Mio nonno aveva un aratro con i buoi e una vanga. Dissodava, vangava e zappava. Seminava e raccoglieva, grano, baccelli, ceci, carciofi. Poi c'era una piccola vigna e un discreto numero di olivi.
Mio padre aveva una carriola e una mestola. Edificava, demoliva e ristrutturava. Ha costruito case, tra cui la mia, ha progettato e messo in piedi non so quanti archi e quanti caminetti, le sue passioni.
Io ho un computer e excel. Dissodo le mie tabelle con il cerca verticale e le edifico con i bordi, gli sfondi colorati e le font innovative.
Mio nonno mi ha insegnato a caricare il peso sulla vanga e mio padre a rimestare la calce con la pala.
Ma io cosa dirò ai miei figli? Che arte, che mestiere potrò lasciar loro in eredità?
Di quali astuzie potrò metterli a parte? Li istruirò sul testo in colonne o sul convalida dati, ma poi?
La prima sensazione è che questo srotolamento di progresso ci dipinga dentro a scenari sempre più sofisticati ma vuoti, e che la minore fatica fisica da sviluppare nelle attività moderne possa causare percezioni distorte dei valori dell'esistenza, o alterarne i pesi.
Ma quando i miei futili strumenti sembrano irrimediabilmente allontanarmi dalla tradizione familiare penso che in definitiva, lavorare con coscienza, cercando di dare il meglio, quando si rivolta una zolla, quando si tira su un muro a piombo o quando s'imposta una tabella pivot, comunque serva ad intrecciare quel filo immaginario e immaginato che, attraversandoci, ci lega.
31 maggio 2012
28 maggio 2012
Puzzle
Cosa c'è che non va in me? Come sono finita in un'esistenza rinsecchita, rosicata dal tarlo del rimpianto? Cosa avrei dovuto o potuto fare che invece non ho voluto o osato fare per completare il puzzle della mia vita.
Cosa mi ha impedito di procreare in 40 anni di onorata vita di femmina? Cosa non ha permesso alle mie cellule di trasmigrare in un altro essere vivente, così come la natura aveva deliberato nel suo disegno arcano e semplice?
Ho perduto il conto delle volte che, come una cretina, sono corsa in bagno al mattino, con un ritardo di due giorni o forse di due ore, a far pipì su quelle benedette asticelle.
Dove seminerò i miei ovuli senza futuro? In quale arido terreno mi farò seppellire?
Chi mi porterà un fiore?
Questi sono i pensieri che accompagnano ogni mio respiro.
Così ho deciso di avere un figlio mio, ad ogni costo.
In biblioteca arriva Diego, restituisce la solita dozzina di libri da bambini e ne prende di nuovi. Diego, carino proprio no, anche un po’ goffo, con tre figli loro sì carini, Diego che mi ha sempre filato un po’.
- Lara, è l’ultima volta che prendo i libri. Sabato li riporto e poi parto per Barcellona.
- Barcellona? Davvero? Solo?
- No, andiamo tutti. Per via del mio lavoro - e fa un gesto con la mano a simulare un volo aereo.
- Allora salutiamoci, andiamo a mangiare una pizza o a bere qualcosa? – e lui ha già capito.
E ho capito anch’io. Non ci vuole un indovino per immaginarsi il film che Diego sta sceneggiando nella sua testolina di maschio.
- Magari – farfuglia sorpreso.
Ci scambiamo i numeri di telefono e sento lo scatto soffice di una tessera che s’incastra alla parte del puzzle già assemblata sul tavolo della mia vita.
Lo guardo uscire, non mi piace, ma non ho ripensamenti, niente paranoie da quindicenne. È lui lo stallone predestinato.
E non venite a parlarmi di questione morale. Ormai sto a un livello di bassezza tale che, scendere un altro gradino, equivarrebbe a finire in un parco e rapire un neonato da una carrozzina.
Va che mi telefona e fissiamo. Se solo mi piacesse un po’. Ma non mi deve piacere, non mi deve sposare e non mi deve coprire di fiori. Non mi deve pagare la cena e non mi deve nemmeno scopare bene. Dieci minuti di sesso. Chiudo gli occhi, mi concentro sulla semina e il raccolto mi ripagherà di tutto.
È Diego l’eletto. Ha famiglia, non mi cercherà più. E sarà in Catalogna prima che la mia pipì sgoccioli sull'asticella magica.
Usciamo. La cena e le chiacchiere della serata non rendono l’affaire più gradevole. Due ore in cui si parla solo di a) calcio e b) famiglia, la sua. Se non fosse per una giusta causa mi sarei alzata dopo l’aperitivo. Devo distrarmi, non pensare, distogliere lo sguardo da quelle mani sudaticce e non immaginarle su di me. Devo voltarmi lato muro, fingendo di ravviare i capelli, quando lui s’avvicina e sento il fiato carico. L’euforia per il piano di maternità mi ha portato a glissare sui dettagli estetico-culturali di Diego, di questo mi rendo conto, nonostante stia cercando di perdere i sensi ammazzandomi col vino.
Domattina, però, tutto sarà compiuto e apprezzerò le cose per quello che sono davvero.
Già per le scale, salendo da me, comincia a infastidirmi con dita, mani e lingue. Aprire la porta e farlo entrare è il momento più duro, sono costretta a prendere un'altra volta la decisione.
Un minuto e siamo in camera. Due minuti e siamo nudi. Tre minuti e le coccole sono finite. Quattro minuti e la sua faccia oltre la mia spalla sfiata sul cuscino. Cinque minuti e mani e lingue. Sei minuti e dal respiro capisco che non manca molto al traguardo.
- Diegooo – affondo la stoccata – vai tranquillo, prendo la pillola.
Non è corretto lo so, ma non deve esserlo.
Rantoli ritmati, urla strozzate e spinte rapide. Finisce così, con un’altra tessera che vado fiduciosa a incastrare, proprio là, in mezzo al puzzle.
Lui si schioda da sopra sbuffando, e si lascia andare di schianto di fianco a me.
- Fantastico Lara, è un sogno – dice sfiorandomi una coscia - e non ci sono problemi, davvero... mi sono fatto la vasectomia due anni fa. Dopo tre figli...
----------------------------------------------------------------------
Il testo partecipa all'EDS InterSex come anche :
All'ombra dell'ultimo sole / Paolino by Melusina (Poco mossi gli altri mari)
Tentar non nuoce by Lillina (Ora e qui)
Al pensiero by Speaker Muto (Radio Free Mouth)
Kronos e Kairos. by OBi (Orsa Bipolare)
Gli Sguardi del cuore by Maimà (Mai Maturo)
E' un gioco by SingleMama (SingleMama)
Sono io by Bianca (La Donna Camèl)
Se lavessi saputo prima by Dario (Solo Testo)
Cosa mi ha impedito di procreare in 40 anni di onorata vita di femmina? Cosa non ha permesso alle mie cellule di trasmigrare in un altro essere vivente, così come la natura aveva deliberato nel suo disegno arcano e semplice?
Ho perduto il conto delle volte che, come una cretina, sono corsa in bagno al mattino, con un ritardo di due giorni o forse di due ore, a far pipì su quelle benedette asticelle.
Dove seminerò i miei ovuli senza futuro? In quale arido terreno mi farò seppellire?
Chi mi porterà un fiore?
Questi sono i pensieri che accompagnano ogni mio respiro.
Così ho deciso di avere un figlio mio, ad ogni costo.
In biblioteca arriva Diego, restituisce la solita dozzina di libri da bambini e ne prende di nuovi. Diego, carino proprio no, anche un po’ goffo, con tre figli loro sì carini, Diego che mi ha sempre filato un po’.
- Lara, è l’ultima volta che prendo i libri. Sabato li riporto e poi parto per Barcellona.
- Barcellona? Davvero? Solo?
- No, andiamo tutti. Per via del mio lavoro - e fa un gesto con la mano a simulare un volo aereo.
- Allora salutiamoci, andiamo a mangiare una pizza o a bere qualcosa? – e lui ha già capito.
E ho capito anch’io. Non ci vuole un indovino per immaginarsi il film che Diego sta sceneggiando nella sua testolina di maschio.
- Magari – farfuglia sorpreso.
Ci scambiamo i numeri di telefono e sento lo scatto soffice di una tessera che s’incastra alla parte del puzzle già assemblata sul tavolo della mia vita.
Lo guardo uscire, non mi piace, ma non ho ripensamenti, niente paranoie da quindicenne. È lui lo stallone predestinato.
E non venite a parlarmi di questione morale. Ormai sto a un livello di bassezza tale che, scendere un altro gradino, equivarrebbe a finire in un parco e rapire un neonato da una carrozzina.
Va che mi telefona e fissiamo. Se solo mi piacesse un po’. Ma non mi deve piacere, non mi deve sposare e non mi deve coprire di fiori. Non mi deve pagare la cena e non mi deve nemmeno scopare bene. Dieci minuti di sesso. Chiudo gli occhi, mi concentro sulla semina e il raccolto mi ripagherà di tutto.
È Diego l’eletto. Ha famiglia, non mi cercherà più. E sarà in Catalogna prima che la mia pipì sgoccioli sull'asticella magica.
Usciamo. La cena e le chiacchiere della serata non rendono l’affaire più gradevole. Due ore in cui si parla solo di a) calcio e b) famiglia, la sua. Se non fosse per una giusta causa mi sarei alzata dopo l’aperitivo. Devo distrarmi, non pensare, distogliere lo sguardo da quelle mani sudaticce e non immaginarle su di me. Devo voltarmi lato muro, fingendo di ravviare i capelli, quando lui s’avvicina e sento il fiato carico. L’euforia per il piano di maternità mi ha portato a glissare sui dettagli estetico-culturali di Diego, di questo mi rendo conto, nonostante stia cercando di perdere i sensi ammazzandomi col vino.
Domattina, però, tutto sarà compiuto e apprezzerò le cose per quello che sono davvero.
