«Ma è una metafora?»
«No».
«Uhm…»
«O forse sì, non è importante».
L’uomo grasso col panciotto e il gessato si gratta il pizzo come ogni volta che deve prendere una decisione difficile, guarda il copione sbertucciato sulla scrivania, e ne rilegge il titolo, quel titolo assurdo.
«Ma in definitiva la storia qual è?»
Per tutta risposta l’altro tipo lì, un giovanotto scarmigliato tra il biondo e il rossiccio che indossa un maglione di cotone a v blu infarcito di pelucchi, alza le sopracciglia e le spalle in un movimento sincrono e rivelatore di un vago menefreghismo e di un’ineluttabilità tutta giovanile.
«Cioè, dove si va a parare, non si capisce leggendo. Magari c’è qualcosa da rendere con le riprese che non è scritto qui. Perché il pubblico lo vuol sapere dove si va a parare, se non lo si informa a modo lo si spiazza, non capisce. È gente semplice il pubblico, gente avida di sapere dove si va a parare».
L’uomo col panciotto sfoglia alcune pagine, rilegge dei passi sottovoce quasi a voler capire in quel momento quello che in una settimana intera gli è sempre sfuggito.
«Succedono delle cose, sta lì la storia».
Il punto però non è quello, lo sa il produttore e lo sa lo sbarbato aspirante Cronenberg. È stato più facile altre volte rifiutare un copione perché il movente di un omicidio era vacuo, perché un personaggio non era credibile o perché non c’erano abbastanza tette, ma oggi l’uomo incontra una spessa difficoltà ad affrontare il punto, teme di passare per ignorante e incompetente molto più di quanto tema rifiutare un’opera che potrebbe diventare un successo al botteghino o in qualche festival avanguardista.
«Sì, succedono delle cose, questo è chiaro, ma ecco è proprio necessario che tutti abbiano in testa questi… questi cosi? »
«Caschi».
«Sì, questi caschi, ecco, questi caschi da moto in testa».
Sopracciglia e spalle, nessun altro segno da parte del biondino.
«Fammi capire bene. C’è questa coppia, lui e lei, senza nome, hanno un nome? Non mi pare. Non ce l’hanno un nome».
Intanto sfoglia avanti e indietro a casaccio, cercando ti tenere aperta una pagina che non sia la prima con su quel titolo.
«Lui lavora in ufficio, vita normale, tra computer fotocopiatrici e scartoffie, un capo, il collega stronzo e la collega figa, altri colleghi sullo sfondo… tutta gente con in testa i cosi», fa un gesto con la mano attorno alla testa.
«Caschi».
«Caschi sì. Lei lavora al centro Arredotessile, fa la commessa e vende materassi e cuscini ai clienti che vengono lì coi cosi in testa, caschi sì ho capito, si sdraiano provano i cuscini di piuma e i memory foam sempre coi cosi in testa. Finché un cliente s’invaghisce di lei e tra un cuscino e un materasso inizia una relazione con la tipa senza nome, la nostra lei diciamo. E scopano…»
«Normale».
«Sì, normale, in magazzino sui materassi incellophanati, scopano».
Alza la testa e guarda negli occhi il biondino. In risposta sopracciglia e spalle.
«Con in testa quei cosi».
«Caschi».
«Caschi sì».
«Normale».
«Me li vedo. Normale. Poi cosa succede? Vediamo… ah, muore la nonna. La vediamo nel letto d’ospedale, col coso in testa e un tubo per l’ossigeno, dottori e infermiere tutti regolarmente col coso in testa. Poi il funerale, i parenti, il prete, lui e lei, anche l’amante, tutti al cimitero col coso in testa. E le foto dei morti che s’intravedono sulle lapidi? Tutte col coso integrale calato in testa».
«Giusto».
«Poi c’è la scena di lui nello spogliatoio della palestra, con gli amici sono sotto la doccia nudi, si lavano e si spugnano pure i caschi lì. Poi fuori dalle docce mentre si sparano l’aria dei fon sui cosi lui racconta la barzelletta delle due mucche, una barzelletta finemente inglese alla quale non si ride, semmai si sorride, e cosa succede? Sì, che due amici sorridono e altri due no».
«A due non è piaciuta».
«Ma hanno tutti i cosi, i caschi in testa».
«Normale».
«Quindi non si capisce chi sorride e chi no. Bene, può essere una buona cosa, ma non si capisce neanche adesso dove si vuole andare a parare».
Sopracciglia e spalle.
«E poi lei la scippano, le portano via la borsa e la fanno cadere per terra, ma tanto ha il casco in testa. Due giovinastri in sella a uno scooter la scippano».
«Va così».
«E i giovinastri filano via sullo scooter zigzagando tra i passanti, passanti con i loro bei cosi in testa si capisce, scappano via con la borsa di lei, una lei ormai definitivamente senza nome e, ho capito bene, senza avere in testa quei cosi».
«I caschi».
«I caschi sì».
«Non ce li hanno, no. Normale».
«E questa cosa non ci porta da nessuna parte e non è una metafora del cazzo. E la storia non c’è, ci sono solo i cosi in testa lì, salvo per i due scippatori sul motorino».
Sopracciglia e spalle.
«Ma sì, si può fare, magari cambiamo il titolo però».
E restano ancora un po' lì, senza nemmeno un caffè da sorbire.
30 gennaio 2014
28 gennaio 2014
No knead bread
Da Breaking Bad a Baking Bread il passo è breve. Ringrazio Carolina, la mia pusher nambaruàn, per la ricetta e Darinka per il gioco di parole, che avrei proprio voluto fare io, mannaggia. Detto ciò ecco la ricetta, con l'aggiunta di piccole varianti in parte carolinge e in parte mie, del pane senza impasto.
