28 giugno 2013

Twittura mista (già rassegna stramba)



Nel caso vi chiediate dove butto le mie energie...

Miccoli: sono cresciuto con dei valori.
Fabrizio, parole che non dovresti usare: cresciuto e valori.

Sento la primavera. Poi vi fo sapere.

Quanto tempo perso a cercare il CHIUDI nei popup.

Mia moglie e l'auto, lasciamo stare. Lei pensava che Vita di Pi fosse la storia di un indiano che deve prendere la patente.

Tutte 'ste femén... ma ce ne fosse una con la quarta!

EnricoLetta: Se l'Europa si ferma è perduta.
La deriva dei continenti ci salverà.

Scusa se ti ho tenuto nascosto che avevo dei figli. La prole che non ti ho detto.

- Le farfalle più belle son quelle bianche.
- Non dire cavolaie!

Un giorno tutto questo sarà mutuo.

Dove c'è barella c'è quattro.

Quanto tempo passo ad ascoltare le musichine dei call center! La mia vita è attesa a un filo.

Memo: attaccare bottone colle ragazze. Nessun uomo è un'asola.

Mare mosso a compassione.

La vita non è stata tenera con me: sono nato sotto il segno dei pesci in faccia.

Le ragazze di strada hanno il punto jeep.

Quando mi s'apre il popup di Cartier penso che ancora di me proprio tutto non sappiano gugol & co.

La tua donna giapponese ti ha lasciato? Mettiti con un'altra ragazza del Sol Levante. Kyoto scaccia Kyoto.

Si risveglia dal coma con accento francese: infevmievàààààà!

Io non amo ballare ma per soddisfare mia moglie ho sviluppato una seconda personalità: il mio valzer ego.

Il social network ai tempi di beautiful: faceBrooke.

Credevo fosse umore invece era moccio proprio.

Se muoio stanotte ricordatemi così: ottimista.

Si addormenta sulla tastiera e trasferisce 222 milioni di euro.
Levalo il Bloc Num.

Chiamò il figlio Adolf Hitler. Era il babbo di Adolf Hitler.

Berlusconi, pronta la sua biografia. Il titolo è La Bibbia 2 e questo è l'incipit: In principio era il verro.

Grillo scarica Rodotà. C'è il torrent?

Scelgo in quale night club andare su Strip Advisor.

Sii te spesso.

E per la serie Disse:
Disse Golia: Aspetto un minutino.
Disse Beep beep: Mi si sta scaricando il cellulare.
Disse Geppetto: Vedo la gente morsa.

24 giugno 2013

Tutto quello che avreste voluto sapere sul seNso ma non avete mai osato chiedere

In principio era il senso e il senso era presso Dio, o presso chi per lui.
Ma del sesto qual è il senso o quale quello del se sto? Il se sto ha un senso a sette e mezzo dove se di mano hai un tre no ma se hai un sei allora sì che ha senso il se sto. Specie se sei il banco il se sto ce l'ha il senso anche se sarebbe meglio un sette oppure un tette, lì c'è sempre un senso per stare. A me piaceva, ma giocavo come un cane perciò lo chiamavamo setter e mezzo e dovevi dire stor per la regola della simmetria dell'erre.
D'altra parte se sto non Vado via come cantava quel tipo da balera detto Drupi imperversando nelle sale disco degli anni '70 al motto di Balla co'i' Drupi.
Sempre meglio che ballare sui dirupi e rischiare di cadere in un burrone, burrone a cui s'ispirò Bernardo per la nota scena di Ultimo tangone a Parigi dove questi due fanno sesso a tutta randa, di poppa ma soprattutto di bolina.
Ma dei Bertolucci cineasti preferisco l'opera della sorella Bernarda, un vero e proprio cul-movie: Ultimo tanga a Parigi. In definitiva un cortometraggio in costume.
Di Bertolucci ricordo anche Paolo, noto doppista assieme a Panatta, Adriano, prima che la Yourcenar ne raccogliesse le memorie nel suo capolavoro. Notevole il racconto in cui Adriano, dopo uno smash sbagliato da Paolo, gli tronca la maxima torneo sulla testa al grido di Paolo Paolo pa Paolo maledetto così da doverlo tradurre al mutuo soccorso dove diventa Pablo, Pauli e Paul.
Paul poi era il nome del polpo indovino, il quale morì poco prima di entrare in concorrenza con il frate sui calendari, povero polpo Paul e la sua vita tentacolare sempre appresso a polpe spolpate e spoppate in quella trasmissione osé Polpo Grosso, dove il presentatore non faceva ridere manco pe' gnente a dispetto del nome: Umberto Smile.
Sì Smile, proprio lui, quando stando coi gatti imparò a gattonare.
E comunque il sesto un senso ce l'ha negli archi, specie se è un sesto acuto, se è cretino come quelli di oggigiorno non vi ci perdete. È proprio vero: non ci sono più gli archi di una volta, tutte navate.

