29 settembre 2015

Quella volta a Modena con Nosei

Ecco un mestiere che mi sarebbe piaciuto fare: il ghostwriter di Stefano Nosei, qualora il fenomeno delle canzonette col testo rifatto avesse continuato a funzionare come allora.
Nosei nel 1993 si era appena ricordato delle Lasagne Verdi quando quelli di Comix ci invitarono per un pranzo con il nostro. Dopo mangiato, Nosei con la chitarra ci bloccò la digestione deliziò intonando i "nostri" pezzi unplugged.
È una pagina abbastanza vergognosa della mia esistenza, concordo anticipatamente con voi, ma è con vero sprezzo del pericolo che la voglio condividere.
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Sull'aria di "E ti ricordo ancora" - Fabio Concato
                E TIRI AI TORDI ANCORA

E tiri ai tordi ancora
ai merli in gabbia di mio fratello
ed alla tortóra
la quaglia stanca
costretta a farsi un po' da parte
quando mirasti alla pernice bianca.
..................................
E tiri ai tordi ancora
dimmi "è cambiata la tua mira da allora"
chissà se spari ancora agli animali
o se ti commuovi davanti a un "cip"

E tiri ai tordi ancora
nei pomeriggi di primavera dentro al bosco
tu che sparavi a un'aquila reale
vammela a pigliare che si fa arrosto

E tiri ai tordi ancora
quando scoprirono che cacciavi un po' di frodo
e mi ricordo che ti tremavano le mani
ma la guardia la forasti a colabrodo

E tiri ai tordi ancora
dimmi "è cambiata la tua mira da allora"
chissà se spari ancora agli animali
o se ti commuovi davanti a un "cip"
o se ti commuovi davanti a un "cip"
o se ti commuovi davanti a un "cip"

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Sull'aria di "Non amarmi" - Aleandro Baldi / Francesca Alotta
     NON HA MARMI

Dimmi perché piangi
non ce la fo più
e perché non mangi
volerò lassù
dimmi perché stringi la pistola forte
contro la tua tempia forse vuoi la morte?

Forse mi conviene
questo non lo so
bucarmi il testone
dubbi non ne ho
anche se la tomba non potrà agghindarmi
il marmista pare abbia finito i marmi

Non ha marmi per il busto e nemmeno per il resto
non ha marmi e la scultura me la fa forse col gesso
non ha marmi e se mi sparo cosa resterà di me
una croce con su scritto "va' che sculo, marmi non ce n'è!"

Non ha marmi son finiti è vero
Non ha marmi per il mio epitaffio il marmista al cimitero
ma puo' sempre rimediare se chiama Carrara
è sbagliando che s'impara

Non ha marmi ne ha ordinati pochi
senza tener conto che chi muore non preavvisa
Non ha marmi e mi fa paura non potere
avere una degna sepoltura

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Fu quel giorno che conobbi ella: la Darinka, ma quant'è brava!


23 settembre 2015

Le parole che ti ho detto (2)


Statistica aggiornata, riferita agli ultimi quattro anni, delle espressioni più frequentemente rivolte a figlio 2:

  • France sei pronto?
  • Cosa avete fatto oggi?
  • I calziniii!
  • Spegni quell'affare!
  • Buongiorno eh?!?
  • Il pigiamaaa!
  • Questo sarebbe "lavarsi i denti"?
  • Attento c'è le macchine.
  • Queste scarpe qui?
  • Abbassaaa!

Qui la versione precedente, sembra quasi che ci siano stati dei progressi. Sembra.

21 settembre 2015

Stavo giusto per comprare una Golf



Il crollo di un mito val bene qualche sfottò (e il cambio dello slogan).
Direttamente da twitter: film a tema Volkswagen sul canale #CineVW