Già per le scale, salendo da me, comincia a infastidirmi con dita, mani e lingue. Aprire la porta e farlo entrare è il momento più duro, sono costretta a prendere un'altra volta la decisione.
Un minuto e siamo in camera. Due minuti e siamo nudi. Tre minuti e le coccole sono finite. Quattro minuti e la sua faccia oltre la mia spalla sfiata sul cuscino. Cinque minuti e mani e lingue. Sei minuti e dal respiro capisco che non manca molto al traguardo.
- Diegooo – affondo la stoccata – vai tranquillo, prendo la pillola.
Non è corretto lo so, ma non deve esserlo.
Rantoli ritmati, urla strozzate e spinte rapide. Finisce così, con un’altra tessera che vado fiduciosa a incastrare, proprio là, in mezzo al puzzle.
Lui si schioda da sopra sbuffando, e si lascia andare di schianto di fianco a me.
- Fantastico Lara, è un sogno – dice sfiorandomi una coscia - e non ci sono problemi, davvero... mi sono fatto la vasectomia due anni fa. Dopo tre figli...
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Il testo partecipa all'EDS InterSex come anche :
All'ombra dell'ultimo sole / Paolino by Melusina (Poco mossi gli altri mari)
Tentar non nuoce by Lillina (Ora e qui)
Al pensiero by Speaker Muto (Radio Free Mouth)
Kronos e Kairos. by OBi (Orsa Bipolare)
Gli Sguardi del cuore by Maimà (Mai Maturo)
E' un gioco by SingleMama (SingleMama)
Sono io by Bianca (La Donna Camèl)
Se lavessi saputo prima by Dario (Solo Testo)
25 maggio 2012
Difesa d'ufficio
Le vostre auto, ma le avete odorate dall'interno. Un'annusata non si nega nemmeno a una Fiat. Sedetevi in un qualsiasi posto della vostra auto e inspirate. E se il mezzo non ha più la puzza di nuovo ne ha sicuramente un'altra. Non dovreste farci salire il pastore maremmano fradicio, né sgocciolare i vostri ombrelli sui tappetini, non dovreste impregnarne le foderine coi rigurgiti lattosio e acidi gastrici dei vostri cuccioli. Per quanto, c'è un rimedio a tutto ciò, ed è di una semplicità infinita.
Si chiama Arbre Magique e, come gran parte delle robe di classe, l'hanno inventato i Francesi. Il cinema, la cucina, il vino, Brigitte Bardot Bardot, la baguette, il brie, voglio dire, se il top in ogni categoria è francese ci sarà un motivo!
Guardatelo, non è tenero? Lo agganciate allo specchietto retrovisore e lui se ne starà lì buono, a dondolare dolcemente, cullato dalle vostre curve e dai vostri cambi di velocità.
E oscillando, lui, senza costi aggiuntivi, sprigionerà un aroma a scelta che aiuterà a proiettare la vostra auto tra i luoghi più desiderati da visitare, dove magari rilassarsi per un due trecento chilometri o, chessò, tirarsi giù le braghe in attesa di movimenti sussultorio-erotici.
Ma senza l'Arbre Magique, scordatevi che tutto ciò possa accadere.
E poi, in ultima analisi, il suo pendolare, mentre vi state inerpicando per un passo alpino, il suo sistemarsi proprio davanti ai vostri occhi impallando il vostro sguardo prima di una curva cieca o magari allo sbucare di uno SCANIA in sorpasso, non può che rendere più stimolante la guida, oltre a tenervi all'erta.
Ecco, questo è ciò che avrei potuto imbastire se fossi stato avvocato e mi fosse stata assegnata la difesa d'ufficio dell'Arbre Magique, ma così non è, per fortuna.
Perché l'ho in odio il fottuto alberello, anzi no, ho in odio chi si ostina ad agghindare la sua auto con l'Arbre Magique.
Perché, mi chiedo, dagli anni Settanta, di tutte le cose che potevano arrivare fino ad oggi, tipo il Rischiatutto, le clic-clac, i fotoromanzi Lancio, il Piper (gelato), i miniassegni, le Superga bianche, il Geloso, il Purity auto (!), Toni Astarita, tra tutte, proprio 'sto fetente d'alberello doveva arrivare?
E quando guido la macchina di mia sorella mi piglia male.
p.s. ovviamente i Francesi, e cmq anche la loro difesa è d'ufficio, non c'entrano un emerito coll'invenzione del signor Little Tree, che è born in USA.
Si chiama Arbre Magique e, come gran parte delle robe di classe, l'hanno inventato i Francesi. Il cinema, la cucina, il vino, Brigitte Bardot Bardot, la baguette, il brie, voglio dire, se il top in ogni categoria è francese ci sarà un motivo!
Guardatelo, non è tenero? Lo agganciate allo specchietto retrovisore e lui se ne starà lì buono, a dondolare dolcemente, cullato dalle vostre curve e dai vostri cambi di velocità.
E oscillando, lui, senza costi aggiuntivi, sprigionerà un aroma a scelta che aiuterà a proiettare la vostra auto tra i luoghi più desiderati da visitare, dove magari rilassarsi per un due trecento chilometri o, chessò, tirarsi giù le braghe in attesa di movimenti sussultorio-erotici.
Ma senza l'Arbre Magique, scordatevi che tutto ciò possa accadere.
E poi, in ultima analisi, il suo pendolare, mentre vi state inerpicando per un passo alpino, il suo sistemarsi proprio davanti ai vostri occhi impallando il vostro sguardo prima di una curva cieca o magari allo sbucare di uno SCANIA in sorpasso, non può che rendere più stimolante la guida, oltre a tenervi all'erta.
Ecco, questo è ciò che avrei potuto imbastire se fossi stato avvocato e mi fosse stata assegnata la difesa d'ufficio dell'Arbre Magique, ma così non è, per fortuna.
Perché l'ho in odio il fottuto alberello, anzi no, ho in odio chi si ostina ad agghindare la sua auto con l'Arbre Magique.
Perché, mi chiedo, dagli anni Settanta, di tutte le cose che potevano arrivare fino ad oggi, tipo il Rischiatutto, le clic-clac, i fotoromanzi Lancio, il Piper (gelato), i miniassegni, le Superga bianche, il Geloso, il Purity auto (!), Toni Astarita, tra tutte, proprio 'sto fetente d'alberello doveva arrivare?
E quando guido la macchina di mia sorella mi piglia male.
p.s. ovviamente i Francesi, e cmq anche la loro difesa è d'ufficio, non c'entrano un emerito coll'invenzione del signor Little Tree, che è born in USA.
22 maggio 2012
Sto aspettando gli Spandau
Quando ci tuffiamo nella memoria alla ricerca di spicchi temporali di contatto, di eventi epocali ai quali potremmo aver partecipato entrambi, nella nostra vita prima della conoscenza, io e dolcemetà, finisce che rimestiamo sempre nella sfera musicale, i concerti insomma.
Patti Smith allo stadio, Vasco al velodromo delle Cascine, David Bowie allo stadio, Bennato a Porta Romana, Madonna allo stadio, la Rettore al teatro tenda, i Level 42 al palazzetto, Paolo Conte al Verdi, i Talk Talk al Tenax, Enzo Jannacci a Sesto, i Pink Floyd a Livorno. Niente, pare che avessimo esistenze e gusti musicali irrimediabilmente opposti e che i nostri fili non si sarebbero potuti intrecciare in una matassa anteriore (chissà con quali esiti, poi!).
Certo avevamo comprato entrambi il biglietto per il concerto degli Spandau Ballet, ma il fato volle disporre anche lì in altra maniera. Non potendo dividerci, il destino infame, agì intervenendo alla radice e causando addirittura l'annullamento del Tour.
Andò che il biondino della band si fratturò una gamba. A memoria direi che fosse il sassofonista e che durante un concerto, forse in Canada, gli si sfondò il palco sotto ai piedi. Non mi metterò a googolare, ma fidatevi, era biondo, aveva due gambe e se ne fratturò una.
Tanto bastò per mandare a monte il Tour mondiale, compresa la tappa di Firenze.
Ecco che la possibilità di assistere allo stesso concerto fa innalzare a picco le nostre affinità, salvo poi vederle crollare subito dopo.
Gli organizzatori offrirono varie scelte per rimediare alle conseguenze della rottura dell'arto d'artista. Potevi restituire il biglietto e rientrare in possesso della vil pecunia, oppure potevi cambiare il biglietto con quello per un concerto di un altro se nella programmazione ti aggradava qualcosa. In ultimo potevi passare a ritirare un similticket stampato per l'occasione con una bella immagine di Tony Hadley al microfono e la scritta in stampatello "STO ASPETTANDO GLI SPANDAU".
Questa, ovviamente, era LA scelta da fare, non c'era alcuna soluzione alternativa a ficcarsi in tasca il tagliando che certificava la fedele attesa e, giustappunto, aspettare che il fenomeno di calcificazione alla tibia e al perone del biondino facesse la sua parte.
E così trascorse un anno durante il quale molti di noi se ne andavano in giro portando il biglietto nel portafogli. La gente andava al cine, a lavoro, al bar, dallo psicologo, si fidanzava, si lasciava, si sposava, s'insultava e s'abbracciava, tutto col tagliando "STO ASPETTANDO GLI SPANDAU" con sé. Qualcuno purtroppo moriva pure e quando i medici gli mettevano le mani nel portafogli alla ricerca della tessera dell'AIDO capitava che s'imbattessero nel faccione canterino di Hadley.
Fanculo, un altro cazzone che aspetta gli Spandau, ma dacci i reni, dacci!
Ho attraversato le barricate di un anno vissuto attendisticamente con pazienza, con fiducia e con sprezzo del pericolo. Ho atteso.
Dolcemetà invece no, non se la sentì di tenere immobilizzate ventimila lire di capitale per un lunghissimo anno e barattò la gallina della futura esperienza live sotto il palco degli Spandau con il misero uovo di un concertino di Pupo forse o, ad andarle proprio di lusso, degli A-ha (*).
