20 dicembre 2013

Alla stazione a vedere i treni

Quarant’anni dopo, tenendo per mano mio figlio e trovandomi a passare dalla stradella accanto al podere del Poggio, mi ricordai di quell’antica giornata di sole in cui mio padre mi aveva spiegato il treno.
Qualche mese prima eravamo andati a trovarlo all’ospedale, in centro a Firenze. Sbrigata la visita e stretti gli abbracci, mia madre aveva pensato bene di portare me e mia sorella alla stazione a vedere i treni.
Treni che arrivavano e treni che partivano in un andirivieni trito e ripetitivo, ma capace di abbagliare gli occhi curiosi di qualsiasi bambino del mondo, me compreso.

Tornando da mia zia verso casa nostra passavamo dal Poggio e fu qui che, camminando con mio padre, gli domandai del treno.
- Babbo, ma come fanno i treni che arrivano alla stazione a ripartire all’indietro?
Mio padre, da buon muratore, fino ad allora mi aveva insegnato soltanto come incastrare i mattoncini del Plastic City per la costruzione di blocchi solidi e sicuri, ma adesso moriva dalla voglia di darmi una seconda lezione sulle cose della vita.
- Vedi, - mi disse – funziona così!
S’inginocchiò e m’invitò a sedere sull’erba di fronte a lui. Lo guardavo ammirato, era il mio papà ed era il mio Dio. Mia mamma e mia sorella stavano chissà dove mentre io ero lì con lui. E andava bene così.
Raccolse cinque o sei sassi, locomotiva e vagoni, e li dispose in fila sulla stradella in mezzo a noi.
- Il treno arriva trainato dalla sua locomotiva e si ferma qui, dove finisce il binario, sui respingenti. Li hai visti i respingenti alla stazione?
- Sì - dissi, ma non me li ricordavo mica.
- Poi i viaggiatori scendono, mentre il treno sta fermo. Le hai viste le persone scendere?
- Sì, sì le ho viste quelle – dissi, e potete scommetterci che ne avevo viste a bizzeffe.
- E mentre chi è arrivato va via e chi parte sale sui vagoni, alla coda del treno si aggancia un’altra locomotiva che ha fatto manovra in stazione con i binari e gli scambi. Vedi, arriva da dietro.
Non è che compresi bene le parole, ma i gesti di mio padre con la sua mano che accodava un sasso nuovo in fondo al treno dei sassi-vagoni e se li portava via tutti, o quasi, quelli erano chiari.
- E quella? – dissi indicando la pietra rimasta in stazione.
- Quella è la vecchia locomotiva, poi andrà a tirare fuori un altro treno.
Mi sorrise e si alzò lasciando lì i sassi, composti e allineati in un esemplare convoglio. Ripartimmo, mano nella mano. Fatta una manciata di passi mi girai un attimo, per dare un ultimo sguardo al mio treno. Mi dispiaceva di doverlo lasciare lì.

La prima volta che France è stato in treno l’abbiamo portato da Firenze a Figline, un tragitto breve, una domenica pomeriggio, giusto per il viaggio. Aveva tre anni. Si è accomodato sul suo sedile, mani sui braccioli e sguardo fuori dal finestrino impaziente e concentrato come un grande.
- Siamo partiti, siamo partiti! – e ci guarda sgranando gli occhi.
Il treno sì è appena mosso, ma lui è già in estasi.
- Siamo partiti, siamo partiti… - quasi nient’altro per quindici minuti.
Ti viene da pensare che ci vuole poco a far felice un bambino.
Sulle prime abbiamo cercato di farlo star zitto, affinché non disturbasse, ma poi anche alla luce dei sorrisi degli altri viaggiatori, l’abbiamo lasciato dire.
Io e dolcemetà: due grandiglioni rimbecilliti dall’amore per quel frugoletto ricciolino.
Siamo rientrati con il buio e il viaggio è stato meno carico di emozioni, ma quando siamo scesi in stazione l’ho portato in testa al treno, mi sono accoccolato di fianco a lui e gli ho tenuto una lezione sui respingenti.

Un giorno poco dopo andammo nel bosco alla ricerca di funghi e di bastoni da appuntire. Lasciai la macchina abbastanza lontana dalla nostra meta perché potessimo camminare un po’ con gli zaini zeppi di panini, bevande, bussole e coltellini. Non amiamo allontanarci dalla civiltà per tempi superiori alle due ore senza avere con noi una bella scorta di generi di sopravvivenza.
Respirammo l’aria pura dei miei luoghi d’infanzia e passando di fianco al Poggio non potei resistere. C’era una staccionata nuova a delimitazione del campo e scavalcarla fu un gioco. Non mi ricordavo esattamente il posto e non speravo davvero di ritrovare il mio treno di sassi, lì composto sulla stradella. E infatti non c’era, però c’erano i sassi.
Mio figlio a ogni modo non mi chiese nulla, ero io che desideravo capitasse.
Sentivo il bisogno di annodare questa corda da mio padre a mio figlio e volevo che mi attraversasse.
- Lo sai come funzionano i treni?

10 commenti:


  1. Bellissimo post. Ancora più bello avere un amico tanto sensibile e dolce.
    È un post magnifico, adatto per questo periodo pre natalizio c'è tutto ciò che serve, l'amore, la memoria dei nostri cari, la famiglia, la capacità di ritornare all'ingenuità dell'infanzia.

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    1. Ti metterei un cuoricino anch'io, ma non le so queste cose di giovani. Come se.

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  2. Che bello questo post, è pieno di quel fascino misterioso che non sa spiegare come si tramanda la sapienza umana, di padre in figlio. Ma ancora più bello è per me leggerlo in treno, pensa te che strana coincidenza.

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    1. Quando scendi dai un'occhiata ai respingenti ;)

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    2. Lo farò. (Sono ancora in treno ma sul ritorno, ho fatto presto)

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  3. Si, ci vuole poco a fare felice un bambino. Ma anche un adulto a volte: basta trovare certi post che ti catturano e non ti mollano più fino alla fine... grazie!

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  4. Che splendore. Le generazioni si susseguono come vagoni. Cambia la locomotiva, ma il treno non si ferma.

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    1. Ps. Spero non ti dispiaccoia, userò il tuo post come chiusura d'anno del mio blog...

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    2. È un vero onore per me in assoluto e anche per il me pendolare fi-bo per 4 anni e 8 mesi...

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    3. Un pendolare non lo scorda mai :-)
      Un sereno 2014 Hombre

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Ma dici a me? Ma dici a me? Ma dici a me? Ehi con chi stai parlando? Dici a me? Non ci sono che io qui...

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