Emissioni impossibili
@AlbanoColmo

L'ultima Lupo
@ZenZenit369

E alla fine arriva Polo
@mikydefra

Il maggiolino del capitano Corelli
@Riccardo_enki

La 25a Bora
@cabri71

Catalizzazione da Tiffany
@Zu_Janu

L'uomo senza Passat
@vancinimaria

Ha tutto gas
@myrtlejuice

20 settembre 2015

Pizze a domicilio

Maddalena non riusciva a digerire il fatto che questo tipo, questo amico di Claudio e Meri, questo Walter, con cui sarebbe uscita sabato, portasse davvero le pizze a domicilio.
Con Meri si vedevano dai tempi della scuola d’arte e da allora avevano fatto coppia fissa negli intervalli temporali che avevano attraversato senza un ragazzo. Maddalena conosceva tutto di Meri. Sapeva da quale dito dei piedi iniziava a smaltarsi le unghie – l’alluce del piede destro – sapeva in che posizione amava dormire – semifetale rivolta a destra – sapeva come impugnava la penna – con il medio esageratamente ingobbito – e che scriveva solo e soltanto di blu. Maddalena sapeva anche il nome del cachet che aveva più efficacia sull’amica, anche se erano trascorsi anni dall’ultima volta che gliene aveva visto prendere uno. Sapeva che cosa pensava delle ragazze tutte casa e chiesa, ma soprattutto, sapeva cosa pensava dei maschi grassi e di quelli smilzi, dei capelloni e dei rapati a zero, degli intellettualoidi e dei simpaticoni: poteva pescare tra mille ragazzi e, in un battibaleno, capire quello che avrebbe scelto Meri. Sapeva per certo che, anche lei per Meri, era una sorta di libro aperto e perciò, adesso, si chiedeva inorridita perché Meri, in combutta con il suo fidanzato Claudio, le volesse in qualche modo propinare questo Walter portatore di pizze a domicilio e di Dio sa cos’altro.
Si erano viste quella mattina verso le undici, nell’intervallo caffè. Lavoravano entrambe in centro, Meri si era sistemata come commessa in un negozio di abbigliamento e Maddalena si era infiltrata in uno studio legale archiviando – peraltro con una certa grazia – quelle tre o quattro pratiche al giorno.
“È uno ganzo” le aveva detto Meri intendendo Walter. “Intendo Walter” proseguì, sgranando gli occhi verso Maddalena.
“E’ un amico di Claudio, si sono conosciuti in palestra. Ha anche un bel fisico!”
Già qui, la buona vecchia Maddalena, ebbe il primo sussulto. Quando mai, in tutta la sua benedetta vita – si chiese –  si era perduta nell’ammirazione vacua di un bicipite o di qualche tavoletta scolpita di addominali? Quando mai si era profusa in apprezzamenti al maschio virile e zeppo di muscoli, piuttosto che alla sua testa, al suo comportamento o al suo charme?
Come poteva, adesso Meri, candida candida, tratteggiarle questo bel fisico palestrato senza il rischio di essere mandata a quel paese? Beh, l’aveva appena fatto!
“E cosa fa?” chiese sospirando Maddalena a Meri, quando questa tornò dalla cassa del bar con lo scontrino. E Maddalena doveva avere una faccia schifata o parecchio dubbiosa, tant’è che Meri si sentì in dovere di fornire delle spiegazioni di dettaglio.
“Cosa fa? Non mi ricordo… due caffè, grazie… va in palestra, no? E poi studia architettura o roba simile. Un cervellone, davvero! Claudio dice che è uno in gamba. Anche con la testa, è a posto. Per chi mi hai preso? Non ti farei certo conoscere uno sfigato da quattro soldi”.
Si bevvero il caffè, dopo che Maddalena aveva versato lo zucchero in tutte e due le tazzine, per Meri il solito cucchiaino e un po’.
Meri proseguì: “E’ uno che si fa il mazzo all’università e poi lavora pure, sai… per pagarsi gli studi. Porta le pizze a domicilio, mi pare”.
Tutto qua. Si erano lasciate all’angolo. Non c’erano state altre succose anticipazioni, né per telefono né a voce. Solo un gran rimuginare, da parte di Maddalena.
Porta le pizze a domicilio, mi pare. Cavolo, non erano passati dieci minuti, che già tutte le sue aspettative si erano aggrumate intorno a quel mi pare. Magari Meri sbagliava. Non che fosse così affidabile nel ricordarsi quello che faceva la gente, anzi, c’era portata com’era portata al cricket.
E non era certo per un problema di memoria. Quello che faceva la gente non le interessava e lei ascoltava con superficialità, se ascoltava. D’accordo che potevi vederla dondolare rassicurante la testa in su e in giù, ma era squisita apparenza: non si rammentava poi di un fico secco. Ci fosse stata a scuola una materia tipo la Quellochefalagentologia, scontato che Meri avrebbe dovuto pagarsi le sue belle ripetizioni per essere promossa a giugno.
Non che Meri potesse confondere uno che porta le pizze a domicilio con quello che si presenta a casa tua munito dell’attrezzatura per sterilizzarti il soggiorno, o con quello che gira con le valigie stipate di pentole e tegami e ti viene a lessare le verdure senz’acqua, questo no – del resto Maddalena non si sarebbe volentieri contaminata neppure con questi figuri – semplicemente, poteva aver fatto confusione con un altro amico del quale Claudio le aveva magari parlato, Dio sa in quale altro momento, ma che non avesse nulla da spartire con Walter: il predestinato del prossimo sabato. D’altra parte, le palestre sono piene di laureandi in architettura che tra una serie alla panca e un giro sulla cyclette, si svagano portando migliaia di pizze di qua e di là.