Ma poi, son venuti questi Spandau?
(*) Lei sostiene di aver scambiato con il concerto di Eric Clapton, ma nel contesto del post non ci stava.
Patti Smith allo stadio, Vasco al velodromo delle Cascine, David Bowie allo stadio, Bennato a Porta Romana, Madonna allo stadio, la Rettore al teatro tenda, i Level 42 al palazzetto, Paolo Conte al Verdi, i Talk Talk al Tenax, Enzo Jannacci a Sesto, i Pink Floyd a Livorno. Niente, pare che avessimo esistenze e gusti musicali irrimediabilmente opposti e che i nostri fili non si sarebbero potuti intrecciare in una matassa anteriore (chissà con quali esiti, poi!).
Certo avevamo comprato entrambi il biglietto per il concerto degli Spandau Ballet, ma il fato volle disporre anche lì in altra maniera. Non potendo dividerci, il destino infame, agì intervenendo alla radice e causando addirittura l'annullamento del Tour.
Andò che il biondino della band si fratturò una gamba. A memoria direi che fosse il sassofonista e che durante un concerto, forse in Canada, gli si sfondò il palco sotto ai piedi. Non mi metterò a googolare, ma fidatevi, era biondo, aveva due gambe e se ne fratturò una.
Tanto bastò per mandare a monte il Tour mondiale, compresa la tappa di Firenze.
Ecco che la possibilità di assistere allo stesso concerto fa innalzare a picco le nostre affinità, salvo poi vederle crollare subito dopo.
Gli organizzatori offrirono varie scelte per rimediare alle conseguenze della rottura dell'arto d'artista. Potevi restituire il biglietto e rientrare in possesso della vil pecunia, oppure potevi cambiare il biglietto con quello per un concerto di un altro se nella programmazione ti aggradava qualcosa. In ultimo potevi passare a ritirare un similticket stampato per l'occasione con una bella immagine di Tony Hadley al microfono e la scritta in stampatello "STO ASPETTANDO GLI SPANDAU".
Questa, ovviamente, era LA scelta da fare, non c'era alcuna soluzione alternativa a ficcarsi in tasca il tagliando che certificava la fedele attesa e, giustappunto, aspettare che il fenomeno di calcificazione alla tibia e al perone del biondino facesse la sua parte.
E così trascorse un anno durante il quale molti di noi se ne andavano in giro portando il biglietto nel portafogli. La gente andava al cine, a lavoro, al bar, dallo psicologo, si fidanzava, si lasciava, si sposava, s'insultava e s'abbracciava, tutto col tagliando "STO ASPETTANDO GLI SPANDAU" con sé. Qualcuno purtroppo moriva pure e quando i medici gli mettevano le mani nel portafogli alla ricerca della tessera dell'AIDO capitava che s'imbattessero nel faccione canterino di Hadley.
Fanculo, un altro cazzone che aspetta gli Spandau, ma dacci i reni, dacci!
Ho attraversato le barricate di un anno vissuto attendisticamente con pazienza, con fiducia e con sprezzo del pericolo. Ho atteso.
Dolcemetà invece no, non se la sentì di tenere immobilizzate ventimila lire di capitale per un lunghissimo anno e barattò la gallina della futura esperienza live sotto il palco degli Spandau con il misero uovo di un concertino di Pupo forse o, ad andarle proprio di lusso, degli A-ha (*).
Ma poi, son venuti questi Spandau?
(*) Lei sostiene di aver scambiato con il concerto di Eric Clapton, ma nel contesto del post non ci stava.
Il sorpasso
Ve li ricordate Vittorio Gassman e Jean Louis Trintignant nel film di Risi?
Non dite di no che non sta bene, fate finta, semmai, abbozzate un'espressione d'apprezzamento e qualora non l'aveste davvero mai visto è meglio che non si sappia in giro.
"Chi è 'sta cicciona?"
"Mia mamma".
"Ah, perbacco, bella donna!"
Inarrivabile Gassman.
Anche Alessandro Gassman ha effettuato un sorpasso, nello specifico ha superato il sottoscritto nelle preferenze di dolcemetà, ma tanto lui chissà dov'è, e qua ci sto io a tenere salda la posizione.
Ma in realtà, il titolo e tutta 'sta manfrina, sono solo per segnalare lo storico sorpasso della Dieta Dukan ai danni delle figurine Panini tra tutte le bischerate di cui ho scritto sulla Linea.
D'altra parte il campionato è finito, la raccolta dei calciatori più o meno quasi, mentre la prova costume incombe, quindi, niente di così sorprendente.
Ma un po' mi spiace, ecco, anche se ho pensato di rendere onore a Dukan, nuovo primatista, offrendovi un Piccolo momento di trascurabile felicità con la lettura di questo pezzo in merito.
Non dite di no che non sta bene, fate finta, semmai, abbozzate un'espressione d'apprezzamento e qualora non l'aveste davvero mai visto è meglio che non si sappia in giro.
"Chi è 'sta cicciona?"
"Mia mamma".
"Ah, perbacco, bella donna!"
Inarrivabile Gassman.
Anche Alessandro Gassman ha effettuato un sorpasso, nello specifico ha superato il sottoscritto nelle preferenze di dolcemetà, ma tanto lui chissà dov'è, e qua ci sto io a tenere salda la posizione.
Ma in realtà, il titolo e tutta 'sta manfrina, sono solo per segnalare lo storico sorpasso della Dieta Dukan ai danni delle figurine Panini tra tutte le bischerate di cui ho scritto sulla Linea.
D'altra parte il campionato è finito, la raccolta dei calciatori più o meno quasi, mentre la prova costume incombe, quindi, niente di così sorprendente.
Ma un po' mi spiace, ecco, anche se ho pensato di rendere onore a Dukan, nuovo primatista, offrendovi un Piccolo momento di trascurabile felicità con la lettura di questo pezzo in merito.
20 maggio 2012
Buona domenikea
Questa pioggia ha rotto i coglioni, non tanto per l'acqua in sé, ma perché una domenica bagnata dalla mattina, senza una partita o un gran premio che ti possano salvare il culo, ti conduce di filato all'Ikea. L'alternativa è rimanere a casa e prepararsi ad affrontare l'ira crescente di dolcemetà, la quale, rinchiusa il dì di festa, avvicina per aspetto e pacatezza un Godzilla idrofobo.
E allora che Ikea sia, anche e soprattutto quando non ti serve niente!
L'aspetto terrificante della gimcana nei corridoi allestiti dai nostri amici svedesi non è il pericolo d'acquisire oggettistica varia, magari, è purtroppo il maturare della consapevolezza di avere già acquisito di tutto.
Giri sospinto dalla fiumana e se all'inizio ti dà quasi conforto rivedere la vecchia Billy, col passare dei prodotti conosciuti ti piglia male.
I bicchieri di plastica colorata, le insalatiere e le coppette, i tovagliolini di carta, le forbici, la grattugia, i mestoli, il colino, i sottovasi, le pile gialle, il tappeto in camerina, il tappeto per le macchinine, le bottiglie, i bicchieri, i taglieri, lo stendipasta, la coperta di pile, l'abat jour, il poster, la cornice di legno e quella d'acciaio, il letto, la sedia per il piccì, gli adesivi di Haring, il vassoio a fiori, il copriletto, il piumone, i guanciali, i contenitori in plastica per il frigo e quelli grandi per i giocattoli, il poggia notebook (novità), il tavolinetto Lack da 5 euri, l'expedit, la biscottiera, il sale e pepe, le tovagliette americane svedesi, i sottobicchieri, gli attrezzi nella scatola arancione, l'orologio modello stazione, le buste per la spesa, le stampelle in legno per gli abiti, le forchette che non infilzano, i coltelli che non tagliano, lo specchio adesivo, i cuscini da battaglia, i peluche orribili, i coccini, il trenino coi binari di legno, le ciabatte tarocche delle crocs tarocche (novità), l'affetta uovo sodo, il wok, le presine, le candeline mignon, lo scolapasta (brividi), lo schiaccianoci, le ceste in similvimini, il palo da tenda, il portaposate, il secchio dell'immondizia, il dispenser per sacchetti di plastica, il rotolo alla cannella, i biscotti colle lettere zigrinate, le patatine e, soprattutto, il fottutissimo riccio sempretraipiedi gonfiabile IKEA!
Va a finire che è normale se ti senti omologato e allora, nel regno dell'assemblaggio, ti può solo montare il nervoso.
Ma, per una tranquilla domenica piovosa, sempre meglio a te che a dolcemetà.
E allora che Ikea sia, anche e soprattutto quando non ti serve niente!
L'aspetto terrificante della gimcana nei corridoi allestiti dai nostri amici svedesi non è il pericolo d'acquisire oggettistica varia, magari, è purtroppo il maturare della consapevolezza di avere già acquisito di tutto.
Giri sospinto dalla fiumana e se all'inizio ti dà quasi conforto rivedere la vecchia Billy, col passare dei prodotti conosciuti ti piglia male.
I bicchieri di plastica colorata, le insalatiere e le coppette, i tovagliolini di carta, le forbici, la grattugia, i mestoli, il colino, i sottovasi, le pile gialle, il tappeto in camerina, il tappeto per le macchinine, le bottiglie, i bicchieri, i taglieri, lo stendipasta, la coperta di pile, l'abat jour, il poster, la cornice di legno e quella d'acciaio, il letto, la sedia per il piccì, gli adesivi di Haring, il vassoio a fiori, il copriletto, il piumone, i guanciali, i contenitori in plastica per il frigo e quelli grandi per i giocattoli, il poggia notebook (novità), il tavolinetto Lack da 5 euri, l'expedit, la biscottiera, il sale e pepe, le tovagliette americane svedesi, i sottobicchieri, gli attrezzi nella scatola arancione, l'orologio modello stazione, le buste per la spesa, le stampelle in legno per gli abiti, le forchette che non infilzano, i coltelli che non tagliano, lo specchio adesivo, i cuscini da battaglia, i peluche orribili, i coccini, il trenino coi binari di legno, le ciabatte tarocche delle crocs tarocche (novità), l'affetta uovo sodo, il wok, le presine, le candeline mignon, lo scolapasta (brividi), lo schiaccianoci, le ceste in similvimini, il palo da tenda, il portaposate, il secchio dell'immondizia, il dispenser per sacchetti di plastica, il rotolo alla cannella, i biscotti colle lettere zigrinate, le patatine e, soprattutto, il fottutissimo riccio sempretraipiedi gonfiabile IKEA!