300g di farina tipo 2
200g di farina integrale
(i 200g li ho messi di farina di farro: consiglio vivamente)
380g di acqua tiepida
5g di lievito di birra
10g di sale
2 cucchiai di olio extravergine di oliva
5g di malto in polvere o in crema
1 pugno di semi di girasole
(girasole e zucca che fanno più figura)
Preparazione:
in un contenitore capiente (che abbia il suo coperchio e sia trasparente possibilmente) mescolate le due farine e il sale. Sciogliete il lievito nell'acqua tiepida insieme al malto e versatelo sulla farina, unite l'olio e i semi e mescolate con una cucchiaio fino ad amalgamare il tutto e a idratare tutta la farina, ma senza impastare. Chiudete il contenitore con il coperchio e riponete il tutto in frigorifero da un minimo di 12 ore a un massimo di 24. (Tenetelo un po' d'occhio, deve lievitare ma non passare di lievito).
Trascorso il tempo di riposo in frigo, infarinate abbondantemente la superficie di lavoro e versateci l'impasto senza sgonfiarlo troppo. Infarinatevi le mani e fate le pieghe del tipo 1 che consistono nel tirare e piegare il lato destro del rettangolo verso il centro, per poi sovrapporgli il lato sinistro (pieghe a portafoglio). Ruotate l'impasto di 90° e ripetete le pieghe.
[Non è fiscale 'sta cosa delle pieghe, prendetevi il vostro tempo e piegate la pasta su stessa, anche varie volte, spingendo e dandole forza, fino a che non avrete un disegno di pieghe che vi aggrada: è dove il pane si spaccherà]
Capovolgete l'impasto in modo che le pieghe stiano sotto e adagiate la pagnotta in uno strofinaccio bene infarinato. Infarinate anche la superficie della pagnotta e chiudete lo strofinaccio ripiegando tutti i lembi verso il centro. Lasciate la pagnotta riposare nello strofinaccio per 1-1 1/2 ora.
[Io preferisco non tenerlo troppo nello strofinaccio a lievitare, intanto perché più che ci sta e più probabilità avrà d'imparentarsi alla stoffa creando qualche problemino nella fase d'infornamento, e poi perché preferisco calarlo nella pentola arroventata quando ha ancora la sua forza lievitante e non rischiare di sgonfiarlo perché troppo lievito]
Venti minuti prima di infornare, portate il forno al massimo (250°) mettendo al suo interno una pentola con il suo coperchio. L'ideale è usare una pentola in ghisa (diametro 24 cm).
[Io ho usato una pentola in coccio da 22cm di diametro]
Altrimenti usatene una in pyrex, in terracotta o, se proprio non ne avete, una in acciaio (meglio una in alluminio pressofuso antiaderente). Quando il forno sarà arrivato a temperatura, togliete momentaneamente il coperchio alla casseruola, aprite i lembi dello strofinaccio, appoggiate la mano destra a fianco alla pagnotta e con la sinistra aiutandovi con lo strofinaccio, capovolgetela sulla mano in modo che ora la parte con le pieghe sia verso l'alto. Adagiate la pagnotta nella casseruola, chiudetela con il coperchio e lasciate cuocere per 25 minuti, dopodiché, rimuovete il coperchio e continuate la cottura per altri 10-15 minuti.
Note:
L'impasto è molto molle, la farina nel maneggiarlo è fondamentale.
La temperatura massima del forno è altra condicio sine qua non.
La cura delle pieghe è risolutiva per l'estetica, non sottovalutatela.
I minuti di cottura nel forno sono indicativi: è una fase in cui la pagnotta va controllata e seguita come fosse un bimbo che muove i primi passi.
Deve colorarsi senza rischiare un'insolazione e deve cuocersi in modo uniforme.
Ognuno conosce il proprio forno, sarà quindi la vostra esperienza a guidarvi, in ogni caso, per quanto mi riguarda, ho usato la funzione "pollo" con una cottura forte anche e soprattutto dal basso (il rischio è ritrovarselo crudo sotto).
Attenzione, è un prodotto altamente PCD.
p.s. per Claudia: La Linea non diventerà un blog di cucina.
300g di farina tipo 2
200g di farina integrale
(i 200g li ho messi di farina di farro: consiglio vivamente)
380g di acqua tiepida
5g di lievito di birra
10g di sale
2 cucchiai di olio extravergine di oliva
5g di malto in polvere o in crema
1 pugno di semi di girasole
(girasole e zucca che fanno più figura)
Preparazione:
in un contenitore capiente (che abbia il suo coperchio e sia trasparente possibilmente) mescolate le due farine e il sale. Sciogliete il lievito nell'acqua tiepida insieme al malto e versatelo sulla farina, unite l'olio e i semi e mescolate con una cucchiaio fino ad amalgamare il tutto e a idratare tutta la farina, ma senza impastare. Chiudete il contenitore con il coperchio e riponete il tutto in frigorifero da un minimo di 12 ore a un massimo di 24. (Tenetelo un po' d'occhio, deve lievitare ma non passare di lievito).
Trascorso il tempo di riposo in frigo, infarinate abbondantemente la superficie di lavoro e versateci l'impasto senza sgonfiarlo troppo. Infarinatevi le mani e fate le pieghe del tipo 1 che consistono nel tirare e piegare il lato destro del rettangolo verso il centro, per poi sovrapporgli il lato sinistro (pieghe a portafoglio). Ruotate l'impasto di 90° e ripetete le pieghe.
[Non è fiscale 'sta cosa delle pieghe, prendetevi il vostro tempo e piegate la pasta su stessa, anche varie volte, spingendo e dandole forza, fino a che non avrete un disegno di pieghe che vi aggrada: è dove il pane si spaccherà]
Capovolgete l'impasto in modo che le pieghe stiano sotto e adagiate la pagnotta in uno strofinaccio bene infarinato. Infarinate anche la superficie della pagnotta e chiudete lo strofinaccio ripiegando tutti i lembi verso il centro. Lasciate la pagnotta riposare nello strofinaccio per 1-1 1/2 ora.