O forse Walter aveva solo portato delle pizze a domicilio. In passato, e magari solo qualcuna! Questo, era logico, prima di accorgersi dell’errore e ripiegare su un lavoro meno… meno… non sapeva neppure lei esattamente meno che cosa. Di certo c’era un dannato aggettivo, nascosto in una dannata pagina di un dannatissimo dizionario, che potevi abbinare a quel meno. Un aggettivo che rendesse l’idea di quanto non le piacesse dover uscire, scambiare delle smancerie, sfoderare finti sorrisi, stringere mani o baciare guance, buttare là dei come ti va la vita? o dei l’hai sentito l’ultimo dei Green Day?, con un tizio che, nel tempo libero, amava andarsene in giro, con un motorino color evidenziatore e con una casacca in tinta, a scarrozzare delle capricciose per la città.
Per dirla tutta non avrebbe digerito di farsi vedere in giro con nessuno che portasse della roba a domicilio, fosse pure il tesoro della corona.
Seppure inizialmente non ci sperasse molto, che Meri avesse preso un granchio e tutto il resto, Maddalena andò via via convincendosi che Walter potesse aver portato qualche pizza a domicilio in un’altra era geologica. D’altra parte, anche stando così le cose, non era una prospettiva entusiasmante passare la serata del sabato in compagnia di uno che aveva portato pizze a domicilio. Anche se era preferibile – seppure di qualche micron – al deprimente sabato sera davanti alla tivù a sorbirsi le mielose performance di mal assortite coppiettine danzanti.
Sabato passarono a prendere Maddalena per ultima e, tutti in macchina di Claudio, attraversarono la città per andare al McNamara Irish Pub: un vero pub, gestito da un vero irlandese, nella vera periferia nord.
“E’ un ambiente carino. Sembra uno di quei pub di Dublino che si vedono nei film. C’è quasi sempre musica dal vivo e servono una birra speciale!” disse Walter, che aveva proposto il locale.
“Ottimo” disse Maddalena, che amava la birra quanto accarezzare una mezza dozzina di gatti rognosi.
Durante il tragitto l’atmosfera non si sciolse. Per lo più, gli altri tre ascoltarono Claudio che, essendo allergico ai silenzi più lunghi di qualche secondo, riusciva a disquisire su tutto. Principalmente parlò – prendendo spunto da un tipo che gli aveva mezzo tagliato la strada – a proposito di quei cretini che, siccome hanno messo la freccia, si sentono in diritto di farti di tutto: tipo cambiare corsia due metri davanti a te, tipo zigzagare per dei chilometri, tipo spiaccicarti su un paracarro in autostrada. “Capaci che, siccome hanno messo la freccia, si sentano in diritto anche di trombarti la nonna!”.
Il locale, bisogna dirlo, era carino, con luci soffuse sull’arancione e un bell’arredamento in legno massello. Un complesso di cinque giovanotti in jeans e maglietta bianca che ricordavano, piuttosto che una band di Dublino, il primo Miguel Bosé - quello di Super Superman per intenderci - si impegnava nel riproporre una filza di balordi e datati successi: un misto di rock a basso lignaggio e disco music. Dal nome, scolorito nella prima lettera, sulla grancassa, potevano forse essere i Tired Crew, o forse i Wired Crew, o magari i Fired Crew o comunque: i qualche-altra-cosa Crew. Se non dovevi proprio fare un talk-show e non pretendevi di comprendere ogni spiccicata parola dei tuoi compagni di bevuta, beh… era un posto ideale.
Claudio dava le spalle alla band, almeno in origine, ma se ne stava, praticamente fisso, a guardarli suonare avvitato sulla sua sedia.
“Forti, eh?” ripeteva ad intervalli regolari, praticamente ad ogni pezzo. Non di rado, li accompagnava persino con la sua immaginaria batteria.
“Ti piace la musica anni settanta?” chiese Walter a Maddalena, cercando di allentare la tensione dell’appuntamento al buio.
“Come?” disse lei. “Non sento, con questi che fanno casino…”.
“Ah, niente niente…” disse Walter, accompagnando il commento con un gesto della mano dall’alto verso il basso che voleva significare non è importante, ma che Maddalena interpretò come lascia fare, non puoi capire.
In effetti, se vi capita di portare delle pizze a domicilio, se l’avete fatto in passato o se qualcuno pensa che l’abbiate fatto e, dentro un pub dove fanno musica dal vivo a un milione di decibel, dovete dare una spiegazione ad una ragazza che odia la birra, forse è meglio che evitiate di accompagnare le vostre parole con un qualsiasi gesto della mano. Aggrappatevi al vostro boccale di birra, cacciatevi entrambe le vostre fottute mani in tasca o, al limite – non devo dirvi tutto io – accompagnate i quel-che-sono Crew con una bella batteria immaginaria; ma non fate gesti che si possano equivocare, per carità!
“Come, niente niente? Che dicevi?” chiese Maddalena, tra il seccato e il morboso.
“Nulla. Ti chiedevo soltanto se ti piace la musica anni settanta?” disse Walter, facendo un altro gesto con la mano ad indicare lì attorno. Era un professionista del gesticolare, a quanto pareva.
“Sarebbe questa?” chiese Maddalena, urlando di proposito per manifestare una certa disapprovazione.
Claudio era sempre voltato verso il piccolo palco e ondulava ritmicamente la testa accompagnando in quel momento gli emuli dei Santa Esmeralda che pregavano la loro Baby di non lasciare – per favore – che li fraintendesse.
Walter si limitò ad assentire, inarcando le sopracciglia: probabilmente era quella la musica anni settanta.
