22 aprile 2014

Di cosa parliamo quando parliamo d'amore in salita

Di più effimero ed esplosivo dell’amore di un’estate c’è solo l’amore di una salita.
Quando ti capita, in una delle corsette domenicali dove vai a sfrantumarti per la gioia dei tuoi muscoli, d’incrociare sulla tua strada un cristiano che soffre al tuo pari, come nulla scatta la scintilla.
Ti ritrovi ad ansimare di fianco a un tizio, fino ad allora sconosciuto, mentre t’inerpichi soffrendo l’inenarrabile su per un chilometro e mezzo di salita (sotto al chilometro non può essere vero amore!).
È lì che butti una frase come un’altra “Ma si sale ancora?” o “Dai, piano piano” oppure “ ’zzo pensavo che la salita era finita” (è sconsigliable usare correttamente il congiuntivo, non sai mai con chi te la corri) e si genera questa empatia tra moribondi che avevo sperimentato solo da militare.
È un ragazzone alto, lo intravedo con la coda dell’occhio, vestito più o meno di nero, di faccia non so non ci guardiamo, solo corriamo fianco a fianco, nello stesso metro quadro, uniti e solidali contro il mondo.
Vorrei raccontargli di quando ho imparato ad andare in bici, o di quella volta che ho visto Napoli da Castel Sant’Elmo al tramonto, vorrei chiedergli se si era alzato di notte per vedere Alì contro Frazier o se, per lo meno, era nato, e vorrei inondarlo di parole su quanto ho amato Il favoloso mondo di Amelie, vorrei mettergli in mano la mia vita, vorrei portarlo a conoscere i miei, a vedere l’erba del mio prato e a pigliare un mojito fatto con la mia menta. Vorrei abbracciarlo.
E poi vorrei che anche lo spilungone in nero mi dicesse di sé, e sento che anche lui non desidera altro che raccontarmi della gioia di quando ha preso quel pesce enorme e di come lo guardava suo babbo, e di quanto odiava il suo fratellone per le botte che gli dava, e mi vorrebbe spiegare com’è che ha lasciato gli studi e che comunque, alla fine dei salmi, è andata bene anche così. E di quella volta al mare con gli amici quando hanno combinato quel casino e sono sfuggiti ai carabinieri nascondendosi sotto a una barca. Mi vorrebbe abbracciare.
Poi arriva il ristoro “Ehi, c’è il tè!” mi fermo, sorseggio, ma lui tira dritto, forse mi aspetterà, penso, magari in cima al falsopiano, o prima di iniziare a scendere.
Macché, invece accelera e se ne va, ormai intruppato e complice in un nuovo gruppetto, capace che non mi manderà nemmeno una cartolina, come quella crista di Varese conosciuta a Castiglioncello un’estate di trenta cazzosi anni fa.

5 commenti:

  1. tu sei fuori. si possono amare solo quelli che vanno più piano di te.

    ...mi sento molto solo.

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  2. ..che infatti Castiglioncello è tutta 'na salita...

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  3. Delle volte mi piacerebbe correre anche solo per provare certe sensazioni. Poi no, ovviamente.

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  4. capisco perfettamente
    io sono una mezzasega (non solo a correre, ma a correre di più) quindi nelle salite in genere mi ritrovo in coda, spesso circondato da donne più veloci di me
    quindi mi aggancio a una di loro e cerco di tenerne il passo. alle volte dichiaro la mia intenzione e corriamo affiancati sostenendoci a vicenda: è bellissimo!
    se c'è abbastanza fiato ci di racconta perfino un po' di affari propri
    ma all'arrivo ci si stacca subito, un po' imbarazzati, perché l'altro ha vissuto con te momenti particolari, direi "intimi" e ci si vergogna un po' di aver esternato momenti di debolezza, ci si affretta verso i propri amici cercando di assumere un po' di compostezza

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    1. exattamòn! Tu mi capisci appieno... ah se non mi fossi già innamorato in salita due volte!

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Ma dici a me? Ma dici a me? Ma dici a me? Ehi con chi stai parlando? Dici a me? Non ci sono che io qui...

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