[Io preferisco non tenerlo troppo nello strofinaccio a lievitare, intanto perché più che ci sta e più probabilità avrà d'imparentarsi alla stoffa creando qualche problemino nella fase d'infornamento, e poi perché preferisco calarlo nella pentola arroventata quando ha ancora la sua forza lievitante e non rischiare di sgonfiarlo perché troppo lievito]
Venti minuti prima di infornare, portate il forno al massimo (250°) mettendo al suo interno una pentola con il suo coperchio. L'ideale è usare una pentola in ghisa (diametro 24 cm).
[Io ho usato una pentola in coccio da 22cm di diametro]
Altrimenti usatene una in pyrex, in terracotta o, se proprio non ne avete, una in acciaio (meglio una in alluminio pressofuso antiaderente). Quando il forno sarà arrivato a temperatura, togliete momentaneamente il coperchio alla casseruola, aprite i lembi dello strofinaccio, appoggiate la mano destra a fianco alla pagnotta e con la sinistra aiutandovi con lo strofinaccio, capovolgetela sulla mano in modo che ora la parte con le pieghe sia verso l'alto. Adagiate la pagnotta nella casseruola, chiudetela con il coperchio e lasciate cuocere per 25 minuti, dopodiché, rimuovete il coperchio e continuate la cottura per altri 10-15 minuti.
Note:
L'impasto è molto molle, la farina nel maneggiarlo è fondamentale.
La temperatura massima del forno è altra condicio sine qua non.
La cura delle pieghe è risolutiva per l'estetica, non sottovalutatela.
I minuti di cottura nel forno sono indicativi: è una fase in cui la pagnotta va controllata e seguita come fosse un bimbo che muove i primi passi.
Deve colorarsi senza rischiare un'insolazione e deve cuocersi in modo uniforme.
Ognuno conosce il proprio forno, sarà quindi la vostra esperienza a guidarvi, in ogni caso, per quanto mi riguarda, ho usato la funzione "pollo" con una cottura forte anche e soprattutto dal basso (il rischio è ritrovarselo crudo sotto).
Attenzione, è un prodotto altamente PCD.
p.s. per Claudia: La Linea non diventerà un blog di cucina.
24 gennaio 2014
Breaking Bad
Prima parte [SPOILER FREE]
Non sono un cultore delle serie in genere, specialmente di quelle (come questa) che sviluppano una trama unica attraverso più episodi e più anni; preferisco ciucciarmi un episodio al volo, quando capita, dove c’è un senso finito anche singolarmente.
Qui no, te le devi guardare tutte e devi cominciare dal primo anno.
Anche se la declinazione del verbo dovere nella frase precedente è impropria, è più corretto dire ti devi guardare il primo episodio e poi ti vuoi guardare tutti gli altri.
Perché funziona così, è una serie PCD (*) e quando finisce, perché con la quinta stagione finisce, ti lascia inebetito davanti allo schermo in attesa di qualcosa che non sarà più.
L’unica altra volta che ho provato una sensazione simile è stato quando hanno chiuso Happy Days, ecco lì volevo davvero promuovere una sorta di sciopero o di marcia di protesta, non ricordo, ma non mi riuscì nemmeno di mettere insieme quattro amici per un comitato promotore ristretto.
Già con Friends mi sono fatto una ragione più alla svelta.
Il consiglio veniva da figlio grande e, considerando la musica alla quale ha cercato di introdurmi negli anni scorsi, poteva andare bene ma anche meno, ecco, ma visto che provare non costava niente l’abbiamo fatto.
In fondo avevamo a disposizione i tre elementi necessari: una connessione decente, un divano comodo e una gatta ciascuno da coccolare.
Bon, se siete convinti di portare avanti le vostre esistenze senza nemmeno conoscere Walter White e Jesse Pinkman, fatelo, ma sarebbe un po’ come morire senza aver letto un Diabolik, senza aver fatto un bagno in Sardegna o senza aver mangiato della focaccia di Recco.
Gli elementi nuovi che hanno caratterizzato la mia vita nel 2013 sono questi: Infinite Jest, la corsa, Ruzzle e Breaking Bad.
Degli altri avevo già detto, mancava giusto un accenno ad Heisenberg.
________________________________________________
Seconda Parte - The traffic lights [SPOILER]
(*) Può Causare Dipendenza
p.s. si prega di segnalare i commenti quando sono [SPOILER]
Non sono un cultore delle serie in genere, specialmente di quelle (come questa) che sviluppano una trama unica attraverso più episodi e più anni; preferisco ciucciarmi un episodio al volo, quando capita, dove c’è un senso finito anche singolarmente.
Qui no, te le devi guardare tutte e devi cominciare dal primo anno.
Anche se la declinazione del verbo dovere nella frase precedente è impropria, è più corretto dire ti devi guardare il primo episodio e poi ti vuoi guardare tutti gli altri.
Perché funziona così, è una serie PCD (*) e quando finisce, perché con la quinta stagione finisce, ti lascia inebetito davanti allo schermo in attesa di qualcosa che non sarà più.
L’unica altra volta che ho provato una sensazione simile è stato quando hanno chiuso Happy Days, ecco lì volevo davvero promuovere una sorta di sciopero o di marcia di protesta, non ricordo, ma non mi riuscì nemmeno di mettere insieme quattro amici per un comitato promotore ristretto.
Già con Friends mi sono fatto una ragione più alla svelta.
Il consiglio veniva da figlio grande e, considerando la musica alla quale ha cercato di introdurmi negli anni scorsi, poteva andare bene ma anche meno, ecco, ma visto che provare non costava niente l’abbiamo fatto.
In fondo avevamo a disposizione i tre elementi necessari: una connessione decente, un divano comodo e una gatta ciascuno da coccolare.