E Maddalena avrebbe anche potuto dire che le piaceva e che nella sua cameretta si erano succeduti i poster dei Boney M., quello di Donna Summer e quello di Patrick Hernandez – anche se non era vero vero, aveva solo comprato alcuni dei loro quarantacinque giri – ma prima c’era da chiarire la faccenda delle pizze a domicilio.
“Non ci perdo la testa” disse Maddalena, atteggiandosi un po’. Si riferiva alla musica anni settanta. O a quello che era.
Meri fingeva indifferenza e pareva immersa nell’ascolto dell’esibizione dei quel-che-cavolo-fossero  Crew, ma in realtà non mollava una sillaba del dialogo Maddalena - Walter.
Non ci perdo la testa, era un intercalare abbastanza tipico per Maddalena. Era un suo limite, poverina: non riusciva a smozzicare lì un sì o un no secco. Si sentiva sminuita e temeva di non risultare abbastanza interessante rispondendo solo sì o solo no. Allora aveva elaborato tutta una serie di perifrasi, allo scopo di impreziosire l’eloquio e, di seguito, la sua peraltro già amabile personcina. Non è il tipo di donna che si sposerà presto, la nostra Maddalena, ma se dovesse arrivare al cospetto del prete per rispondere alla fatidica domanda “Vuoi tu Maddalena come-ti-chiami prendere il qui presente cristo come-si-chiama come tuo sposo?” la potreste tranquillamente sentire rispondere “puoi scommetterci!” oppure “non ho alcuna intenzione di oppormi!”
Ordinarono birra, a parte Maddalena che, dopo avere vivisezionato il menu, saltando da una focaccia alle verdure ad una coppa con gelato di frutta, da uno spumante dolce ad un crostone al prosciutto, si fece portare un vero Irish coffee.
“E’ sempre così pieno qui?” chiese Meri a Walter, che passava per il conoscitore del locale.
“Beh, sì. Almeno… le altre due volte che ci sono stato era così. Una sera abbiamo persino bevuto al bancone, non c’è stato verso di sedersi!”  disse Walter, stringendo le sue dita a grappolo verso l’alto per mostrare quanta gente e quanto stretta ci fosse stata in quell’occasione.
“Ecco, io se rinasco, giuro, metto su un localino come questo” fece Claudio senza girarsi del tutto, ma solo di qualche grado e solo per l’attimo necessario ad una pescata dal coccio delle patate fritte. “Conosci un sacco di gente, lavori dalle nove di sera in poi, e fai un sacco di soldi. Altro che studiare fino a trent’anni!”. A dirla tutta, non c’era cosa che Claudio non trovasse gradevole e conveniente fare, ovviamente, se fosse rinato. Aveva fatto epoca quella volta che si era accalorato a sostegno del fatto che avrebbe preferito spalare carbone in una miniera, piuttosto che subire una coercizione allo studio per arrivare, a dispetto dei santi, a quel benedetto pezzo di carta – qui si esibiva in una voce cavernosa che avrebbe dovuto evocare, secondo l’intento di Claudio, suo padre – studio che sarebbe servito, al massimo, a renderti capace di usare vocaboli come coercizione. Questo secondo lui, e se proprio ti andava di lusso.
Finalmente la chiacchierata si stava incanalando sui binari di quello la gente fa o vorrebbe fare. Maddalena si preparò a colpire, mentre il livello d’attenzione di Meri sprofondò praticamente in un pozzo artesiano.
Maddalena fece scorrere un altro po’ di parole cercando di commentare sagacemente ogni argomento per dimostrare l’ampiezza sconsiderata dei suoi interessi, in primo luogo, per prepararsi il terreno e poi per non dare nell’occhio.
“Ho saputo da Meri che sei una specie di pony-express della pizza” disse Maddalena nemmeno guardando Walter, anzi riservando la sua attenzione massima ai quel-che-erano Crew e alla loro performance, anche se – era ormai chiaro a tutti – non ci stava perdendo la testa per loro.
Parlò proprio di pony-express, nel tentativo di risollevare la professione ai suoi stessi occhi e finse disinteresse, prima alla sua stessa domanda e poi alla risposta.
Walter stava bevendo la sua rossa doppio malto, ebbe appena il tempo di sconcertarsi che Claudio, parve risvegliarsi e, senza dare peso alla cosa, precisò: “Macché, quello è Nicola, è un altro che viene in palestra…”.
“Ah, no no” si schermì Walter, appena posò il bicchiere, gesticolò anche con le mani per dire magari, ma Maddalena non seppe distinguere nel gesto niente di diverso da un ci mancherebbe!
“Magari!” disse Walter, “lo studio non mi lascia proprio il tempo”.
“Ringrazia il cielo, no?” disse Maddalena.
Walter si strinse nelle spalle e si guardò in giro alla ricerca dell’ispirazione: “Ti dirò… non mi dispiacerebbe essere un po’ più indipendente. A ventisette anni, dover chiedere ancora i soldi ai miei non è una bella cosa…”.
“Eh, dillo a me!” fece Meri in un rigurgito di attenzione. Con l’unghia, intanto, stava impegnandosi per tirare via l’etichetta dalla sua bottiglia di birra: “Non avevo nemmeno vent’anni quando sono entrata in quel buco, ma per lo meno ho sempre fatto come volevo, senza andare a pigolare dei soldi in giro”.
Per un attimo le loro vite parvero dipendere dalla buona riuscita del lavoretto di Meri. Tutti la fissarono mentre teneva l’etichetta con una mano e, con l’altra, roteava lentamente la bottiglia, reggendola per il collo e separandola per sempre dall’esplicazione del suo contenuto.
“Ad ogni modo, io avevo capito che tu portassi queste pizze, scusa” disse Meri, stendendo l’etichetta sul piano del tavolo e spiaccicandola con dei colpetti delle dita per spingere via l’aria da sotto.
“Scusa che? Nulla!” fece Walter.