Va a finire che è normale se ti senti omologato e allora, nel regno dell'assemblaggio, ti può solo montare il nervoso.
Ma, per una tranquilla domenica piovosa, sempre meglio a te che a dolcemetà.
17 maggio 2012
Stasera ho bestemmiato
Stasera ho bestemmiato. E ho pianto.
Poi ho pianto e bestemmiato. Ho anche avuto il potente impulso di prenderla a manate. Di spalancarle la bocca con la forza, di afferrarla per i capelli e sollevarle quella testa sempre china rivolta ai piedi. Sempre china, cazzo. Manco più uno sguardo vuoto, manco quello ci tocca.
Poi le ho gridato la mia disperazione in faccia. Che cazzo ti succede?, ho urlato, ma sapevo benissimo cosa le stava succedendo. Lo sapevo, eccome. Ma tutta la consapevolezza messa insieme in questi anni bui, durante il progredire malsano della decadenza, tutta questa consapevolezza si fa d’un tratto impalpabile, ti sfugge dalle dita come sabbia asciutta, si scioglie come zucchero filato in bocca e va così che perdi la testa lo stesso, anche se sei documentato più d'un medico, anche se sei tenacemente consapevole.
La perdi la testa, e se va bene bestemmi, e se va ancora meglio piangi.
La morte in confronto è un toccasana, un miraggio quasi. E non ci ho mai creduto davvero, quando l’ho sentito dire in giro, ma è così.
E ti chiedi cosa sei diventato se arrivi a desiderare la morte per chi ti ha dato la vita. Ma forse non sei diventato niente, forse era già tutto dentro di te pronto ad essere scoperchiato dall'acqua bollente. Cerchi di convincerti che tutta la rabbia che va a comporre il funesto desiderio, magari, scaturisce soltanto da un eccesso d’amore.
Poi ho detto a mio figlio che per favore mi sparasse nel caso dovessi essere colpito dalla stessa malattia di mia madre.
Sparami un colpo di pistola, gli ho detto, se divento come nonna.
Se ce l’ho, mi ha risposto.
Almeno questo.
Poi ho pianto e bestemmiato. Ho anche avuto il potente impulso di prenderla a manate. Di spalancarle la bocca con la forza, di afferrarla per i capelli e sollevarle quella testa sempre china rivolta ai piedi. Sempre china, cazzo. Manco più uno sguardo vuoto, manco quello ci tocca.
Poi le ho gridato la mia disperazione in faccia. Che cazzo ti succede?, ho urlato, ma sapevo benissimo cosa le stava succedendo. Lo sapevo, eccome. Ma tutta la consapevolezza messa insieme in questi anni bui, durante il progredire malsano della decadenza, tutta questa consapevolezza si fa d’un tratto impalpabile, ti sfugge dalle dita come sabbia asciutta, si scioglie come zucchero filato in bocca e va così che perdi la testa lo stesso, anche se sei documentato più d'un medico, anche se sei tenacemente consapevole.
La perdi la testa, e se va bene bestemmi, e se va ancora meglio piangi.
La morte in confronto è un toccasana, un miraggio quasi. E non ci ho mai creduto davvero, quando l’ho sentito dire in giro, ma è così.
E ti chiedi cosa sei diventato se arrivi a desiderare la morte per chi ti ha dato la vita. Ma forse non sei diventato niente, forse era già tutto dentro di te pronto ad essere scoperchiato dall'acqua bollente. Cerchi di convincerti che tutta la rabbia che va a comporre il funesto desiderio, magari, scaturisce soltanto da un eccesso d’amore.
Poi ho detto a mio figlio che per favore mi sparasse nel caso dovessi essere colpito dalla stessa malattia di mia madre.
Sparami un colpo di pistola, gli ho detto, se divento come nonna.
Se ce l’ho, mi ha risposto.
Almeno questo.
Occupy La Linea
Un centinaio di manifestanti stanotte ha invaso e occupato La Linea d'Hombre in segno di protesta.
La contestazione mira alla chiusura immediata del blog che, a detta dei rivoltosi, ha disatteso il suo stesso statuto.
Insomma, La Linea, che s'annunciava alla Blogosfera con l'altisonante motto Tutta fuffa o guasi è finita nel mirino di una protesta dura e violenta.
Intervistiamo il capo degli occupanti:
"Perché quest'azione?"
"Siamo stati costretti a intervenire perché La Linea sta monopolizzando la fuffa in circolazione e, almeno fino a che un governo sovranazionale non interverrà con una legge mirata e con l'istituzione dell'Antitrust della fuffa, faremo noi da garanti".
"Ma nello statuto della Linea si può leggere tutta fuffa o guasi".
"E infatti, peccato però che il guasi è chiaramente disatteso, qui il cazzeggio regna sovrano, lo dimostra il nuovo motto stampato sulla rivista clandestina La Giovine Linea!"
"E quale sarebbe, scusi?"
"Brevité, cazzeggité, fraternité! E ci scussassero i francesismi".
"E come pensate di risolvere, concretamente?"
"In primis saranno istituite le quote fuffa. La fuffa sarà spartita a priori e nessuno potrà immetterne sul mercato dei blog più della spettante quota".
"Ma oggi bloccare il flusso della fuffa appare quasi impossibile, c'è internet".
"Sì, ma noi ci stiamo già organizzando per una nuova azione: Occupy Polizia Postale grazie alla quale chiuderemo i maggiori siti che consentono download illegali come Fuffaupload, Fuffavideo, e Megafuffa."
Fuffanti, ritenetevi avvisati.
La contestazione mira alla chiusura immediata del blog che, a detta dei rivoltosi, ha disatteso il suo stesso statuto.
Insomma, La Linea, che s'annunciava alla Blogosfera con l'altisonante motto Tutta fuffa o guasi è finita nel mirino di una protesta dura e violenta.
Intervistiamo il capo degli occupanti:
"Perché quest'azione?"
"Siamo stati costretti a intervenire perché La Linea sta monopolizzando la fuffa in circolazione e, almeno fino a che un governo sovranazionale non interverrà con una legge mirata e con l'istituzione dell'Antitrust della fuffa, faremo noi da garanti".
"Ma nello statuto della Linea si può leggere tutta fuffa o guasi".
"E infatti, peccato però che il guasi è chiaramente disatteso, qui il cazzeggio regna sovrano, lo dimostra il nuovo motto stampato sulla rivista clandestina La Giovine Linea!"
"E quale sarebbe, scusi?"
"Brevité, cazzeggité, fraternité! E ci scussassero i francesismi".
"E come pensate di risolvere, concretamente?"
"In primis saranno istituite le quote fuffa. La fuffa sarà spartita a priori e nessuno potrà immetterne sul mercato dei blog più della spettante quota".
"Ma oggi bloccare il flusso della fuffa appare quasi impossibile, c'è internet".
"Sì, ma noi ci stiamo già organizzando per una nuova azione: Occupy Polizia Postale grazie alla quale chiuderemo i maggiori siti che consentono download illegali come Fuffaupload, Fuffavideo, e Megafuffa."
Fuffanti, ritenetevi avvisati.
16 maggio 2012
Avrei potuto vincere il Pulitzer
VRRRRRRRRRRRRR VRRRRRRRRRRRRR
C’ho i muratori in casa. VRRRRRRRRRRRRR
C’ho i muratori in casa che se ne approfittano solo perché legittimi possessori di un martellino. VRRRRRRRRRRRRR
Una roba un po’ da incubo. VRRRRRRRRRRRRR
Davvero, preferirei essere in una stanzetta all’Overlook Hotel. VRRRRRRRRRRRRR
E che io dovrei essere abituato ai muratori in casa, ne ho avuto uno fisso, finché è vissuto, mio padre. È diverso però se il muratore in questione ti deve educare o se ti deve disintegrare una parete. VRRRRRRRRRRRRR
Oggi mi ero alzato con la ferma intenzione di scrivere il post che mi sarebbe valso il pulitzer dei blogger ma ’sto rintronamento VRRRRRRRRRRRRR m’impedisce di portare a termine un pensiero creato.
Ci provo, non è che non ci provo.
Stasera cucinerò per il mio anniversario VRRRRRRRRRRRRR
L’ondata di suicidi sta provocando VRRRRRRRRRRRRR
Ieri ho letto un post stupendo di VRRRRRRRRRRRRR
La situazione politica italiana è VRRRRRRRRRRRRR
Il riscaldamento del pianeta VRRRRRRRRRRRRR
Fazio e Saviano non ci VRRRRRRRRRRRRR
Atene ormai VRRRRRRRRRRRRR
Hollande VRRRRRRRRRRRRR
I Lakers VRRRRRRRRRRRRR
Il Giro VRRRRRRRRRRRRR
Figa VRRRRRRRRRRRRR
Io VRRRRRRRRRRRRR
Epperò vengo sistematicamente risucchiato in un terrifico turbine acustico che mal si sposa col ragionare. VRRRRRRRRRRRRR
Polvere e Rumore, Ruggeri e la Carrà mi faranno compagnia tutto oggi VRRRRRRRRRRRRR e per diversi giorni a venire VRRRRRRRRRRRRR.
E quando i muratori aVRRRRRRRRRRRRRanno finito, so già che risulterò vincitore delle pulitzer di primavera.