Bon, se siete convinti di portare avanti le vostre esistenze senza nemmeno conoscere Walter White e Jesse Pinkman, fatelo, ma sarebbe un po’ come morire senza aver letto un Diabolik, senza aver fatto un bagno in Sardegna o senza aver mangiato della focaccia di Recco.
Gli elementi nuovi che hanno caratterizzato la mia vita nel 2013 sono questi: Infinite Jest, la corsa, Ruzzle e Breaking Bad.
Degli altri avevo già detto, mancava giusto un accenno ad Heisenberg.
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Seconda Parte - The traffic lights [SPOILER]
- Il fatto che NON succedono le cose che sembrano scontate, non sempre almeno, e spesso gli accadimenti tradiscono inesorabilmente le preghiere dello spettatore. Alcuni episodi, se fossero stati sottoposti a quelle proiezioni pilota per far decidere il pubblico sullo svolgimento, non sarebbero andati da nessuna parte. Questo è il pregio più grande.
- La sceneggiatura è disseminata di indizi per farti arrivare a comprendere quello che sarà prima che accada davvero, e quando ci riesci son soddisfazioni.
- Il montaggio con i flashback e i flashforward che stimolano i tuoi ragionamenti e creano la giusta attesa.
- I notevoli e ripetuti cul-de-sac narrativi in cui pare andare ad infilarsi la storia salvo poi uscirne con idee straordinarie e sempre (quasi) credibili.
- La gestione dei personaggi minori, sempre curata e infarcita di piccoli e succosi particolari.
- La tensione forte di taluni passaggi, su tutti Hank e Walter in garage.
- La fotografia mirabile nelle scene per così dire desertiche.
- La sapiente contrapposizione di brani musicali allegri a fare da sottofondo alle scene più cruente.
- Un paio di illuminazioni che colpiscono il Jesse pensiero, la prima a favore di Walter e la seconda contro, che prorompono da una fiammella troppo flebile per scatenarle davvero.
- Alcune scene di violenza inaudita e assurda, tarantiniana per intendersi, che sono un po' fuori contesto rispetto alla realità che la serie sembra voglia perseguire specialmete nelle prime stagioni.
- Un paio di episodi noiosi, ma giusto 2 su 62.
- Gli interventi di chirurgia plastica a cui si è sottoposta l'attrice Anna Gunn (Skyler, moglie di Walter) tra la 2a e 3a serie. Mi hanno infastidito, fossi stato il produttore non glieli avrei permessi, oltretutto in alcuni flashback, girati dopo, la sua faccia nuova stride come gesso sulla lavagna.
(*) Può Causare Dipendenza
p.s. si prega di segnalare i commenti quando sono [SPOILER]
21 gennaio 2014
Vestirsi alla sasso nello stagno
Chiedetemi di abbinare le parole, i numeri o magari le coppie degli anni 70, lì son davvero forte con la moglie di Gianni Nazzaro (Nada Ovcina) o l'uomo di Nada Malanima (Gerry Manzoli dei Camaleonti).
Chiedetemi d'abbinare libri e autori, film e registi o squadre e calciatori.
Chiedetemi d'abbinare capitali e stati, personaggi di fumetti e disegnatori o vette e scalatori, ma non chiedetemi di abbinare i vestiti.
La mia natura mi induce a pensare che sia sufficiente indossare elementi tutti d’un colore, anche se di tonalità diverse, e invece mi dicono che non funziona così.
E il questo sta bene con quello è una roba che va oltre le mie capacità percettive di gusto. Se qualche accozzamento ormai lo azzecco è perché l'ho memorizzato e ne ho fatto un dogma.
Non ultimo elemento di difficoltà è il mio iter di vestitura a sasso nello stagno, dove il centro d'impatto iniziale è spesso un accessorio o un capo che voglio per forza indossare e attorno al quale devo costruire poi tutta la mise di cerchi concentrici, spesso con conseguenze disastrose.
p.s. 5 punti a chi indovina il film da cui è tratta l'immagine. Anzi no, è troppo facile, facciamo 5 minuti in ginocchio sui ceci a chi non l'indovina.
Chiedetemi d'abbinare libri e autori, film e registi o squadre e calciatori.
Chiedetemi d'abbinare capitali e stati, personaggi di fumetti e disegnatori o vette e scalatori, ma non chiedetemi di abbinare i vestiti.
La mia natura mi induce a pensare che sia sufficiente indossare elementi tutti d’un colore, anche se di tonalità diverse, e invece mi dicono che non funziona così.
E il questo sta bene con quello è una roba che va oltre le mie capacità percettive di gusto. Se qualche accozzamento ormai lo azzecco è perché l'ho memorizzato e ne ho fatto un dogma.
Non ultimo elemento di difficoltà è il mio iter di vestitura a sasso nello stagno, dove il centro d'impatto iniziale è spesso un accessorio o un capo che voglio per forza indossare e attorno al quale devo costruire poi tutta la mise di cerchi concentrici, spesso con conseguenze disastrose.
p.s. 5 punti a chi indovina il film da cui è tratta l'immagine. Anzi no, è troppo facile, facciamo 5 minuti in ginocchio sui ceci a chi non l'indovina.
16 gennaio 2014
I primi nove venerdì del mese
«Cammina!»
La mamma si volta sull’acciottolato e guarda sua figlia qualche metro indietro, è immobile in mezzo alla via e stringe al petto il suo Bubu, un orsacchiotto di peluche.
«Cammina, ti ho detto!»
«Sono stanca, uffa, e anche Bubu è stanco» dice la piccola mostrando il pupazzo alla madre. Lo tiene da dietro per il collo, teso verso la mamma, come fosse un’arma o come fosse un talismano capace di scacciare ogni spirito maligno e di cancellare la fatica da ogni singolo passo.
«Diglielo, Bubu!»
