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24 gennaio 2014

Breaking Bad

Prima parte [SPOILER FREE]

Non sono un cultore delle serie in genere, specialmente di quelle (come questa) che sviluppano una trama unica attraverso più episodi e più anni; preferisco ciucciarmi un episodio al volo, quando capita, dove c’è un senso finito anche singolarmente.
Qui no, te le devi guardare tutte e devi cominciare dal primo anno.
Anche se la declinazione del verbo dovere nella frase precedente è impropria, è più corretto dire ti devi guardare il primo episodio e poi ti vuoi guardare tutti gli altri.
Perché funziona così, è una serie PCD (*) e quando finisce, perché con la quinta stagione finisce, ti lascia inebetito davanti allo schermo in attesa di qualcosa che non sarà più.
L’unica altra volta che ho provato una sensazione simile è stato quando hanno chiuso Happy Days, ecco lì volevo davvero promuovere una sorta di sciopero o di marcia di protesta, non ricordo, ma non mi riuscì nemmeno di mettere insieme quattro amici per un comitato promotore ristretto.
Già con Friends mi sono fatto una ragione più alla svelta.
Il consiglio veniva da figlio grande e, considerando la musica alla quale ha cercato di introdurmi negli anni scorsi, poteva andare bene ma anche meno, ecco, ma visto che provare non costava niente l’abbiamo fatto.
In fondo avevamo a disposizione i tre elementi necessari: una connessione decente, un divano comodo e una gatta ciascuno da coccolare.
Bon, se siete convinti di portare avanti le vostre esistenze senza nemmeno conoscere Walter White e Jesse Pinkman, fatelo, ma sarebbe un po’ come morire senza aver letto un Diabolik, senza aver fatto un bagno in Sardegna o senza aver mangiato della focaccia di Recco.
Gli elementi nuovi che hanno caratterizzato la mia vita nel 2013 sono questi: Infinite Jest, la corsa, Ruzzle e Breaking Bad.
Degli altri avevo già detto, mancava giusto un accenno ad Heisenberg.
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Seconda Parte - The traffic lights [SPOILER]

  • Il fatto che NON succedono le cose che sembrano scontate, non sempre almeno, e spesso gli accadimenti tradiscono inesorabilmente le preghiere dello spettatore. Alcuni episodi, se fossero stati sottoposti a quelle proiezioni pilota per far decidere il pubblico sullo svolgimento, non sarebbero andati da nessuna parte. Questo è il pregio più grande.
  • La sceneggiatura è disseminata di indizi per farti arrivare a comprendere quello che sarà prima che accada davvero, e quando ci riesci son soddisfazioni.
  • Il montaggio con i flashback e i flashforward che stimolano i tuoi ragionamenti e creano la giusta attesa.
  • I notevoli e ripetuti cul-de-sac narrativi in cui pare andare ad infilarsi la storia salvo poi uscirne con idee straordinarie e sempre (quasi) credibili.
  • La gestione dei personaggi minori, sempre curata e infarcita di piccoli e succosi particolari.
  • La tensione forte di taluni passaggi, su tutti Hank e Walter in garage.
  • La fotografia mirabile nelle scene per così dire desertiche.
  • La sapiente contrapposizione di brani musicali allegri a fare da sottofondo alle scene più cruente.

  • Un paio di illuminazioni che colpiscono il Jesse pensiero, la prima a favore di Walter e la seconda contro, che prorompono da una fiammella troppo flebile per scatenarle davvero.
  • Alcune scene di violenza inaudita e assurda, tarantiniana per intendersi, che sono un po' fuori contesto rispetto alla realità che la serie sembra voglia perseguire specialmete nelle prime stagioni.
  • Un paio di episodi noiosi, ma giusto 2 su 62.
  • Gli interventi di chirurgia plastica a cui si è sottoposta l'attrice Anna Gunn (Skyler, moglie di Walter) tra la 2a e 3a serie. Mi hanno infastidito, fossi stato il produttore non glieli avrei permessi, oltretutto in alcuni flashback, girati dopo, la sua faccia nuova stride come gesso sulla lavagna.

