Dukan, Pokemon, farfallina di Belen, strafighe, minchiata, chiavi di ricerca del web e huge tits.


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