«Muoviti, dai, sono solo dieci minuti e poi siamo arrivati. E non fare storie, ne abbiamo già parlato».
La madre, col figlio più piccolo in collo, riparte a passi serrati verso il paese, la figlia s’imbroncia ma riprende a camminare anche lei, a capo chino e tirandosi dietro Bubu per un braccino.
«Forza Bubu, sono solo dieci minuti, non devi fare le storie, no no».
È venerdì pomeriggio, per l’esattezza è l’ottavo primo venerdì del mese. L’ottavo di nove venerdì consecutivi in cui la tradizione cattolica auspica messa e comunione. Nove primi venerdì del mese che se rispettati portano il fedele all’indulgenza plenaria e a morire, sempre e quando sarà il momento, nella grazia di Dio.
Sono tre chilometri per andare e tre per tornare di una strada solo in parte asfaltata e piana, ma per lunghi tratti pendente e sassosa e dove muoversi con un passeggino sarebbe più gravoso che doversi portare un figliolo in braccio. Sono i tre chilometri che separano il paese con la sua chiesa dall’abitazione di Margherita, di sua mamma Anna e del piccolo Luca.
Il venerdì successivo sarebbe il nono: è l’ultimo da osservare per poter ricevere la divina assoluzione di tutti i peccati in via preferenziale e direttamente dal sacro cuore di Gesù.
Luchino però sta male e la madre, sebbene ci pensi e valuti la cosa, non lo può trascinare giù fino alla chiesa, ché va bene è già primavera ma fa ancora un freddo birbone e il viaggio di ritorno è pure da fare al buio.
«Oggi non si va a messa, cucciola, tuo fratello ha la febbre alta ed è meglio se lo teniamo al calduccio».
La piccola è incredula, sgrana gli occhi e abbraccia il suo amico di pezza.
«Niente messa oggi, Bubu, che bello!»
Margherita appoggia la sua borsetta rossa di pannolenci su uno sgabello e l’orsacchiotto accenna due passi di danza della felicità, in un dondolare aggraziato e guidato dalla manina cicciotta della bambina.
Ma la solfa dei primi nove venerdì del mese resta lì, anzi, si ripresenta più minacciosa e più necessaria di prima, è una fortezza da espugnare, un vero e proprio punto d’impegno per mamma Anna.
Il supplizio è solo rimandato e tra una settimana si ricomincia, poche storie.
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Immagine: Billa (Sabina Feroci)
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Il testo partecipa all'EDS Rosso come il peccato by La donna Camèl assieme a:
- Melusina con Gloria mundi
- Dario con Lisa Borletti
- Dario con Turi Pappalardo
- Dario con Lucevan li occhi suoi più che la stella
- Gordon Comstock con Il peccato più grande
- Fulvia con Biancaneve
- Melusina con Red Velvet
- Angela con Pensiero stupendo
- Angela con un altro Pensiero stupendo rosso jungla
- Gabriele con Cave cave deus videt
- Bianca con Vedo rosso
- Melusina con L'amore ai tempi dei nonni
- Pendolante con La confessione
- Melusina con Mille papaveri rossi
- Lillina con Iago
- Cielo con Il Pantone. Altro che rosso.
- Gabriele con Pesci bianchi, pesci rossi
- Michela con Apple
- Pendolante con Generazioni
La mamma si volta sull’acciottolato e guarda sua figlia qualche metro indietro, è immobile in mezzo alla via e stringe al petto il suo Bubu, un orsacchiotto di peluche.
«Cammina, ti ho detto!»
«Sono stanca, uffa, e anche Bubu è stanco» dice la piccola mostrando il pupazzo alla madre. Lo tiene da dietro per il collo, teso verso la mamma, come fosse un’arma o come fosse un talismano capace di scacciare ogni spirito maligno e di cancellare la fatica da ogni singolo passo.
«Diglielo, Bubu!»
«Muoviti, dai, sono solo dieci minuti e poi siamo arrivati. E non fare storie, ne abbiamo già parlato».
La madre, col figlio più piccolo in collo, riparte a passi serrati verso il paese, la figlia s’imbroncia ma riprende a camminare anche lei, a capo chino e tirandosi dietro Bubu per un braccino.
«Forza Bubu, sono solo dieci minuti, non devi fare le storie, no no».
È venerdì pomeriggio, per l’esattezza è l’ottavo primo venerdì del mese. L’ottavo di nove venerdì consecutivi in cui la tradizione cattolica auspica messa e comunione. Nove primi venerdì del mese che se rispettati portano il fedele all’indulgenza plenaria e a morire, sempre e quando sarà il momento, nella grazia di Dio.
Sono tre chilometri per andare e tre per tornare di una strada solo in parte asfaltata e piana, ma per lunghi tratti pendente e sassosa e dove muoversi con un passeggino sarebbe più gravoso che doversi portare un figliolo in braccio. Sono i tre chilometri che separano il paese con la sua chiesa dall’abitazione di Margherita, di sua mamma Anna e del piccolo Luca.
Il venerdì successivo sarebbe il nono: è l’ultimo da osservare per poter ricevere la divina assoluzione di tutti i peccati in via preferenziale e direttamente dal sacro cuore di Gesù.
Luchino però sta male e la madre, sebbene ci pensi e valuti la cosa, non lo può trascinare giù fino alla chiesa, ché va bene è già primavera ma fa ancora un freddo birbone e il viaggio di ritorno è pure da fare al buio.
«Oggi non si va a messa, cucciola, tuo fratello ha la febbre alta ed è meglio se lo teniamo al calduccio».
La piccola è incredula, sgrana gli occhi e abbraccia il suo amico di pezza.
«Niente messa oggi, Bubu, che bello!»
Margherita appoggia la sua borsetta rossa di pannolenci su uno sgabello e l’orsacchiotto accenna due passi di danza della felicità, in un dondolare aggraziato e guidato dalla manina cicciotta della bambina.