(*) Può Causare Dipendenza

p.s. si prega di segnalare i commenti quando sono [SPOILER]

30 gennaio 2013

Django, la D è muta

Davvero non mi ricordo chi era che sconsigliava fortemente di raccontare e scrivere dell'amore. Se avete una qualche velata ambizione narrativa state alla larga dallo spinoso tema. Dell'amore hanno parlato e scritto tutti e, giocoforza, tra i tutti ci stanno i grossi calibri con i quali, sempre che vi ostiniate a scrivere dell'amore,
dovreste raffrontarvi. È impresa improba assai.
Meglio dedicarsi a un soggetto, un episodio, un dialogo particolare per il quale non siano stati versati fiumi d'inchiostro. Osservate una sedia intarsiata o un tizio qualunque che attraversa una strada o scende da un tram, partite da lì, sarà più facile.
Tutta 'sta bobina per dire che non è auspicabile mettersi a tessere le lodi di mister Quentin Tarantino perché inevitabilmente si cade nel trito e nel già detto.
Ciò nondimeno, noi testedure, ci si prova.
Quando hai dato vita a un capolavoro assoluto, se non sei Michelangelo - e di solito non lo sei manco per il cazzo! - dovresti ritirarti sulla cima d'una montagna a vita, in uno di quei buchi scavati nella roccia, vedere meno gente possibile, mangiare radici e bacche e, assolutamente, non cercare di produrre una nuova opera.
Ringraziamo per questo il buon Salinger che infagottatosi per bene di misantropia e consapevolezza s'è tolto presto dalla circolazione, pure se non ha dovuto ricorrere al suicidio per dare la stura al suo successo.
Rischi di fare la fine di Benigni che, povero, a valle de La vita è bella cosa avrebbe potuto inventarsi? Dove poteva andare a recuperare uno spunto, un'idea da rendere quantomeno presentabile? Avrebbe dovuto attendere 10, 20 anni prima di farsi vivo al cinema con qualcosa di suo e sperare che noi, nel frattempo, avessimo dimenticato la bellezza di quella pellicola.
Quentin cosa fa, invece? Scrive e gira IL FILM per eccellenza, quello che incarnerebbe il numero massimo di stelle nella scala ideale di valutazione della cinematografia mondiale, Pulp Fiction ça va sans dire e, invece di saggiamente rintanarsi, continua ad esporsi.
E qui sta il suo azzardo e il suo merito, va detto. Django, come Kill Bill, è un'opera eccellente ma che paga com'è ovvio e necessario il suo bel dazio a Pulp Fiction.
Quando si ragiona di Quentin, quindi, è d'uopo avvicinarsi alla sala e contemplare la sequenza delle immagini cancellando dalla memoria i ricordi legati al FILM, considerare che non sia proprio mai stato nemmeno girato. Solo così potrete apprezzare il valore di un Hattori Hanzō o, magari, di un negro a cavallo.
Il film è spruzzato d'italianità con Franco Nero in amichevole partecipazione ed Elisa in soundtrack.
Senza spoilerare niente aggiungo un cenno di apprezzamento per Don Johnson che si scrolla di dosso quel ruolo di detective che l'ha marchiato per la vita lasciando l'ufficio di Miami al suo Vice e, finalmente, dando un senso al titolo della serie.
Ma l'ho detto quello che volevo dire? Forse no. Vabbè, era difficile.

15 marzo 2012

Le storie siamo noi

La plausibilità d'un racconto, come la credibilità d'una bugia si fonda sui dettagli.
Non è il soggetto, la trama grossa, che conferirà alla nostra storia la qualifica di veritiera, che poi è quello che ci serve, sia che presentiamo un testo a un editore sia che raccontiamo una versione adattata dei fatti a qualcuno, ma sarà la sceneggiatura, la trama fine a farlo.
I dettagli rendono la storia credibile (Reservoir Dogs).
Perché pure una bella storia, di fantascienza quanto volete, deve rientrare in canoni di plausibilità.
E allora prendiamo un dettaglio, può essere un gesto, un oggetto, un dialogo o anche un pensiero, l'importante è che stia nel contesto della storia ma, al tempo stesso, ne possa stare fuori senza soffrire, possa essere enucleato dal quantum senza che la trama grossa ne soffra, prendiamo un
dettaglio, scomponiamolo in minimi termini, ingrandiamolo 100 volte o rendiamolo parte di noi, incarniamolo.
La minuziosa descrizione del particolare, l'attenzione alle sfumature svilupperà nell'interlocutore la convinzione che tutto ciò può essere vero ma che, almeno almeno, è verosimile. E questo nel 99% dei casi è sufficiente.
Le sfaccettature e le sottigliezze della trama fine ci aiuteranno a definire la nostra storia e a crederci davvero, pure noi.
Un grande esempio cui ispirarsi ce lo offre Tarantino con il monologo di Tim Roth in Reservoir Dogs: la storia del cesso di Mr. Orange.

Per i tre che ancora non la conoscono:
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