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7 settembre 2015

I fagiolini non sono come lo scotch

Né come il rotolo di carta da cucina o carta igienica, per dire.
Avete presente come son fatte tutte le robe arrotolate, no?
Ne hai consumate metà come spessore ma in realtà sei ben oltre a causa degli avvolgimenti esterni che son più lunghi.
Anche il serbatoio della macchina fa uguale, una vita per arrivare a mezzo e poi va giù d'un botto, ma lì non me lo spiego se non con un gombloddo delle case automobilistiche.
Insomma se state a pulire i fagiolini, via la testa via la coda, e l'attività si delinea parecchio barbosa, quando avrete dimezzato il monte non è il caso di rilassarsi pensando al rotolo di scotch (o al serbatoio della benza) perché la seconda metà dei fagiolini da nettare è una metà effettiva e ancora non siete a nulla.
È un paio d'anni che pulisco fagiolini a profusione, sai com'è... se li hai assaggiati cucinati in quella che si dice sia la maniera di Fabio Picchi (nella foto), diventano incredibilmente un alimento PCD.

Comprate i fagiolini, tanti quanti ve ne stanno nel vostro tegame di riferimento e che vi consentano di rimestare agevolmente.
Tritate una cipolla, fina quanto preferite, non tanto fina a gusto mio.
Aggiungete mezzo bicchiere scarso di olio.
Un paio di spruzzate di origano.
Una decina di foglie di basilico (o menta) sminuzzate.
Sale quanto basta e peperoncino se vi aggrada.
Un paio di etti di polpa di pomodoro.
Mescolate il tutto a freddo nel tegame e poi cuocete a fuoco lento per una quarantina di minuti o quel che serve.
Io li cuocio coperti e se si asciugano troppo in cottura intervengo con dell'acqua calda.
Servire tiepidi.
O caldi.
O freddi.
Servire, insomma.

10 marzo 2015

Vivi e Vegeta

Chissà, magari un giorno mi faccio vegetariano pure io.
La voglia ci sarebbe, ma finora l'ho rintuzzata per bene nell'angolino.
Mi piace però la politica del cerco di mangiare meno carne, se non altro per un discorso di salute quando non anche animalistico.
È difficile, anche perché è stato un punto di arrivo per i miei genitori - poveri e contadini - poter servire della carne a tavola ai loro figli, in fondo è stata un'espressione del loro amore, e io non riesco proprio a demonizzarla 'sta cosa.
Non ce ne sono molti nel mio giro di conoscenze, sono più quelli che hanno mollato rispetto a quelli che resistono.
Invece Lore tiene botta, è il fratello grande della principessa Ila e, manco a dirlo, sta per venire a cena da me... con la sua nuova fiamma vegetarianissima!!!
Un primo veloce? Un secondo? Qualche originale sfiziosità?
Presto ch'è tardi.

p.s. devo ancora fare la spesa.
p.p.s. astenersi padellate e magiccùcher ;)

24 aprile 2013

Caffè alla Norma

Sì, ma un vi spaventate che unnè un caffè colle melanzane, è un’antra cosa. Guasi meglio.
C’era queste casette in fila, tirate su a avanzatempo dai babbi muratori e dai parenti volenterosi, erano buone sì per tornarci ma mica finite. In molte stanze un c’era mobili, lampadari per carità, e fuori mancava le cancellate, le reti a dividere, i giardini. L’ultima mano di tinta l’era da dare, chissà quando e se, e tutto aveva assunto quell’aria indecisa di provvisorietà definitiva, se vu intendete icchè voglio dire.
Dopo mangiato ci si trovava da questo o da quello, poco importava a casa di chi, era un girare e toccava a tutti, e poco importava chi c’era o non c’era. Chi unn’era a lavorare a quell’ora, di certo veniva.
Da casa dell’Itala, giù a quella dei Lumini e degli Orsini, poi i Nuti, i Ceccarelli e noi, quindi a seguire il Fallera, Trinchella e la Norma con il figlio, quello zibo e barbuto.
Bastava scavalcare un muretto o due, infilarsi in una siepe che ancora unn'era nemmanco un cespuglio, per transumare di proprietà in proprietà seguendo l’aroma del caffè di chi ospitava quel giorno.
E poi seduti attorno alla tavola, qualcuno in piedi se magari c’aveva da scappare per tornare a lavoro, ma tutti, da noi dodicenni ai sessantenni a pigliarsi un caffè di quelli boni.
Lo riconoscevi ad occhi chiusi se l’aveva fatto l’Itala, o la Tosca del Ceccarelli o la mi’ mamma. Tutti di moka s’andava, eppure ogni famiglia aveva un suo gusto unico, che un dipendeva mica dalla marca, era più figlio di un’atmosfera, di una cucina screziata di sole o di una terrazza in cotto dell’Impruneta, di un servito di tazze a fiori col labbro fine, piuttosto che di uno giallo anticato a bordo grosso.
Il sapore di quel caffè, le chiacchiere, le battute sempliciotte, sempre le stesse  e sempre gradite, i sorrisi, i complimenti alla tovaglia nuova, l’ultima barzelletta sconcia di Benito, il venticello geloso che s’infilava dalle portefinestre e il rumore lontanissimo delle preoccupazioni, comprimevano il succo stesso della vita in dieci intensi minuti.
«L’è passato».
«O indò l’è andato?»
Risate.
Il caffè che passa, la zuccheriera che fa il giro della tavola, la Giovanna con i suoi tre cucchiaini, l'Itala che lo piglia amaro e la Piera che vuole il primo perché è più leggero.
E poi c’era la Norma, il più bono era il suo. Un c’era dubbi. Il figliolo zibo lo versava nelle tazze e un parlava mai, mentre la Norma, per la centomilionesima volta, spiegava il suo trucchetto mostrandoci uno stuzzicadenti.
«Quando vu avete pigiato la polvere nel cosino, vu pigliate uno stecchino e vu fate dei buchini così» e faceva il gesto «di modo che quando passa l’acqua a bollore s’insapora di più e il caffè vien meglio».
E si sentiva schiccherare i cucchiaini, la televisione era spenta, e il telefono, dimenticato di là e fisso, a mille miglia da noi, nell’ombra fredda dell’andito.
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Il testo partecipa all'EDS ipogeusia da un'idea de La Donna Camèl come anche:
Sarde a baccaficu - Bastardi affucati - Dario
La prima volta che ho mangiato i piselli davvero - Singlemama
Lettera alla donna che ami sulla felicità e il ragù - cielo
Lu vinu - Lillina
Per un piatto di risi e bisi - Melusina
Mia nonna era google - Bianca
Antichi sapori - Pendolante
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