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Questo testo partecipa indegnamente e impunemente (spero) all’eds della donna Camèl, come:
- Incanto - Dario
- Serenissima - Melusina
- C'era quella cosa - Melusina
- Io non c'entro - Bianca
- Il viaggio - Pendolante
- Mercoledì - *Cla

20 giugno 2013

Io, l'amministratore e la signora grassa

Siamo io, l'amministratore e la signora grassa del terzo piano e ancora non l'ho capito come si chiama... Zucchini, Zucchetti, Zuccolini qualcosa d'etimologicamente connesso a ortaggi vagamente oblunghi e insapori. Va da sé che è grassa.
Non sarà una serata come un'altra e non chiedetemi perché lo so.
Degli altri nemmeno l'ombra, manco i panni hanno mandato. Io ho due deleghe e, se ho fatto bene i calcoli, due la signora grassa, non è un gran preludio al prendere delle decisioni a maggioranza.
Guardare la signora grassa, pure se di sottecchi, mi mette a disagio. Sento un moto, indefinibile per natura, punzecchiarmi, ma la presenza di quell'altro, lì, attenua tutto.
Va così, al cristo dell'amministratore gli suona il telefonino e ci pianta in asso. Scusate, fa, e si leva dai tre passi.
Resto in compagnia della signora grassa e di un silenzio pesante più di lei.
Una bolla infrangibile di non suono imbarazzato, con io desideroso solo di buttarmi lungo disteso in un campo d'erba medica con un filo d'avena in bocca e mani dietro la nuca a guardare le nuvole bianche modellate in guisa boteriana dal vento, e lei concentrata sulla probabile torta di mele, un filo troppo caramellata, lasciata a freddare sulla pietra serena della finestra del cucinotto.
Lo sento blaterare fuori dalla porta, l'amministratore, impegnato in inflessioni e toni privi della calata necessaria alla chiusa di un discorso. Ne avrà ancora.
Attorno alla vita la signora si porta due ciambelloni rinsaccati da un abitino mezzo elasticizzato nero ma non aduso a sfinare chicchessìa, nemmeno dietro compenso. Respira a fatica, la senti pigiare l'aria fuori dal naso quasi avesse uno stantuffo su e giù per la trachea, si guarda attorno in maniera pure troppo sfacciata. Non è mai stata in casa mia e la sua curiosità si taglia a fette, da servire assieme al silenzio.
Poteva pure portarla la cazzo di torta di mele. Invece niente, con tutto nemmeno ho cenato e lo stomaco mi canta la marsigliese in re maggiore.
Il mancato rientro dell'amministratore mi rende irrequieto ma, penso, senza un motivo, senza un senso e do la colpa dello sfarfallio alla fame.
Dico qualcosa io o dice qualcosa lei, non si scappa e non si può continuare così. La signora grassa però è tutto fuorché a disagio, l'imbarazzo è solo mio. Probabilmente pensa a come farmi fesso sull'altezza potatura siepe del giardino condominiale o sulla beata vergine della cisterna di raccolta delle acque piovane di botto diventata necessaria più delle spezie per Colombo.
Comincio a respirare più profondo per capire cosa arriva da quella massa lipidica. Sudore misto a mele cotte in forno direi, niente d'imperdibile.
Non riesco a star seduto, mi mangio un metro di unghie, vado alla finestra per vedere se passa il 41, conto i peneri del tappeto finto persiano kilim rug ikea da 169 euro, passo un dito a tirar via la polvere dal bordo di un vaso, spingo dentro un libro finito fuori sagoma nello scaffale.
L'amministratore rientra solo per metterci a parte di un imprevisto: trascinerà le sue chiappe fuori da lì per almeno mezz'ora. Mi aspettate, ci fa. Ci guardiamo io e la signora grassa e facciamo di sì con il capo.
Soli.
Il cuore mi comincia a pompare come un matto, non ci voglio credere nemmeno io, eppure.
Le passo dietro per spiarla e butto un occhio su quei metri quadri di alta schiena, nuda.
Continua a respirare rumorosamente, a emanare fragranze corporee, a starsene ostinatamente zitta e tranquilla. E continua a essere grassa.
Ti viene voglia di ucciderla una così, squartarla proprio come una vacca.
E invece la desidero.
Mi verso da bere, bevo.
Cerco di rifiutare l'idea, o meglio, penso di farlo o forse dovrei ma di fatto mi lascio travolgere.
Sto per farle una battuta sulla siepe da potare, poi mi salvo non so come da inutili accessi di stupidità.
Non sono malato, non li bazzico certi siti in cerca di bigmama, fatty o robe simili, però adesso vado in camera, mi stendo sul letto e aspetto.