Ma la solfa dei primi nove venerdì del mese resta lì, anzi, si ripresenta più minacciosa e più necessaria di prima, è una fortezza da espugnare, un vero e proprio punto d’impegno per mamma Anna.
Il supplizio è solo rimandato e tra una settimana si ricomincia, poche storie.
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Immagine: Billa (Sabina Feroci)
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Il testo partecipa all'EDS Rosso come il peccato by La donna Camèl assieme a:
- Melusina con Gloria mundi
- Dario con Lisa Borletti
- Dario con Turi Pappalardo
- Dario con Lucevan li occhi suoi più che la stella
- Gordon Comstock con Il peccato più grande
- Fulvia con Biancaneve
- Melusina con Red Velvet
- Angela con Pensiero stupendo
- Angela con un altro Pensiero stupendo rosso jungla
- Gabriele con Cave cave deus videt
- Bianca con Vedo rosso
- Melusina con L'amore ai tempi dei nonni
- Pendolante con La confessione
- Melusina con Mille papaveri rossi
- Lillina con Iago
- Cielo con Il Pantone. Altro che rosso.
- Gabriele con Pesci bianchi, pesci rossi
- Michela con Apple
- Pendolante con Generazioni
11 gennaio 2014
La mia sposa arrivò su una Jetta (*)
Non sono superstizioso, no davvero.
Passo sotto alle scale come se piovesse, rompo gli specchi a mazzate, non inchiodo l'auto né mi faccio sorpassare quando mi attraversa un gatto nero, inoltre parto e arrivo di venere e marte come pure do principio all'arte se capita.
E fin qui vaffanculo direte voi.
Però però c'ho un satanello dentro, un cugino di Beetlejuice o, chessò, una spina nell'anima che su un paio di circostanze piglia il nastro della mia mente di libero pensatore del ventunesimo secolo e lo riavvolge con il REW fino ai secoli bui del medioevo.
La prima è il pane, il suo verso a riposo, ma qui me la canto e me la suono perché a casa mia, lo compro, lo maneggio e lo mangio soltanto io e quindi è facile tenerlo sempre appoggiato sulla base.
La seconda è il cappello sul letto. Il cappello sul letto non ce la fo proprio. E qui devo lottare perché da me non se la filano questa cosa e capita che allestiscano una vera e propria modisteria sui nostri giacigli e io son lì che passo e ripulisco e metto in guardia e minaccio e santinquisisco ma nulla, continuano a levarsi la berrettaglia e a scaraventarla sul letto.
Non riesco neppure a mettere un'immagine che rappresenti l'incosciente combinazione, tantomeno a digitare la stringa su san Gugol motore martire e quindi posterò un gatto, ché quello va sempre bene.
(*) La Jetta ('84) sta alla Volkswagen come la Duna sta alla Fiat.
Passo sotto alle scale come se piovesse, rompo gli specchi a mazzate, non inchiodo l'auto né mi faccio sorpassare quando mi attraversa un gatto nero, inoltre parto e arrivo di venere e marte come pure do principio all'arte se capita.
E fin qui vaffanculo direte voi.
Però però c'ho un satanello dentro, un cugino di Beetlejuice o, chessò, una spina nell'anima che su un paio di circostanze piglia il nastro della mia mente di libero pensatore del ventunesimo secolo e lo riavvolge con il REW fino ai secoli bui del medioevo.
La prima è il pane, il suo verso a riposo, ma qui me la canto e me la suono perché a casa mia, lo compro, lo maneggio e lo mangio soltanto io e quindi è facile tenerlo sempre appoggiato sulla base.
La seconda è il cappello sul letto. Il cappello sul letto non ce la fo proprio. E qui devo lottare perché da me non se la filano questa cosa e capita che allestiscano una vera e propria modisteria sui nostri giacigli e io son lì che passo e ripulisco e metto in guardia e minaccio e santinquisisco ma nulla, continuano a levarsi la berrettaglia e a scaraventarla sul letto.
Non riesco neppure a mettere un'immagine che rappresenti l'incosciente combinazione, tantomeno a digitare la stringa su san Gugol motore martire e quindi posterò un gatto, ché quello va sempre bene.
(*) La Jetta ('84) sta alla Volkswagen come la Duna sta alla Fiat.
9 gennaio 2014
Ciao caro - Ciao bella
Non lo so, son saluti che mi suonano falsi come un biglietto da quindici euri.
Non basterebbe un ciao?
Questo caro o questa bella buttati lì così, spesso non sono altro che la versione pubblicamente spendibile di merda e zoccola.
Quando li sentite, anche rivolti a voi - soprattutto se rivolti a voi - provate a sostituire il lemma che segue il ciao con il suo significato larvato e vedrete che si sposa molto meglio con il giudizio oggettivo del salutatore riguardo al salutato.
Inoltre questi saluti, seminarli a spaglio su chiunque capita a tiro, anche e qualora in un caso remoto di supposta verità, li svuota totalmente di significato affossando non poco l’immagine del salutato che appare caro o bella solo giusto perché è il trattamento indistinto riservato agli umani dal salutatore in questione.
Il problema è se sia più nobile all'animo tornare ai tempi del gioca jouer e limitarsi all’oscillazione della manina senza alcuna responsabilità aggettiva (proprio con la a).
Ricordatevi dunque di lanciare il trova-sostituisci caro con merda e il trova-sostituisci bella con zoccola: restituiamo dignità alle formule di saluto!
Magari inizialmente fatelo solo nella vostra testa e poi, se funziona: pump up the volume.
Bon, ho finito, ciao cari.
Non basterebbe un ciao?
Questo caro o questa bella buttati lì così, spesso non sono altro che la versione pubblicamente spendibile di merda e zoccola.