“Perché, ti piacerebbe come lavoro?” buttò là Maddalena.
“Perché no? Tutto il giorno all’aria aperta, pochi problemi e responsabilità zero. Una pacchia! Vero Claudio? Claudio?”
“Sì. Ah, sì sì. Beh, penso di sì, almeno… Nicola dice di trovarsi bene, a parte che deve usare la mascherina per lo smog”.
“Tanto non serve a nulla” disse Meri. “Se davvero volessi una maschera anti-smog funzionante, dovresti usare quelle in dotazione all’esercito. L’ho letto su una rivista”.
Conosci una donna che legge una rivista e avrai una donna con mille certezze. E se c’è una sola schifosissima cosa che aiuta nella vita è: avere delle certezze! Anche quando sono sbagliate.
“Meglio che nulla sarà, no?” bofonchiò Claudio.
“No, se non funziona, è meglio nulla!” disse Meri, prima tirando su e poi stendendo di nuovo l’etichetta sul tavolo, in progressione, da una parte all’altra, per evitare che si formassero quelle fastidiose bollicine d’aria. Era necessario che l’etichetta aderisse perfettamente al tavolo, e non chiedete perché.
Maddalena piegò leggermente la testa verso destra, si mise di tre quarti rispetto al tavolo ed accavallò le gambe; aveva tutta l’intenzione di caricare al massimo la domanda successiva: “Ma davvero ti metteresti quella casacca giallo fosforescente per consegnare le pizze in giro, come fanno questi pivellini di sedici anni per pagarsi la vacanza a Rimini?”
Cercava di mantenersi il più possibile tedesca, ma temeva che dalla sua voce trasparisse il tono acido con il quale avrebbe voluto accompagnare quelle parole.
“Ma sì! Voglio dire, se pagano bene, che male c’è? Chissà quante pizze potrei scroccare e quante mance tirerei su. Io gli lascio sempre quelle due o tre euro quando mi faccio portare le pizze a casa” disse Walter.
“Ma… davvero?” chiese Maddalena, e non si riferiva alle mance. In quell’attimo era il boia che decideva di dare una possibilità al condannato a morte: praticamente gli stava chiedendo se voleva che lei gli abbattesse la scure tra capo e collo e gli staccasse via di netto quella stupida testa. Se lo voleva davvero.
Claudio smise per qualche secondo di sgranocchiare e di canterellare, Meri si mise a fissare la testa pelosa e zannuta di un cinghiale che usciva dalla parete di fronte – una roba decisamente fuori luogo e, di sicuro, mai appartenuta a nessuna rockstar – i fratelli poveri di Miguel Bosé, dal palco, sprofondarono di botto in un universo parallelo e, al tavolo dei nostri, nessuno poteva più sentirli. Walter realizzò di essere l’epicentro di quell’inverosimile buco di silenzio e sapeva che tutto sarebbe rimasto così – ovattato e lento, in un quasi fermo immagine – finché non si fosse deciso a dire la sua.
“Cristoddio, no!” disse, ridando il via al mondo. “Non penso che lo farei veramente! Troppo stress, sempre per strada, sempre a corsa, poi lo smog, la mascherina... no, scherzavo. Dicevo così… tanto per dire…”.
“Che mi frega, io lo farei!” disse Claudio e riprese a canticchiare, assieme ai quel-che-cazzo-fossero Crew, di come la fottutissima televisione avesse ucciso tutte quante le stelle della radio.
Beh, che Claudio lo facesse. Non gliene fregava di meno, a Maddalena. E, sembrava, poco anche a Meri. Quello che contava era che Walter non portasse proprio un bel niente a nessun domicilio creato e, tantomeno, si era azzardato a farlo in passato. In più, c’erano ottime possibilità che non lo avrebbe voluto fare in futuro.
“Ne chiediamo delle altre?” disse Meri, spostando lo sguardo dal muso del cinghiale al desolante vuoto nel cestino delle patatine.
“Uhm, sì” e questo era Claudio.
Walter, che - a questo punto era palese - non portava pizze a domicilio, chiese a Maddalena cosa facesse lei nella vita.
“Oh… io lavoro in uno studio” disse lei.
Walter, che non aveva mai portato pizze a domicilio in passato, chiese a Maddalena di cosa di preciso si occupasse nello studio.
“Gestione di pratiche legali e quant’altro” disse lei.
Walter, che molto probabilmente non avrebbe mai in futuro portato pizze a domicilio, le chiese se le piacesse gestire quelle pratiche e tutto il resto.
“Non ci perdo la testa” disse lei.
Sì, Walter, ora che Maddalena lo valutava con più serenità, sembrava carino: aveva una voce da speaker della radio, aveva capelli puliti ed era rasato di fresco. Indossava una magnifica camicia bianca stirata alla perfezione e aveva delle mani assai curate per essere un uomo. Con quelle mani poteva certo permettersi di gesticolare, anzi avrebbe senz’altro dovuto imparare il linguaggio dei sordomuti e magari comunicare solo con quello, viste le mani!
Certo però c’era ancora qualcosa che Maddalena non riusciva a mandare giù, c’era ancora un tarlo che la rosicchiava dentro.
E credette di capire cos’era quando si convinse che Walter le aveva detto ciò che lei avrebbe voluto sentire e, quand’anche non fosse andata proprio così – siamo onesti – il ragazzo ci aveva scherzato su con tanta, troppa, leggerezza.
Forse si sbagliava, forse non era questo che la rodeva. Forse la disturbava soltanto il fatto che Walter, ipotizzando di cacciarsi in uno di quei giubbotti fosforescenti per la domiciliazione delle pizze, potesse permettersi di dire delle cose, così… tanto per dire. E, per di più, di sabato sera!
I quel-che-gli-pareva Crew attaccarono Black Betty e Claudio si girò verso gli altri:
“Chi la cantava… chi la cantava questa?”