C’ho i muratori in casa. VRRRRRRRRRRRRR
C’ho i muratori in casa che se ne approfittano solo perché legittimi possessori di un martellino. VRRRRRRRRRRRRR
Una roba un po’ da incubo. VRRRRRRRRRRRRR
Davvero, preferirei essere in una stanzetta all’Overlook Hotel. VRRRRRRRRRRRRR
E che io dovrei essere abituato ai muratori in casa, ne ho avuto uno fisso, finché è vissuto, mio padre. È diverso però se il muratore in questione ti deve educare o se ti deve disintegrare una parete. VRRRRRRRRRRRRR
Oggi mi ero alzato con la ferma intenzione di scrivere il post che mi sarebbe valso il pulitzer dei blogger ma ’sto rintronamento VRRRRRRRRRRRRR m’impedisce di portare a termine un pensiero creato.
Ci provo, non è che non ci provo.
Stasera cucinerò per il mio anniversario VRRRRRRRRRRRRR
L’ondata di suicidi sta provocando VRRRRRRRRRRRRR
Ieri ho letto un post stupendo di VRRRRRRRRRRRRR
La situazione politica italiana è VRRRRRRRRRRRRR
Il riscaldamento del pianeta VRRRRRRRRRRRRR
Fazio e Saviano non ci VRRRRRRRRRRRRR
Atene ormai VRRRRRRRRRRRRR
Hollande VRRRRRRRRRRRRR
I Lakers VRRRRRRRRRRRRR
Il Giro VRRRRRRRRRRRRR
Figa VRRRRRRRRRRRRR
Io VRRRRRRRRRRRRR
Epperò vengo sistematicamente risucchiato in un terrifico turbine acustico che mal si sposa col ragionare. VRRRRRRRRRRRRR
Polvere e Rumore, Ruggeri e la Carrà mi faranno compagnia tutto oggi VRRRRRRRRRRRRR e per diversi giorni a venire VRRRRRRRRRRRRR.
E quando i muratori aVRRRRRRRRRRRRRanno finito, so già che risulterò vincitore delle pulitzer di primavera.
14 maggio 2012
Error imprinting
Càpita che devo spostare il pupo perché s’è appisolato nel lettone o per depositarlo in bagno per l’ultima pipì. Insomma, se devo prenderlo in collo mentre dorme sodo, succede che mi chiedo, in una deriva paranoica ma nemmeno poi tanto, e se fosse un altro a tirarlo su, uno sconosciuto, lui sarebbe comunque così tranquillo?
C’è un momento, appena percettibile, quando lo alzo per caricarmelo addosso, in cui sento che sta in un limbo dal quale il suo inconscio e il suo sentire non hanno ancora preso posizione verso la mia invadente presenza.
Potrebbe urlare, picchiarmi, staccarmi le orecchie a morsi o scalciare, ma invece accade qualcosa, una piccola cosa della quale io non riesco a focalizzare né il nucleo né i confini, ma sento che accade, ne percepisco la vibrazione. È l’attimo in cui il suo sonar interno scandaglia le mie braccia, il mio corpo e la mia pelle e riconsegna al comando centrale una risposta.
Un esito per niente scontato, elaborato dai suoi ricettori olfattivi (forse), uditivi (forse), e tattili (forse).
Anche se quello che mi piace pensare è che la decisione di mollare gli ormeggi e abbandonarsi al mio abbraccio confortante e sicuro, la decisione di stringermi forte pur non aprendo gli occhi, altro non sia che il moto di un istinto, di un’identità genetica e di una comprensione che va oltre il babbo compagno di giochi e si avvicina con un’iperbole al riconoscimento della propria madre.
Ecco, è quello il momento che riesco a immaginare più vicino a sentirsi mamma.
C’è un momento, appena percettibile, quando lo alzo per caricarmelo addosso, in cui sento che sta in un limbo dal quale il suo inconscio e il suo sentire non hanno ancora preso posizione verso la mia invadente presenza.
Potrebbe urlare, picchiarmi, staccarmi le orecchie a morsi o scalciare, ma invece accade qualcosa, una piccola cosa della quale io non riesco a focalizzare né il nucleo né i confini, ma sento che accade, ne percepisco la vibrazione. È l’attimo in cui il suo sonar interno scandaglia le mie braccia, il mio corpo e la mia pelle e riconsegna al comando centrale una risposta.
Un esito per niente scontato, elaborato dai suoi ricettori olfattivi (forse), uditivi (forse), e tattili (forse).
Anche se quello che mi piace pensare è che la decisione di mollare gli ormeggi e abbandonarsi al mio abbraccio confortante e sicuro, la decisione di stringermi forte pur non aprendo gli occhi, altro non sia che il moto di un istinto, di un’identità genetica e di una comprensione che va oltre il babbo compagno di giochi e si avvicina con un’iperbole al riconoscimento della propria madre.
Ecco, è quello il momento che riesco a immaginare più vicino a sentirsi mamma.
13 maggio 2012
That's the story of the...
Tutti stanno a guardare la ragazzina bionda poggiata al calcino.
I pischelli urlano, si disperano, fanno la ruota, bestemmiano e danzano attorno a una partita che non finisce mai, pur di farsi notare dalla ragazzina bionda.
Eppure stona, pensa Pietro, qui in piscina, alle due di pomeriggio con i capelli ancora asciutti.
Dev'essere una di quelle che fa il bagno in punta di piedi, tutta gridolini. Che non la schizzino, che non le bagnino la chioma solare.
Invece lui si è innamorato dell'amica, quella che pare non la fili nessuno.
Appena uscita dall'acqua, è seduta, con la mano destra regge un ghiacciolo, mentre con la sinistra ripete un paio di volte un movimento sinuoso: partendo dalla fronte, si accarezza la testa intanto che la piega all'indietro, fa scivolare le dita sui capelli bagnati, per poi stringerle a imbuto attorno, fino giù, sotto al collo, appena dietro la spalla sinistra. Ne strizza fuori minute gocce d'acqua che vanno a disegnare la sua schiena, come pioggia sul vetro di una serra.
Poi si accorge di Pietro, gli rivolge uno sguardo e lui abbassa gli occhi di ragazzo.
La musica diffusa dal jukebox spande note magiche e all'assolo di armonica lei chiude gli occhi e dondola la testa in un ritmo pigro e seducente.
Fortuna che tutti si azzannano ancora per la biondina.
Pietro è seduto poco più in là, si alza e passa dal jukebox per scoprire qual è il titolo di questa canzone che gli pare così strepitosa da non averne mai sentite uguali. Ha deciso che sarà la canzone più bella della sua vita, quella che ancora tirerà fuori dai pozzi della memoria quando a settant'anni i suoi nipoti, con l'aria schifata, gli chiederanno se c'era della musica che valesse la pena d'essere ascoltata ai suoi tempi.
Stanno ancora tutti lì addannandosi al calcino, parlando come i grandi, toccandosi i ciuffi e occhieggiando i rigonfi lievi sotto al costume a fiori della ragazzina bionda.
L'amica lo vedi che si sta annoiando e Pietro non ha il fiato per fare un passo verso di lei, non ha il coraggio per smozzicarle manco mezza frase insulsa, nulla.
Allora si alza e va al jukebox, butta giù una centolire e preme H13 incendiando un pomeriggio della sua vita. Non sa niente di quella canzone, non ancora, non ne conosce il testo o il genere, a malapena l'autore, ma sa che se piace a lei allora è una canzone d'amore per forza.
Quando il pezzo attacca e irrompe nuovamente a bordo vasca, lei si volta a cercare il viso dell'angelo che l'ha messa su. C'è Pietro impalato davanti al jukebox e lei gli manda un sorriso, lieve come un soffio, ma che arriva dal ragazzo con la forza di un uragano.
(Dal minuto 2:05 la sonorità originale)
I pischelli urlano, si disperano, fanno la ruota, bestemmiano e danzano attorno a una partita che non finisce mai, pur di farsi notare dalla ragazzina bionda.
Eppure stona, pensa Pietro, qui in piscina, alle due di pomeriggio con i capelli ancora asciutti.
Dev'essere una di quelle che fa il bagno in punta di piedi, tutta gridolini. Che non la schizzino, che non le bagnino la chioma solare.
Invece lui si è innamorato dell'amica, quella che pare non la fili nessuno.
Appena uscita dall'acqua, è seduta, con la mano destra regge un ghiacciolo, mentre con la sinistra ripete un paio di volte un movimento sinuoso: partendo dalla fronte, si accarezza la testa intanto che la piega all'indietro, fa scivolare le dita sui capelli bagnati, per poi stringerle a imbuto attorno, fino giù, sotto al collo, appena dietro la spalla sinistra. Ne strizza fuori minute gocce d'acqua che vanno a disegnare la sua schiena, come pioggia sul vetro di una serra.
Poi si accorge di Pietro, gli rivolge uno sguardo e lui abbassa gli occhi di ragazzo.
La musica diffusa dal jukebox spande note magiche e all'assolo di armonica lei chiude gli occhi e dondola la testa in un ritmo pigro e seducente.
Fortuna che tutti si azzannano ancora per la biondina.
Pietro è seduto poco più in là, si alza e passa dal jukebox per scoprire qual è il titolo di questa canzone che gli pare così strepitosa da non averne mai sentite uguali. Ha deciso che sarà la canzone più bella della sua vita, quella che ancora tirerà fuori dai pozzi della memoria quando a settant'anni i suoi nipoti, con l'aria schifata, gli chiederanno se c'era della musica che valesse la pena d'essere ascoltata ai suoi tempi.
Stanno ancora tutti lì addannandosi al calcino, parlando come i grandi, toccandosi i ciuffi e occhieggiando i rigonfi lievi sotto al costume a fiori della ragazzina bionda.
L'amica lo vedi che si sta annoiando e Pietro non ha il fiato per fare un passo verso di lei, non ha il coraggio per smozzicarle manco mezza frase insulsa, nulla.
