C'è la NASA e subito dopo c'è l'INPS.
Provare a ottenere il Codice Individuale del contribuente era (è?) una procedura a prova di Mossad e la riuscita del tentativo un'incognita.
Registrarsi online per ottenere i primi 6 caratteri del codice, gli altri 6 ti vengono spediti a casa in busta chiusa, protetta e assicurata. Questi ultimi sono stati scritti su un foglio con lo stuzzicadenti intinto nel succo di limone e li puoi leggere solo al buio e con la candela che illumina da dietro. Fatto? Bene, hai i tuoi 12 caratteri per il login al sito dell'INPS e la prima cosa che ti chiede appena effettui l'accesso qual è? Di segnarti il nuovo codice INPS perché te lo cambiano subito. Fate le virgolette colle dita e pronunciate tutti insieme "questioni di sicurezza".
Poi non basta, però, ti telefonano a casa e vogliono parlare con l'intestatario del codice, pure se questo ha un'invalidità del 100% e alla domanda "Sei tu davvero Tizio Caio" può rispondere, quando va bene, "Papparapà".
E così, mancando l'autenticazione vocale finale, ti bruci anche il codice già acquisito e devi ripetere la procedura dall'inizio assoldando un'anziana vicina in salute che si finga la tua mamma al momento della telefonata di verifica.
Se t'impegni, comunque, sempre che tu sia possessore e skillato fruitore di dotazioni informatiche, alla fine della fiera te lo ritrovi un buon codice individuale INPS. E qui puoi pensare che in fondo il Codice Individuale INPS è per sempre, tipo un diamante. Magari! Non appena ti ripresenti sul sito famigerato, se sei stato inattivo per più di trenta trentacinque minuti te lo fa cambiare il tuo amato codice e parte un nuovo e macchinoso iter.
Poi, se proprio ti dimentichi dell'INPS perché magari per qualche mese non hai bisogno, capace che ti chiamino loro nel mezzo della nottata e t'informino che il tuo codice è nuovamente scaduto e che tu debba rinnovarlo presentando magari l'iride del contribuente intestatario. E lì ti devi attrezzare per l'espianto, perché non t'aiuta certo nessuno.
Ma poi, mi chiedo, perché tutta 'sta sicurezza all'INPS che con una password dispositiva in banca, da 10 anni sempre la stessa, posso gestire il mio c/c o, sempre con una password, disporre pagamenti sicuri online con carta di Credito.
Chi è, mi chiedo ancora, il cazzone che vuole fregare il Codice Individuale INPS di mia mamma per poter versare in sua vece i contributi della badante? Chi è? Che mi telefonasse, glielo detto al volo il codice.
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27 marzo 2013
24 ottobre 2012
La vita agra
Ho qualcosa d'irrisolto coi limoni.
Ne compro a fiotti, ho sempre il cassetto verdura del frigo zeppo di limoni, e pure fuori dal frigo.
Non lo so da cosa dipende, fatto sta che vado a far la spesa e mi s'attaccano alle mani peggio di TuSaiCosa ®. Mi si tuffano nel carrello proprio.
Posso restare senza prezzemolo, senza cipolla, senza patate (anche senza patata, per quello) ma non resto mai senza limoni.
Struffiavo quando mio padre mi diceva che c'erano da spostare le piante di limoni, prendi, tira, striscia, solleva, spingi, porta in serra; prendi, tira, striscia, solleva, spingi, leva di serra. Eran due volte l'anno, in fin dei conti, ma nella mia oziosità adolescenziale pure troppe. E quando serviva un limone? Non t'azzardare a prenderlo dalla pianta che ti taglio le manine, non è maturo, è troppo maturo, è verde, è giallo, è rosso, rovini la pianta. Se giocando a pallone tanto tanto stroncavi una ciocca conveniva ingurgitarla intera, farla sparire e negare sempre quando poi s'accorgeva (perché sempre s'accorgeva) ch'era rotta.
Mi c'incazzavo con mia mamma quando mi propinava d'ufficio la camomilla, eccolo un altro passo lemonfreudiano che forse spiega qualcosa, forse.
Certo non posso incolpare la mia mentoressa di fiducia che mi ha consigliato la lettura de L'inconfondibile tristezza della torta di limone (*), perché il fatto è troppo recente anche se, forse, subliminalmente, al super, davanti al banco frutta e verdura, entra in gioco pure questo.
Chissà, chissà che m'hanno fatto i limoni?
(*) 3,3 Carver.
Ne compro a fiotti, ho sempre il cassetto verdura del frigo zeppo di limoni, e pure fuori dal frigo.
Non lo so da cosa dipende, fatto sta che vado a far la spesa e mi s'attaccano alle mani peggio di TuSaiCosa ®. Mi si tuffano nel carrello proprio.
Posso restare senza prezzemolo, senza cipolla, senza patate (anche senza patata, per quello) ma non resto mai senza limoni.
Struffiavo quando mio padre mi diceva che c'erano da spostare le piante di limoni, prendi, tira, striscia, solleva, spingi, porta in serra; prendi, tira, striscia, solleva, spingi, leva di serra. Eran due volte l'anno, in fin dei conti, ma nella mia oziosità adolescenziale pure troppe. E quando serviva un limone? Non t'azzardare a prenderlo dalla pianta che ti taglio le manine, non è maturo, è troppo maturo, è verde, è giallo, è rosso, rovini la pianta. Se giocando a pallone tanto tanto stroncavi una ciocca conveniva ingurgitarla intera, farla sparire e negare sempre quando poi s'accorgeva (perché sempre s'accorgeva) ch'era rotta.
Mi c'incazzavo con mia mamma quando mi propinava d'ufficio la camomilla, eccolo un altro passo lemonfreudiano che forse spiega qualcosa, forse.
Certo non posso incolpare la mia mentoressa di fiducia che mi ha consigliato la lettura de L'inconfondibile tristezza della torta di limone (*), perché il fatto è troppo recente anche se, forse, subliminalmente, al super, davanti al banco frutta e verdura, entra in gioco pure questo.
Chissà, chissà che m'hanno fatto i limoni?
(*) 3,3 Carver.
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