Quando li sentite, anche rivolti a voi - soprattutto se rivolti a voi - provate a sostituire il lemma che segue il ciao con il suo significato larvato e vedrete che si sposa molto meglio con il giudizio oggettivo del salutatore riguardo al salutato.
Inoltre questi saluti, seminarli a spaglio su chiunque capita a tiro, anche e qualora in un caso remoto di supposta verità, li svuota totalmente di significato affossando non poco l’immagine del salutato che appare caro o bella solo giusto perché è il trattamento indistinto riservato agli umani dal salutatore in questione.
Il problema è se sia più nobile all'animo tornare ai tempi del gioca jouer e limitarsi all’oscillazione della manina senza alcuna responsabilità aggettiva (proprio con la a).
Ricordatevi dunque di lanciare il trova-sostituisci caro con merda e il trova-sostituisci bella con zoccola: restituiamo dignità alle formule di saluto!
Magari inizialmente fatelo solo nella vostra testa e poi, se funziona: pump up the volume.
Bon, ho finito, ciao cari.
7 gennaio 2014
Present continuous
Diversi erano i motivi che potevano rendere seccante il fatto di andare a ripetizione d’inglese. Intanto andarci con Paolo, un demente fatto e finito mio vicino di casa e di sventura nell’anglofono esprimersi, i pomeriggi di studio forzoso strappati al cazzeggio, il fatto che la profe delle ripetizioni fosse la mamma di un nostro compagno di classe, tale Simone il secchione che chiaramente ci avrebbe sputtanato un po’ con tutti e in più la prevedibile ovvietà con cui quella avrebbe capito che le mie lacune erano riconducibili "solo” a carenza di studio, con conseguenze potenzialmente disastrose.
Ma un motivo, un solo motivo, rischiava invece di rendere l’esperienza imperitura. La tipa lì, la profe, la mamma di Simone, la Marta per dirla col nome suo, ha un seno enorme, due poppe irriverenti che potrebbero stare in bacheca alla bocciofila. Non so se avete presenti due robe così, sempre in generosa mostra, con un solco lucido e soffocato in mezzo.
Ci andiamo e ci innamoriamo nella prima mezz’ora. Capite, non è che questa ti spiega i logaritmi e le figure retoriche, questa dice the, dice the con la lingua tra i denti sporgendosi mammellosamente verso di te, povero cristo sfigato e angloriluttante.
- The, the… lo vedi come la metto la lingua? – e si indica le labbra con un dito smaltato vermiglio.
- The.
Lei guarda me, ma risponde Paolo, che lui è più sciolto colle ragazze anche se qui siamo di fronte a un caso un po’ più complicato. Ci sono anni, ci sono unghie, ci sono labbra e ci sono poppe.
- Certo, the, che ci vuole? Lingua fra i denti, the… the… the.
Insomma va così che come on baby let’s all right si fanno una decina d’ore di ripetizione e si parla come si fosse di Cambridge. Almeno io via, Paolo è proprio zuccone, lui più là del the non ci arriva.
È che all’ultima lezione, quella dei saluti, la Marta a un certo punto s’alza e c’informa che deve arrivare in bagno. Io e Paolo ci si guarda come due coglioni, solo immaginarla sul vaso a far pipì ci spara gli ormoni in orbita attorno a Plutone.
- Icché si fa?
- Icché tu vo’ fare? S’aspetta che torni.
- Col cazzo, io vo alla finestra del bagno, magari è aperta.
- E io?
- Che ne so? Vai alla porta, ci sta che vedi qualcosa dal buco della serratura.
Paolo schizza fuori in terrazza mentre io resto lì, insaccato come una salamella a fissare il quaderno con i cazzo di esercizi sul present continuous. Non mi ricapiterà, penso, allora trovo la forza di alzarmi e in un attimo I’m looking through the keyhole.
Lo vedo il cespuglio quando si rialza dal water e giuro mi pare che indugi un po’ prima di tirar su le mutandine, respiro a fatica come succhiassi l’aria da un bucatino.
È un attimo, lo spazio serratura si riempie di lei e la porta si apre. Faccio appena in tempo a tirarmi su, ma sono lì e non c’è modo di scappare, né di scomparire.
- Mi hai guardato pisciare?
Ci provo a deglutire, ci provo a darmi un contegno, ma l’unico risultato che ottengo è una vampa rosso fuoco sulla faccia, per quella parola detta così più che per questioni di pelo. Vorrei dire no, ma forse vorrei dire anche sì, alla fine muovo leggermente il capo verso il basso in quella che è mezza affermazione e mezza ammissione di colpa.
- Lo sai che è un peccato?
- …
- È un peccato!
- …
- È un peccato che non sei venuto solo! - mi sussurra.
Il compito in classe successivo mi tocca passarglielo a Paolo che è lì che si lambicca e rischia di beccarsi l’ennesimo tre, povero Paolo. Glielo preparo perfetto, e ci metto pure un paio di errorini, giusto perché si capisca che non l’ha copiato da Simone il secchione.
Io invece non voglio correre rischi inutili di sufficienza e lo consegno praticamente in bianco.
______________________________________________________
Il testo partecipa all'EDS Rosso come il peccato by La donna Camèl.
- Melusina con Gloria mundi
- Dario con Lisa Borletti
- Dario con Turi Pappalardo
- Dario con Lucevan li occhi suoi più che la stella
- Gordon Comstock con Il peccato più grande
- Fulvia con Biancaneve
- Melusina con Red Velvet
- Angela con Pensiero stupendo
- Angela con un altro Pensiero stupendo rosso jungla
- Gabriele con Cave cave deus videt
Ma un motivo, un solo motivo, rischiava invece di rendere l’esperienza imperitura. La tipa lì, la profe, la mamma di Simone, la Marta per dirla col nome suo, ha un seno enorme, due poppe irriverenti che potrebbero stare in bacheca alla bocciofila. Non so se avete presenti due robe così, sempre in generosa mostra, con un solco lucido e soffocato in mezzo.