17 settembre 2015

Left & right

La prima regola delle cuffiette recita:
Se tutte le persone osservassero le leggi del quieto vivere e della buona educazione con la stessa pedissequa ostinazione con la quale rispettano il destro e sinistro negli auricolari vivremmo in un mondo ideale.

È veramente ammirevole l'impegno che mettiamo alla ricerca di quella piccola L o R per introdurla nella cavità auricolare deputata. Come se invertendole di orecchio la musica che ci veicolano potesse perforarci i timpani o mandarci in pappa il cervello o, a furia di ascolti rovesci, metterci in contatto chissà mai con Belzebù.

Tira via in teatro o al cine, lì capisco che il suono possa e debba ricondursi anche razionalmente allo spazio e alla direzione in cui si promana.
Ma a me, singolo individuo posizionato casualmente nel mondo, che differenza mi farà mai se l'elicottero dei Pink Floyd mi arriva da destra piuttosto che da sinistra?
Eppure anch'io la cerco l'indicazione del left o del right, tante volte mi fermasse un ispettore mentre corro lungo il borro.

15 settembre 2015

Le mie ambizioni musicali negli anni

(L'uomo in ammollo Franco Cerri)
Ho già e più volte fatto ammenda riguardo alla mia scarsa cultura musicale che in parte deriva anche dalla mia predisposizione deficitaria e dal fatto di non aver avuto un mentore nel campo specifico, né in famiglia né fuori. Non per questo non ho cullato sogni nell'ambito delle sette note.
Più o meno, in un approssimato ordine cronologico, son questi:
  • Essere Gianni Morandi
  • Sposare Wilma Goich
  • Scrivere una canzone copiando gli uccelli disposti sui fili elettrici
  • Trovare la melodia di Mister Mandarino al pianoforte
  • Sfondare con il mio pezzo "Mabel"
  • Essere Robert Plant giovane
  • Avere l'orecchio assoluto
  • Suonare Sono solo canzonette come Bennato
  • Sposare Donatella Rettore
  • Riconoscere la marcia trionfale dell'Aida da cinque note
  • Incidere io una strofa del Vitello dai piedi di balsa con Elio
  • Imparare ad accordare la chitarra con il metodo Franco Cerri
  • Essere un pinkfloyd, uno di quelli vivi
  • Sposare Dolores O'Riordan
  • Scrivere dei testi tipo Pasquale Panella
  • Andare a Sarabanda
  • Sposare Enzo Jannacci
  • Capire i Nirvana
  • Resuscitare Rino Gaetano
  • Essere Robert Plant vecchio
  • Sposare Adele
  • Cantare Stairway to Heaven come questa crista qui.

Consuntivo sogni realizzati: 0 (zero).