Allora si alza e va al jukebox, butta giù una centolire e preme H13 incendiando un pomeriggio della sua vita. Non sa niente di quella canzone, non ancora, non ne conosce il testo o il genere, a malapena l'autore, ma sa che se piace a lei allora è una canzone d'amore per forza.
Quando il pezzo attacca e irrompe nuovamente a bordo vasca, lei si volta a cercare il viso dell'angelo che l'ha messa su. C'è Pietro impalato davanti al jukebox e lei gli manda un sorriso, lieve come un soffio, ma che arriva dal ragazzo con la forza di un uragano.
(Dal minuto 2:05 la sonorità originale)
10 maggio 2012
Un carciofo ci salverà
Per anni, dall'adolescenza in poi, bene o male da quando ho imparato a riconoscere lo stress, l'ho accumulato. Cose da fare, da pensare, da mettere in fila nella gestione della vita in un trend esponenziale di preoccupazioni.
Scuola, militare, relazioni, lavoro, matrimonio, figli, separazione, tutto contribuiva all'innalzamento progressivo dell'asticella dello stress scaraventandola ad anniluce di distanza dai pomeriggi infantili trascorsi giocando a macchinine.
Non c'era verso di azzerarlo il To Do mentale, per una voce che spuntavi altre se ne aggiungevano a formare un conglomerato d'impegni all'apparenza inattaccabile. Il carciofo e le sue foglie.
Me l'ha spiegato una tizia (*), un giorno, che l'unico modo per affrontarle e vincerle, le cose da fare, consisteva nell'adottare l'attacco a foglia di carciofo.
Hai mangiato un carciofo in pinzimonio? Stacchi una foglia, poi un'altra e via così. E quando mangi le prime 5 o 6 il volume del carciofo appare intatto, non sembra che l'ortaggio ne risenta.
Con le prime voci del To Do che porti a compimento è lo stesso, non ti danno tutta quella soddisfazione perché tante ne restano da sminestrare, e il fardello di preoccupazioni non sembra sgonfiarsi.
Basta continuare, però, tirare avanti con una manciata di fiducia, e i risultati arrivano. Tirando via altre foglie inizi a ridurre l'ammasso, poi sempre più veloce, in quattro e quattr'otto eccoti al nucleo, ogni altra foglia che strappi infligge un colpo ferale alla tua vecchia lista ansiogena.
E quando arrivi al cuore del carciofo è fatta, è la parte migliore e te la puoi gustare in santa pace: il To Do è defunto sotto una sfilza di spunte.
In alcune fasi della vita, tipo questa per me, il cacchio di carciofo, però, sembra addirittura che si rafforzi, oltre la sua naturale forma e dimensione, con un germogliare di foglie all'esterno in una difesa strenua del nucleo e in ostacolo alla tua serenità. Foglie anche spinose, maledette!
Ma se è vero che anche il viaggio più lungo inizia dal primo passo è lampante che tu debba semplicemente aggredire la prima foglia per andare in culo al logorio della vita moderna.
(*) Poi la tizia è andata a finire che l'ho sposata e quando è capitato l'occasione le ho pure rivenduto la regola del carciofo e le sue foglie.
Scuola, militare, relazioni, lavoro, matrimonio, figli, separazione, tutto contribuiva all'innalzamento progressivo dell'asticella dello stress scaraventandola ad anniluce di distanza dai pomeriggi infantili trascorsi giocando a macchinine.
Non c'era verso di azzerarlo il To Do mentale, per una voce che spuntavi altre se ne aggiungevano a formare un conglomerato d'impegni all'apparenza inattaccabile. Il carciofo e le sue foglie.
Me l'ha spiegato una tizia (*), un giorno, che l'unico modo per affrontarle e vincerle, le cose da fare, consisteva nell'adottare l'attacco a foglia di carciofo.
Hai mangiato un carciofo in pinzimonio? Stacchi una foglia, poi un'altra e via così. E quando mangi le prime 5 o 6 il volume del carciofo appare intatto, non sembra che l'ortaggio ne risenta.
Con le prime voci del To Do che porti a compimento è lo stesso, non ti danno tutta quella soddisfazione perché tante ne restano da sminestrare, e il fardello di preoccupazioni non sembra sgonfiarsi.
Basta continuare, però, tirare avanti con una manciata di fiducia, e i risultati arrivano. Tirando via altre foglie inizi a ridurre l'ammasso, poi sempre più veloce, in quattro e quattr'otto eccoti al nucleo, ogni altra foglia che strappi infligge un colpo ferale alla tua vecchia lista ansiogena.
E quando arrivi al cuore del carciofo è fatta, è la parte migliore e te la puoi gustare in santa pace: il To Do è defunto sotto una sfilza di spunte.
In alcune fasi della vita, tipo questa per me, il cacchio di carciofo, però, sembra addirittura che si rafforzi, oltre la sua naturale forma e dimensione, con un germogliare di foglie all'esterno in una difesa strenua del nucleo e in ostacolo alla tua serenità. Foglie anche spinose, maledette!
Ma se è vero che anche il viaggio più lungo inizia dal primo passo è lampante che tu debba semplicemente aggredire la prima foglia per andare in culo al logorio della vita moderna.
(*) Poi la tizia è andata a finire che l'ho sposata e quando è capitato l'occasione le ho pure rivenduto la regola del carciofo e le sue foglie.
9 maggio 2012
Non di solo panuozzo vive l'uomo (purtroppo)
Ci sono esperienze che valgono un post e altre che varrebbero un blog intero.
Tra le prime, le avventure di Grugnino maialino che continua a riscuotere un successo inusitato all'autogrill: su 10 persone che transitano, 5 gli danno una strizzata e 1 se lo compra (il campione era comunque ristretto a 10 elementi).
Tra le seconde, invece, ci sta il panuozzo di Pizza Man.
Pizza Man, a Firenze, è una sorta di mini catena di pizzerie che fanno capo a Pasquale Pometto.
Diciamolo, Pasquale, il nome fa schifo, non ti sei sforzato un granché.
Il man, quello vero, quello anglofono, la pizza non è degno nemmeno di nominarla.
Ogni altro cazzoso nome, magari italiano, meglio ancora meridionale sarebbe andato bene. Pure pizza Hombre si sarebbe guadagnato una sufficienza, seppur stiracchiata.
Ma Pizza Man, non si può sentire, ma tant'è, indietro non si torna.
Epperò Pasquale fa una pizza speciale che dopo 3 o 4 morsi ti fa dimenticare il nome assurdo dell'insegna, come ti chiami e soprattutto che ci siano altri cibi al mondo.
Avete presente quando nelle serate di svacco con gli amici si parte con quelle domande assurde del tipo ma te, te, su un'isola deserta, dovessi portare un solo alimento che ti porteresti?
Finora ho sempre risposto spaghetti al pomodoro, ma ho deciso di cambiare dopo l'esperienza mistica di stasera: il panuozzo di Pizza Man.
Se proprio non abitate ad Auckland, vi consiglio di farci un salto.
p.s. Dukan nei tag l'ho messo a spregio.
Tra le prime, le avventure di Grugnino maialino che continua a riscuotere un successo inusitato all'autogrill: su 10 persone che transitano, 5 gli danno una strizzata e 1 se lo compra (il campione era comunque ristretto a 10 elementi).
Tra le seconde, invece, ci sta il panuozzo di Pizza Man.
Pizza Man, a Firenze, è una sorta di mini catena di pizzerie che fanno capo a Pasquale Pometto.
Diciamolo, Pasquale, il nome fa schifo, non ti sei sforzato un granché.
Il man, quello vero, quello anglofono, la pizza non è degno nemmeno di nominarla.
Ogni altro cazzoso nome, magari italiano, meglio ancora meridionale sarebbe andato bene. Pure pizza Hombre si sarebbe guadagnato una sufficienza, seppur stiracchiata.
Ma Pizza Man, non si può sentire, ma tant'è, indietro non si torna.
Epperò Pasquale fa una pizza speciale che dopo 3 o 4 morsi ti fa dimenticare il nome assurdo dell'insegna, come ti chiami e soprattutto che ci siano altri cibi al mondo.
Avete presente quando nelle serate di svacco con gli amici si parte con quelle domande assurde del tipo ma te, te, su un'isola deserta, dovessi portare un solo alimento che ti porteresti?
Finora ho sempre risposto spaghetti al pomodoro, ma ho deciso di cambiare dopo l'esperienza mistica di stasera: il panuozzo di Pizza Man.
Se proprio non abitate ad Auckland, vi consiglio di farci un salto.
p.s. Dukan nei tag l'ho messo a spregio.
8 maggio 2012
Non ci casco
Ho comprato un nuovo casco, invero un po' da finocchio.
È questo. Si chiama Peace & Love. Ed è... dorato (leggere con inflessione da ciambella alla Homer Simpson).
Non è l'unico accessorio, del quale mi sono dotato ultimamente, che mi sta proiettando agli occhi pubblici - e meno attenti - nell'universo della gaiezza.
Ho un borsello, sì, anche. Ne volevo uno in pelle, ma la donna di casa ha prima messo il veto per poi regalarmene uno nero, sportivo, ma sempre borsello resta. Non siamo ancora tornati ai drappelli di uomini col borsello degli anni settanta e per portarlo in giro a tracollina ci vuole una discreta personalità.
Poi, vabbè, c'è pure che mi sono messo a cucinare per non perdere di vista l'obiettivo n. 8 della lista 2012 e che ho preso quella mezza scuffia là per Ryan.
Baideuei, tornando al casco, pur avendolo preso a prezzo stracciato da una collega che l'aveva vinto a non so bene che lotteria, ma la cui testa ci sguazzava, ho sganciato della pecunia per averlo e quindi lo devo ammortizzare, o con una caduta - Dio o chi per lui non voglia! - o indossandolo per svariati annetti.
Epperò, epperò c'è un problemino: quando me lo tolgo mi ritrovo la riga di una cucitura tipo impressa a fuoco su tutto l'arco frontale, da tempia a tempia.