Ci andiamo e ci innamoriamo nella prima mezz’ora. Capite, non è che questa ti spiega i logaritmi e le figure retoriche, questa dice the, dice the con la lingua tra i denti sporgendosi mammellosamente verso di te, povero cristo sfigato e angloriluttante.
- The, the… lo vedi come la metto la lingua? – e si indica le labbra con un dito smaltato vermiglio.
- The.
Lei guarda me, ma risponde Paolo, che lui è più sciolto colle ragazze anche se qui siamo di fronte a un caso un po’ più complicato. Ci sono anni, ci sono unghie, ci sono labbra e ci sono poppe.
- Certo, the, che ci vuole? Lingua fra i denti, the… the… the.
Insomma va così che come on baby let’s all right si fanno una decina d’ore di ripetizione e si parla come si fosse di Cambridge. Almeno io via, Paolo è proprio zuccone, lui più là del the non ci arriva.
È che all’ultima lezione, quella dei saluti, la Marta a un certo punto s’alza e c’informa che deve arrivare in bagno. Io e Paolo ci si guarda come due coglioni, solo immaginarla sul vaso a far pipì ci spara gli ormoni in orbita attorno a Plutone.
- Icché si fa?
- Icché tu vo’ fare? S’aspetta che torni.
- Col cazzo, io vo alla finestra del bagno, magari è aperta.
- E io?
- Che ne so? Vai alla porta, ci sta che vedi qualcosa dal buco della serratura.
Paolo schizza fuori in terrazza mentre io resto lì, insaccato come una salamella a fissare il quaderno con i cazzo di esercizi sul present continuous. Non mi ricapiterà, penso, allora trovo la forza di alzarmi e in un attimo I’m looking through the keyhole.
Lo vedo il cespuglio quando si rialza dal water e giuro mi pare che indugi un po’ prima di tirar su le mutandine, respiro a fatica come succhiassi l’aria da un bucatino.
È un attimo, lo spazio serratura si riempie di lei e la porta si apre. Faccio appena in tempo a tirarmi su, ma sono lì e non c’è modo di scappare, né di scomparire.
- Mi hai guardato pisciare?
Ci provo a deglutire, ci provo a darmi un contegno, ma l’unico risultato che ottengo è una vampa rosso fuoco sulla faccia, per quella parola detta così più che per questioni di pelo. Vorrei dire no, ma forse vorrei dire anche sì, alla fine muovo leggermente il capo verso il basso in quella che è mezza affermazione e mezza ammissione di colpa.
- Lo sai che è un peccato?
- …
- È un peccato!
- …
- È un peccato che non sei venuto solo! - mi sussurra.
Il compito in classe successivo mi tocca passarglielo a Paolo che è lì che si lambicca e rischia di beccarsi l’ennesimo tre, povero Paolo. Glielo preparo perfetto, e ci metto pure un paio di errorini, giusto perché si capisca che non l’ha copiato da Simone il secchione.
Io invece non voglio correre rischi inutili di sufficienza e lo consegno praticamente in bianco.
______________________________________________________
Il testo partecipa all'EDS Rosso come il peccato by La donna Camèl.
- Melusina con Gloria mundi
- Dario con Lisa Borletti
- Dario con Turi Pappalardo
- Dario con Lucevan li occhi suoi più che la stella
- Gordon Comstock con Il peccato più grande
- Fulvia con Biancaneve
- Melusina con Red Velvet
- Angela con Pensiero stupendo
- Angela con un altro Pensiero stupendo rosso jungla
- Gabriele con Cave cave deus videt
2 gennaio 2014
Esse o non Esse – Spropositi semestri seguenti
Sto sempre stilando solita sequela su scopi seguibili, scherzosamente spendendo solo S.
Sostanzialmente sono sei: Salute, Scrittura, Sesso, Soldi, Sapere, Socialità.
Salute
Stare sempre sufficientemente sano, sfruttando svariati sport, soprattutto salendo scendendo scorrazzando sbrigandomi. Sopravanzare sessanta scarse settimane sussistendo.
Scrittura
Scrivere suppergiù settantasette storie super, sgobbando scrupolosamente senza sciocche scuse.
Sesso
Sviluppare situazione scorsi semestri stimando superare sensazioni straordinarie scordate. Semmai scopare solita star sicula senomunita.
Soldi
Salvaguardare soldi stipendio senza sperperare sostanze scriteriatamente. Smorzare spese secondarie. Scommettere su squadre sicure. Saggiare sestina superenalotto.
Sapere
Scegliere sapientemente se studiare saggi soltanto, stupide strip, saghe scritte, stratosferici successi stampati.
Socialità
Sbirciare sceneggiature spettacolari, secondare soggetti simpaticamente solidali. Serbare spazi simil sbornie. Schivare stronzi sedicenti sodali.
Stop
Salute
Stare sempre sufficientemente sano, sfruttando svariati sport, soprattutto salendo scendendo scorrazzando sbrigandomi. Sopravanzare sessanta scarse settimane sussistendo.
Scrittura
Scrivere suppergiù settantasette storie super, sgobbando scrupolosamente senza sciocche scuse.
Sesso
Sviluppare situazione scorsi semestri stimando superare sensazioni straordinarie scordate. Semmai scopare solita star sicula senomunita.
Soldi
Salvaguardare soldi stipendio senza sperperare sostanze scriteriatamente. Smorzare spese secondarie. Scommettere su squadre sicure. Saggiare sestina superenalotto.
Sapere
Scegliere sapientemente se studiare saggi soltanto, stupide strip, saghe scritte, stratosferici successi stampati.
Socialità
Sbirciare sceneggiature spettacolari, secondare soggetti simpaticamente solidali. Serbare spazi simil sbornie. Schivare stronzi sedicenti sodali.
Stop
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