12 settembre 2015

Williams stai Serena

(Vinci un asciugamano)
Quando all'inizio del terzo set Serenona ha esultato per un diritto in rete di Robertina ho pensato che il dio del tennis (non so se esiste) avrebbe potuto punirla.
Poco dopo, la numero uno del mondo ha ri-esultato per una smorzata in corridoio della nostra e ho pensato che il dio del tennis (probabilmente esiste) avrebbe dovuto punirla.
Infine, a seguito di un servizio vincente, non un ace tra l'altro, l'americana sbroccava proprio esultando in maniera esagerata e dozzinale manco avesse vinto il grandeslam dei grandislam slammosi, e Robertina povera che non sapeva più che faccia fare. Lì ho pensato che il dio del tennis (esiste matematico) sarebbe intervenuto sicuramente, magari procurando un mezzo stiramento in uno dei due prosciuttoni williamseschi.
E invece non è servito nemmeno il dio (c'è) del tennis perché l'immensa Vinci, voglio sperare incazzata come una scimmia per gli inspiegabili atteggiamenti antisportivi di Serenona, ha fatto tutto da sé.
Eccola, nella foto, sotto l'asciugamano prima di andare a servire per il match. Isolata dal pubblico e dal mondo, isolata da Serena e dal campo, alle prese con i soli suoi sogni di bambina così vicini da poterli toccare. Bellissima Miss Towel.
Ed è stata disarmante e genuina quando, oltre a scusarsi con Serena per lo slam interruptus e con il pubblico USA, ha spiegato la sua complicatissima tattica: butta la palla di là, tienila in campo e corri. La semplicità paga sempre, anche nel tennis.
Parole che spero siano giunte anche all'orecchio della nostra futura top player Camila Giorgi che dovrebbe avere il coraggio e l'umiltà di rivedere, anche se solo per frangenti particolari di partita, il suo credo del picchiala sempre.
La giornata era stata magistralmente inaugurata da una Flavia Pennetta implacabile e perfetta a completamento di questa giornata tennisticamente memorabile per i colori azzurri.
E restiamo connessi perché già da stasera ci sarà da celebrare una sola delle nostre due atlete pugliesi.
Colei che uscirà sconfitta da questa storica finale.

9 settembre 2015

La regola delle tette


Essa serve a stabilire se l’attacco che, nel tempo, la ghiandola mammaria subisce dalla forza di gravità la mantiene entro canoni eroticamente accettabili oppure no.
Si effettui una misurazione con la portatrice sana di tette all’impiedi: la distanza tra il mento (guardando avanti) e il capezzolo non deve superare di norma i 30 cm. Oltre i 30 anni, ogni 3 anni si aggiunge 1 cm, quindi, per esempio, a 42 anni il dislivello mento capezzolo è eroticamente valido fino a 34 cm.
Il limite non è fiscale, c’è una tolleranza in cm pari alla misura di reggiseno. (4a = 4cm).
È meglio se vi limitate a una misurazione occhiometrica, non fatevi beccare col metro in mano.

Che poi, alla fine, vige sempre la regola delle regole:
Le tette più belle sono quelle che puoi toccare.




7 settembre 2015

I fagiolini non sono come lo scotch

Né come il rotolo di carta da cucina o carta igienica, per dire.
Avete presente come son fatte tutte le robe arrotolate, no?
Ne hai consumate metà come spessore ma in realtà sei ben oltre a causa degli avvolgimenti esterni che son più lunghi.
Anche il serbatoio della macchina fa uguale, una vita per arrivare a mezzo e poi va giù d'un botto, ma lì non me lo spiego se non con un gombloddo delle case automobilistiche.
Insomma se state a pulire i fagiolini, via la testa via la coda, e l'attività si delinea parecchio barbosa, quando avrete dimezzato il monte non è il caso di rilassarsi pensando al rotolo di scotch (o al serbatoio della benza) perché la seconda metà dei fagiolini da nettare è una metà effettiva e ancora non siete a nulla.
È un paio d'anni che pulisco fagiolini a profusione, sai com'è... se li hai assaggiati cucinati in quella che si dice sia la maniera di Fabio Picchi (nella foto), diventano incredibilmente un alimento PCD.

Comprate i fagiolini, tanti quanti ve ne stanno nel vostro tegame di riferimento e che vi consentano di rimestare agevolmente.
Tritate una cipolla, fina quanto preferite, non tanto fina a gusto mio.
Aggiungete mezzo bicchiere scarso di olio.
Un paio di spruzzate di origano.
Una decina di foglie di basilico (o menta) sminuzzate.
Sale quanto basta e peperoncino se vi aggrada.
Un paio di etti di polpa di pomodoro.
Mescolate il tutto a freddo nel tegame e poi cuocete a fuoco lento per una quarantina di minuti o quel che serve.
Io li cuocio coperti e se si asciugano troppo in cottura intervengo con dell'acqua calda.
Servire tiepidi.
O caldi.
O freddi.
Servire, insomma.

4 settembre 2015

Biumor 2015 - Il Belgio gioca il jolly

(ELECTION DEI - FurFra)


Che a Tolentino siano esterofili è cosa nota e se la classifica finale non è zeppa di iraniani, siriani congolesi o, al limite, belgi non son contenti. Alla prossima ci presenteremo come Ombrignozzovic e allora faranno i conti con noi.