Sembra proprio che mi abbiano sottoposto a un'operazione scoperchiandomi il capoccione, modello trapianto di cervello in Gamma. Vi ricordate Gamma? No? Vabbè.
Insomma, immaginatemi in una riunione dove arrivo, magari in giacca e cravatta, con le 64 slide nella USB e la calotta cranica appena rincollata. I partecipanti possono solo sperare che non mi abbiano impiantato il cervello del buon vecchio A.B. Qualcosa.
È questo. Si chiama Peace & Love. Ed è... dorato (leggere con inflessione da ciambella alla Homer Simpson).
Non è l'unico accessorio, del quale mi sono dotato ultimamente, che mi sta proiettando agli occhi pubblici - e meno attenti - nell'universo della gaiezza.
Ho un borsello, sì, anche. Ne volevo uno in pelle, ma la donna di casa ha prima messo il veto per poi regalarmene uno nero, sportivo, ma sempre borsello resta. Non siamo ancora tornati ai drappelli di uomini col borsello degli anni settanta e per portarlo in giro a tracollina ci vuole una discreta personalità.
Poi, vabbè, c'è pure che mi sono messo a cucinare per non perdere di vista l'obiettivo n. 8 della lista 2012 e che ho preso quella mezza scuffia là per Ryan.
Baideuei, tornando al casco, pur avendolo preso a prezzo stracciato da una collega che l'aveva vinto a non so bene che lotteria, ma la cui testa ci sguazzava, ho sganciato della pecunia per averlo e quindi lo devo ammortizzare, o con una caduta - Dio o chi per lui non voglia! - o indossandolo per svariati annetti.
Epperò, epperò c'è un problemino: quando me lo tolgo mi ritrovo la riga di una cucitura tipo impressa a fuoco su tutto l'arco frontale, da tempia a tempia.
Sembra proprio che mi abbiano sottoposto a un'operazione scoperchiandomi il capoccione, modello trapianto di cervello in Gamma. Vi ricordate Gamma? No? Vabbè.
Insomma, immaginatemi in una riunione dove arrivo, magari in giacca e cravatta, con le 64 slide nella USB e la calotta cranica appena rincollata. I partecipanti possono solo sperare che non mi abbiano impiantato il cervello del buon vecchio A.B. Qualcosa.
7 maggio 2012
Traduttori Selvaggi
- Salve, Agente Stowe, come state? - disse Jack con la sua caratteristica R moscia.
Questo si leggeva nella traduzione di un romanzo inglese degli anni 30. Era la R di How are you, ovviamente, che si era persa, ma chi aveva riportato il testo in italiano aveva tradotto alla lettera, senza prendere in considerazione ipotesi del tipo "Salve, agente Stowe, come butta il raffreddore?".
Leggendo Cavalli Selvaggi, di Cormac McCarthy, mi sono imbattuto in questo dialogo, tra John Grady Cole, americano che sa parlare anche in spagnolo, e un comandante di Polizia messicano che non capisce la lingua di John:
- Dov'è Rawlins?
- Prego?
- Donde està mi compadre?
- Ti sta aspettando là fuori.
- Dove ci mandate?
- Vi mandiamo via, a casa.
- Quando?
- Prego?
- Cuando?
Peccato che il quando italiano abbia una sonorità in tutto simile al cuando spagnolo e il secondo "Prego?" del comandante di Polizia, in quel contesto, diventa superfluo.
Questo si leggeva nella traduzione di un romanzo inglese degli anni 30. Era la R di How are you, ovviamente, che si era persa, ma chi aveva riportato il testo in italiano aveva tradotto alla lettera, senza prendere in considerazione ipotesi del tipo "Salve, agente Stowe, come butta il raffreddore?".
Leggendo Cavalli Selvaggi, di Cormac McCarthy, mi sono imbattuto in questo dialogo, tra John Grady Cole, americano che sa parlare anche in spagnolo, e un comandante di Polizia messicano che non capisce la lingua di John:
- Dov'è Rawlins?
- Prego?
- Donde està mi compadre?
- Ti sta aspettando là fuori.
- Dove ci mandate?
- Vi mandiamo via, a casa.
- Quando?
- Prego?
- Cuando?
Peccato che il quando italiano abbia una sonorità in tutto simile al cuando spagnolo e il secondo "Prego?" del comandante di Polizia, in quel contesto, diventa superfluo.
6 maggio 2012
Volta la carta
Se è vero che tutto ha un senso, ce l’avrà pure la carta da culo.
E il senso, in un tradizionale porta-carta-igienica, è questo.
Il rotolo si deve sbobinare da dietro, girando, e così chi lo cambia lo deve riposizionare. Almeno, a casa mia d'origine, è sempre stato così. Il motivo è semplice: si sbobina meglio e al momento dello strattone si recide perfettamente, nell’altro modo rischi di trovarti il rotolo che frulla come la mediana impazzita di un calciobalilla svolgendo la carta per tutta la casa, senza nemmeno poter incolpare il cagnolino.
Questo invece è il modo errato di mettere la carta o, più precisamente, il modo che piace a mia moglie.
Tu puoi pure dire che lo preferisci o che è meglio o inventarti una teoria, una relazione, un algoritmo (e qualcuno l'ha già fatto!) che lo giustifichi, ma sempre il modo sbagliato resterà.
E quindi, ti prego, non t'incaponire, goditi questo pezzo: volta la carta e facciamola finita.
E non pensate che, nonostante stiamo qui, in una landa del cazzeggio, quest'argomento sia facilmente catalogabile come fuffa. Magari.
Purtroppo così non è, pare proprio che fior di studiosi e psicologi abbiano applicato il loro ingegno per trovare un senso anche all'orientamento della carta, ma non vi ammorberò oltre se non con un paio di link iperfacoltativi che vi potete cliccare come no e siamo in pari lo stesso.
Sappiate solo che pare, e ripeto pare, che la maggioranza preferisca lo srotolamento da davanti, ma lo sappiamo bene che la ragione non è dei più.
Se invece capite di rotazioni e di vettori potete pure curiosare qui.
E voi come sbobinate, da sopra o da sotto?
E il senso, in un tradizionale porta-carta-igienica, è questo.
Il rotolo si deve sbobinare da dietro, girando, e così chi lo cambia lo deve riposizionare. Almeno, a casa mia d'origine, è sempre stato così. Il motivo è semplice: si sbobina meglio e al momento dello strattone si recide perfettamente, nell’altro modo rischi di trovarti il rotolo che frulla come la mediana impazzita di un calciobalilla svolgendo la carta per tutta la casa, senza nemmeno poter incolpare il cagnolino.
Questo invece è il modo errato di mettere la carta o, più precisamente, il modo che piace a mia moglie.
Tu puoi pure dire che lo preferisci o che è meglio o inventarti una teoria, una relazione, un algoritmo (e qualcuno l'ha già fatto!) che lo giustifichi, ma sempre il modo sbagliato resterà.
E quindi, ti prego, non t'incaponire, goditi questo pezzo: volta la carta e facciamola finita.
E non pensate che, nonostante stiamo qui, in una landa del cazzeggio, quest'argomento sia facilmente catalogabile come fuffa. Magari.
Purtroppo così non è, pare proprio che fior di studiosi e psicologi abbiano applicato il loro ingegno per trovare un senso anche all'orientamento della carta, ma non vi ammorberò oltre se non con un paio di link iperfacoltativi che vi potete cliccare come no e siamo in pari lo stesso.
Sappiate solo che pare, e ripeto pare, che la maggioranza preferisca lo srotolamento da davanti, ma lo sappiamo bene che la ragione non è dei più.
Se invece capite di rotazioni e di vettori potete pure curiosare qui.
E voi come sbobinate, da sopra o da sotto?
3 maggio 2012
C'è da stupirsi
La primavera ha tuttora un potere straordinario su di me, ogni anno mi stupisce, così come la stupidità delle persone, ogni volta che si manifesta. La radice etimologica è la stessa (da stupeo – son stordito, sono attonito), sarà per quello.
Eppure non dovrei stupirmi, ho un’età. Io ne ho viste di cose, pur rimanendo a distanza di sicurezza dalle porte di Tannähuser, ma la stupidità, quella pura, senza una radice logica, quella che spunta priva di senso come gramigna sull’autostrada, quella stupidità mi lascia sempre senza fiato.
Sono come un bimbo davanti a un trenino.
Poi però sorrido, penso che non è possibile, classifico il fenomeno come frutto di un allineamento irripetibile di pianeti e, quindi, sono di nuovo pronto a stupirmi: vergine e penetrabile dal prossimo, immancabile atto della stupidità umana.
Son fatto così, e un po’ mi dispiace.
p.s. Non mi somiglia manco pe' gnente, semmai al Rampizzi.
Eppure non dovrei stupirmi, ho un’età. Io ne ho viste di cose, pur rimanendo a distanza di sicurezza dalle porte di Tannähuser, ma la stupidità, quella pura, senza una radice logica, quella che spunta priva di senso come gramigna sull’autostrada, quella stupidità mi lascia sempre senza fiato.
Sono come un bimbo davanti a un trenino.
Poi però sorrido, penso che non è possibile, classifico il fenomeno come frutto di un allineamento irripetibile di pianeti e, quindi, sono di nuovo pronto a stupirmi: vergine e penetrabile dal prossimo, immancabile atto della stupidità umana.
Son fatto così, e un po’ mi dispiace.
p.s. Non mi somiglia manco pe' gnente, semmai al Rampizzi.
1 maggio 2012
Londra - the traffic light
GREEN
Siamo sullo Stanstead Express, in arrivo a Londra, e giunge la notizia della Fiorentina che batte la Roma, evvai!
In città si respira già un'aria olimpica.
Piove, ma anche quando piove Londra ha il suo fascino e non ti lascia mai in braghe di tela. Millemila musei, librerie, gallerie, teatri sono pronti ad accoglierti all'asciutto, spesso anche aggratis.