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Contributo all’eds della donna Camèl, insieme a:
- Incanto - Dario
- Serenissima - Melusina
- C'era quella cosa - Melusina
- Io non c'entro - Bianca
- Il viaggio - Pendolante

17 giugno 2013

Fossi un poeta scriverei di

Giornali spaginati e ricomposti come capita sui tavolini d'un bar,
fili che hanno imbastito con perizia irriconoscenti abiti blu,
dischi disputati per girare sui piatti dove nessuno mangerà,
bottoni di riserva cuciti su lembi isolati e nascosti di camicie bianche,
nervature di foglie scheletrizzate dalle dita iperattive di un bambino,
palloni di cuoio in fuga nel fiume accompagnati dagli sguardi sudati dei ragazzini,
occhiali da sole caduti da sopra le teste durante i baci e gli abbracci di saluto.

9 giugno 2013

C'hai centolire?

Centolire era una donna, o almeno lo era stata.
Una sorta di Patti Smith a vederla, solo più sporca e meno carica.
Viaggiava con addosso uno spolverino nero, sembrava scivolare piuttosto che camminare, tipo come se pattinasse, se sfruttasse delle rotaie, non staccava i piedi dal suolo. T'arrivava alle spalle che non la sentivi, si materializzava lì come avesse viaggiato attraverso la storia, imbucandosi in varchi temporali abbandonati e angusti, su vagoni di terza classe.
Due cose ti poteva dire, "Che... c'hai centolire?" se non ti conosceva, se era la prima volta che ti vedeva o se eri uno di passaggio nel paese, oppure "C'hai centolire?" saltando ogni preambolo di cortesia introduttiva, se già t'aveva impattato. Strascicava la ci dolce un po' come strascicava i piedi, blanda e svogliata.
Gravitava attorno all'Autogrill, com'era logico, l'unico ambiente che mostrava surrogati di pulsioni di vita in un irragionevole raggio spaziale.
Ci rimanemmo tutti come dei bischeri quando fu trovata una mattina all'alba che usciva dai bagni pubblici dell'autogrill dove aveva passato la notte insieme a Foffo, una vecchia conoscenza, un entraesci dal manicomio, un'altra esistenza di margine.
Non era facile immaginarli insieme, pensarli che si accarezzavano o che si accoppiavano con la furia degli animali. Non era facile immaginare il momento del loro incontro, non era facile immaginare parole che potessero essere state proferite dall'uno o dall'altra.
Era facile solo immaginare il perché, come c'insegnava Patti proprio in quegli anni.
Because the night belongs to lovers.

7 giugno 2013

La rana e lo scorpione reloaded

Questo blog è deranascorpionizzato.
Non so voi, ma io 'sta storia non la reggo più.
Quando l'ho sentita per la prima volta, ne L'infernale Quinlan - di e con Orson Welles -, ho pensato a un colpo di genio, a una chicca filosofica a un insegnamento nodale di vita.
Poi, davvero, l'abuso della favola, l'ha resa estremamente stucchevole.
Chiedo ad autori, scrittori, sceneggiatori e blogger di dimenticarla, di ignorarla proprio.
Di attingere, se proprio devono copiare citare, da altre fonti, da altre vicende animalesche.
Manca solo che Tarantino la metta in un film o Paolo Conte in una canzone per chiudere il cerchio della banalità ranascorpionica.
Vanno bene le rane e vanno bene gli scorpioni, ma evitiamo di ficcarli insieme nello stesso racconto.
Oltretutto, probabile che lo spunto venga da Esopo addirittura, o forse anche da prima, magari era la fiaba con cui, nella Valle di Neander, un uomo metteva a letto suo figlio.
Insomma, possiamo pensare anche a qualcosa di nuovo.
E no, non mi riferisco all'uovo e alla gallina.

3 giugno 2013

Ditelo coi papaveri

L'arte è asimmetrica.
Scordatevi parallellismi grafico visivi in un'opera d'arte.
L'artista non lavora alla ricerca di equilibrio o specularità così come il poeta rifugge il paragrafo giustificato.
La simmetria la ritrovi nelle macchie di Rorschach ma solo perché derivano dalla piegatura del foglio, come si faceva da ragazzi quando si sperimentava con le tempere e non avevamo una psicopatologia da diagnosticare.
L'arte è asimmetrica e la Natura lo sa... e come ce lo dice?
Coi papaveri ce lo dice.
I papaveri mi fanno impazzire. Dateci un occhio mentre portate i figli in palestra o li prendete da scuola o vi catafiondate a un appuntamento galante. La loro incoerente disposizione è espressione pura di bellezza.
Un pointillisme naturale e disorganico che adorna il nostro campo visivo con pennellate estemporanee di colore.
Guardateli i papaveri a comporre con la stessa naturalezza una macchia fitta e rigogliosa qui, una linea sbilenca poco più in là o, ancora, un rado assembramento o una media fioritura. Apparentemente senza un vezzo grafico nello stretto ma a ingioiellare il mondo se solo vi allontanate un attimo.
A filo strada, sul balzo scosceso, nell'ampio respiro di un campo oppure ostinati e aggrappati a un pugnello di terra secca tra una pietra e l'altra di un muro.
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