(pronti, via)


Dunque si parte, venerdì scorso, grattando via mezza giornata di ferie visto che son tre ore di macchina e alle 17:30 'gnerebbe star là.
(pompista bionda in val di Chienti)
Chiacchierando il tempo passa che è un piacere e la lancetta che segna il livello di benza va giù in picchiata e quando ci se n'accorge siamo in val di Chienti, una sorta di landa seconda solo al deserto dello Utah, quanto a carenza di distrubutori. Già ci vedevamo a spingere sulla Foligno-Macerata quando è sbucato dal nulla un Eni con una sposa bionda a metter giù l'ambrosia nel serbatoio.
Bon, siamo in albergo, e qui c'è da decidere la mise della serata che comincia presto e finisce tardi e non c'è modo di cambiarsi a metà.




C'è da scegliere tra l'outfit artista gay californiano e quello artista gay nostrano, di etero non se ne parla nemmeno.
Optiamo per il classico jeans + maglia bianca che fa tanto dolcegabbanico.
Si scopre subito, al Castello della Rancia, che come i nostri stilisti di riferimento, siamo indistinguibili seppure molto diversi. A me mi chiamano Francesco e a lui gli tocca il Furio.
Ci si ciuccia la pippa inaugurale, ma solo metà. In quello stralcio, tra il sindaco e il direttore viene pronunciata 12 volte la parola internazionalità, o similia.
Poi tutti nel forno mansardato, ma non ventilato, a tagliare il nastro della mostra.
Ci si tuffa sulla nostra opera e... sorpresa: l'installazione non è composta  c'è solo l'urna in vista.
Le reazioni vanno dall'ottimismo sfrenato di France:
"Cavolo, ce l'hanno censurata. Hanno avuto paura a esporre la scheda".
E già che iniziava a guardarsi attorno pronto a buttarsi a terra, nella papabile eventualità che si presentasse un libico con un kalashnikov.
Al pessimismo mio (Naaa, so' realista!):
"Macché censura, se ne sono scordati 'sti coglioni!"
E infatti apro e sta tutto dentro l'urna. E dire che avevamo inviato sia uno schizzo della realizzazione composta che un testo che spiegava nel dettaglio cosa fare.
Ma niente, ci tocca mettersi lì - con tutto che ormai si grondava come ciuchi e la temperatura saliva ancora con tutti che persistevano respirando - a tirare fuori le schede e i lapissini, ci tocca andare ad accattare un po' di nastro adesivo per raggiungere un risultato appena appena sufficiente come esposizione.


(fotina triste con ombra)

Poi alla ricerca della stanza dei segreti dove avremmo consumato la fantomatica light dinner ventilata sull'invito.
Light sarai te, pensavamo rimpinzandoci senza sosta dei peggiori appetizers della storia salvo poi ritrovarsi a panza piena quando è arrivato il main course incarnato in un coscio di maialino arrosto.
È stato li che quello della giuria lungo con la barba, uno simpatico, ci ha detto che il nostro Rocco piacere era piaciuto, anzi c'era una mozione per appiccicarlo in terra proprio ai piedi della torre del castello ('zzo!) dove avrebbe accolto un po' tutti... ma poi niente qualcuno della giuria (che si è guardato bene dal palesarsi) l'ha dichiarato fuori tema (4!) e così niente, manco esposto, manco una foto sul catalogo, manco una citazione.
Resterà nei nostri cu...ori, per fortuna, perché Rocco è Rocco.
Oltretutto le patatine che facevano parte dell'opera (VERE) se le sono pure mangiate durante una seduta della giuria: quelle non erano fuori tema, eh?
Stendiamo un velo pietroso sulla premiazione, davvero parecchio triste, disertata in blocco da tutti i vincitori. Ma premiare solo chi viene? C'era soltanto Elvis Corrale Rodriguez da Cuba, vincitore della sezione caricature, seppure anche lui abbia dato una bella delusione al sindaco quando, in risposta al municipale "Ar iù eppi?" se n'è uscito con un "Ma io parlo italiano" smontando d'un colpo il castello d'internazionalità, che già aveva preso una bella botta nel 2011 quando la vincitrice russa Anastasia Kurakina si presentò parlando un romanesco che nemmeno Meo Patacca.

(guarda come ti riduce una notte con un uomo nel letto)
La serata si chiude con una bella performance teatrale diretta da Paolo Nanni e dedicata a Giorgio Gaber e al suo Signor G, e chiosata con fior di supercazzole dal filosofo Roberto Mordacci (da qui il detto Li Mordacci tua).
E comunque nel 2017, a meno che non abbiamo il demone socratico che ci dice no, noi ci si torna.











(siamo contenti di essere arrivati uno)




















Concludendo, il dovuto omaggio al vincitore Constantin Sunnerberg e al suo Rainy Day (ma coi duemila euri, un low cost te lo potevi pure pagare, Constantin!)



















Anche se a me piaceva quest'altra (la foto fa onco e c'è pure l'ombra di France, se la trovo meglio poi la cambio):
(Gaudium Magnum - Gianni Audisio)

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