Il Lem, la Capsula dell'Apollo 10, la locomotiva di Stephenson al museo delle Scienze, sempre gratis. La Magna Charta, i quaderni di Leonardo, l'Alice di Carroll e il St Cuthbert Gospel alla British Library, sempre gratis.
La cultura non la paghi a Londra, la sostieni se vuoi.
Ah, se potete, spargete le mie ceneri nella Great Court del British, sotto a quel tetto.
Ma la cultura non è tutto, ci siamo divertiti sulle tracce di Harry Potter, visitando le location di famosi film o inseguendo le briciole di pane lasciate dai Beatles.
Dinosauri, e ho detto tutto, con bambini al seguito non è davvero un problema stilare un programma che li accontenti.
Alla Tate ho visto idee stepitose realizzate con ingegno, come questa.
In giro si può mangiare italiano, cinese, greco, turco, giapponese, indiano, francese e tutto questo in cento metri di strada.
Continua a piovere ma davanti a St Paul puoi comprare un ombrello a 2,99 sterline.
Abbiamo mangiucchiato e sbevazzato senza soluzione di continuità negli Starbucks, nei Costa, nei Caffè Nero, nei Le Pain Quotidien, nei Pret a Manger, cappuccini deliziosi e tramezzini impagabili.
D'italiani è pieno e fa piacere ascoltare le loro voci, scambiare due chiacchiere e sentirsi un po' a casa.
E nelle ore di sole che abbiamo avuto siamo pure riusciti a goderci delle passeggiate nei parchi e a ingraziarci qualche scoiattolino con il pancarrè preso in albergo.
A proposito, l'albergo non era proprio il top, ma Londra è talmente bella che, pur di starci, alloggerei anche sotto il Ponte dei Frati Neri, in compagnia del fantasma di Calvi.
RED
Ho l'acqua fino ai coglioni e gli scoiattoli che mi escono dalle orecchie, cazzo.
Scoiattoli rimbambiti che privilegiano farsi addomesticare in una metropoli piuttosto che fuggire nella Foresta Nera o scendere in underground a Green Park e stendersi sui binari alla ricerca di una morte dignitosa.
Mancano ancora tre mesi alle Olimpiadi ma i cinque cerchi ti ammorbano da ogni dove.
Piove e gli inglesi pazzoidi se ne vanno in giro senza ombrello e senza impermeabile.
Noi le stronzate le abbiamo fatte tutte, dal carrello del binario 9 e 3/4 alla foto coi due piedi a cavallo del Meridiano di Greenwich (che a pensarci ho un meridiano pure qui a due passi da casa), dalla passeggiata sulle orme di Hugh Grant e Julia Roberts in Notting Hill alle foto di noi con le cabine telefoniche rosse.
Mancava soltanto di andare ad Abbey Road a farsi investire sulle strisce pedonali più famose del mondo e si chiudeva il cerchio.
Al pompatissimo museo di Storia Naturale attirano i gonzi con il ruggito di un T-Rex che non spaventa neppure un bambinello di due anni, ormai. Ci sono centinaia di esperimenti da fare, solo e dannatamente descritti in lingua inglese, spesso anche con termini tecnici, tanto che a un certo punto sento il giubilo dei miei che esclamano "Ehi, una bilancia!", era l'unica cosa che sapevamo usare.
Al museo delle Scienze, coda improponibile per l'unico spettacolo degno: il simulatore di volo.
Alla Tate, va detto, ci sono opere con le quali i loro autori non solo ci prendono per il culo, ma ci dichiarano anche espressamente "ti sto prendendo per il culo, tu lo sai, ma io lo faccio lo stesso".
E quando in giro paghi? Spendi 10 sterline e 29 penny, gli dai 20 e gli fai 'spetta che ti do i 29, ma quelli ti hanno già riversato in mano 9 cazzose sterline e 71 penny. Non un cane che sappia razionalizzare un resto, non uno.
E per mangiare? Ma qual è la specialità inglese? Pare che bevano e basta gli Inglesi, mangiare tipico non pervenuto.
Eccoli lì, tutti che se ne vanno in giro con il bicchierone di carta riempito fino all'orlo di bevande tendenti al marrone, ustionanti e per lo più imbevibili, ma fa fico e allora si fa, in metro, sulle scale mobili e per strada. E devi stare attento a come parli perché è fitto d'italiani che nemmeno al mercato delle Cascine il martedì.
Si chiude in pioggia con le chiuse a Camden Town, acqua di sopra e acqua di sotto.
E lasciamo stare gli ombrelli, hanno una durata media di 22 ore.
E l'arte, quella vera, sta al cesso.
Siamo sullo Stanstead Express, in partenza da Londra, e giunge la notizia della Fiorentina che ha perso coll'Atalanta, fanculo.
P.s. io ho pisciato nell'ultimo a destra, tanto per la cronaca.
Siamo sullo Stanstead Express, in arrivo a Londra, e giunge la notizia della Fiorentina che batte la Roma, evvai!
In città si respira già un'aria olimpica.
Piove, ma anche quando piove Londra ha il suo fascino e non ti lascia mai in braghe di tela. Millemila musei, librerie, gallerie, teatri sono pronti ad accoglierti all'asciutto, spesso anche aggratis.
Il Lem, la Capsula dell'Apollo 10, la locomotiva di Stephenson al museo delle Scienze, sempre gratis. La Magna Charta, i quaderni di Leonardo, l'Alice di Carroll e il St Cuthbert Gospel alla British Library, sempre gratis.
La cultura non la paghi a Londra, la sostieni se vuoi.
Ah, se potete, spargete le mie ceneri nella Great Court del British, sotto a quel tetto.
Ma la cultura non è tutto, ci siamo divertiti sulle tracce di Harry Potter, visitando le location di famosi film o inseguendo le briciole di pane lasciate dai Beatles.
Dinosauri, e ho detto tutto, con bambini al seguito non è davvero un problema stilare un programma che li accontenti.
Alla Tate ho visto idee stepitose realizzate con ingegno, come questa.
In giro si può mangiare italiano, cinese, greco, turco, giapponese, indiano, francese e tutto questo in cento metri di strada.
Continua a piovere ma davanti a St Paul puoi comprare un ombrello a 2,99 sterline.
Abbiamo mangiucchiato e sbevazzato senza soluzione di continuità negli Starbucks, nei Costa, nei Caffè Nero, nei Le Pain Quotidien, nei Pret a Manger, cappuccini deliziosi e tramezzini impagabili.
D'italiani è pieno e fa piacere ascoltare le loro voci, scambiare due chiacchiere e sentirsi un po' a casa.
E nelle ore di sole che abbiamo avuto siamo pure riusciti a goderci delle passeggiate nei parchi e a ingraziarci qualche scoiattolino con il pancarrè preso in albergo.
A proposito, l'albergo non era proprio il top, ma Londra è talmente bella che, pur di starci, alloggerei anche sotto il Ponte dei Frati Neri, in compagnia del fantasma di Calvi.
RED
Ho l'acqua fino ai coglioni e gli scoiattoli che mi escono dalle orecchie, cazzo.
Scoiattoli rimbambiti che privilegiano farsi addomesticare in una metropoli piuttosto che fuggire nella Foresta Nera o scendere in underground a Green Park e stendersi sui binari alla ricerca di una morte dignitosa.
Mancano ancora tre mesi alle Olimpiadi ma i cinque cerchi ti ammorbano da ogni dove.
Piove e gli inglesi pazzoidi se ne vanno in giro senza ombrello e senza impermeabile.
Noi le stronzate le abbiamo fatte tutte, dal carrello del binario 9 e 3/4 alla foto coi due piedi a cavallo del Meridiano di Greenwich (che a pensarci ho un meridiano pure qui a due passi da casa), dalla passeggiata sulle orme di Hugh Grant e Julia Roberts in Notting Hill alle foto di noi con le cabine telefoniche rosse.
Mancava soltanto di andare ad Abbey Road a farsi investire sulle strisce pedonali più famose del mondo e si chiudeva il cerchio.
Al pompatissimo museo di Storia Naturale attirano i gonzi con il ruggito di un T-Rex che non spaventa neppure un bambinello di due anni, ormai. Ci sono centinaia di esperimenti da fare, solo e dannatamente descritti in lingua inglese, spesso anche con termini tecnici, tanto che a un certo punto sento il giubilo dei miei che esclamano "Ehi, una bilancia!", era l'unica cosa che sapevamo usare.
Al museo delle Scienze, coda improponibile per l'unico spettacolo degno: il simulatore di volo.
Alla Tate, va detto, ci sono opere con le quali i loro autori non solo ci prendono per il culo, ma ci dichiarano anche espressamente "ti sto prendendo per il culo, tu lo sai, ma io lo faccio lo stesso".
E quando in giro paghi? Spendi 10 sterline e 29 penny, gli dai 20 e gli fai 'spetta che ti do i 29, ma quelli ti hanno già riversato in mano 9 cazzose sterline e 71 penny. Non un cane che sappia razionalizzare un resto, non uno.
E per mangiare? Ma qual è la specialità inglese? Pare che bevano e basta gli Inglesi, mangiare tipico non pervenuto.
Eccoli lì, tutti che se ne vanno in giro con il bicchierone di carta riempito fino all'orlo di bevande tendenti al marrone, ustionanti e per lo più imbevibili, ma fa fico e allora si fa, in metro, sulle scale mobili e per strada. E devi stare attento a come parli perché è fitto d'italiani che nemmeno al mercato delle Cascine il martedì.
Si chiude in pioggia con le chiuse a Camden Town, acqua di sopra e acqua di sotto.
E lasciamo stare gli ombrelli, hanno una durata media di 22 ore.
E l'arte, quella vera, sta al cesso.
Siamo sullo Stanstead Express, in partenza da Londra, e giunge la notizia della Fiorentina che ha perso coll'Atalanta, fanculo.
P.s. io ho pisciato nell'ultimo a destra, tanto per la cronaca.
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