2 luglio 2013

Cinque

...il tuo numero è cinque.

Ci mettevano in fila dal più basso al più alto, in una i maschi e nell'altra le femmine, e poi ci accoppiavano. Io stavo proprio attorno alla metà, quando ancora i percentili eran brutte parole.
E poi ci abbinavano pure ai regoli, quei legnetti che ti aiutano a sbrogliare le prime matasse matematiche.
Ero il numero cinque, impersonavo il regolo giallo. Ma soprattutto corrispondevo alla Veronica, nella fila delle femmine.
La Veronica era la bambina che avrei voluto sposare con il senno di allora e la mia e la sua altezza mediana erano quanto di più garbato il destino poteva inventarsi per tenerci vicini.
La questione si rivelava di preziosa utilità specie nelle uscite. Gite al museo o passeggiate a raccoglier foglie che fossero.
Tutti in fila per due, allineati e coperti, e rigorosamente per la mano l'uno dell'altra.
L'uscita per la mano di Veronica è stato il primo momento in cui ho preso coscienza della mia contrarietà al fatto che non si potesse frenare o arrestare il tempo.
Spesso anche nei lavori in classe capitava che ci dovessero abbinare per attività di coppia e quale soluzione più facile che utilizzare l'abbinamento da regoli?
Tutto filava liscio, oliato e incardinato in solidi binari.
Nessuno si sarebbe potuto imaginare che il fetente di Massimino, proprio il giorno in cui era in programma di andare a piedi in non so bene quale diamine di fattoria dei dintorni, risultasse drammaticamente assente.
Era uno di quelli più bassi di me, Massimino, proprio il numero uno, l'insulso regolo bianco da un centimetro, quando la maestra ci mise in fila non ci volle Galileo Galilei per capire che stava accadendo qualcosa di grave.
Io fui incatenato a un'altra bambina che nemmeno mi ricordo chi fosse, sinceramente, e la Veronica si ritrovò mano nella mano con Fabio, il regolo di regola al numero sei ma oggi, in eccezione, al cinque al posto mio.
La sentii ridere tutto il tempo alle barzellette su Pierino che il buon Fabio sciorinava una via l'altra, e ogni sorriso di lei mi trapassava il cuore come una freccia cheyenne che non ho ancora avuto il coraggio e la forza di tirare via.

7 commenti:

  1. urge foto del sorriso indiano, e non ti azzardare a mettere quello di un'altra tribù !

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  2. chissà adesso come faranno senza i regoli...

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  3. A me le frecce dei cheyenne mi colpiscono sempre da morire. Che frecce stroboscopiche. E che sedili ribaltabili.

    (Si fa per scherzare eh. Faccio la dura perché mi ha commosso.)

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    Risposte
    1. sto pensando di scrivere solo post con titoli copiati da altri blog... ganzo.
      Ma poi, anche no.

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    2. Se ne potrebbe fare un eds! Ganzo sì.

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    3. epperò il titolo s'inventa a girare, furbone.

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Ma dici a me? Ma dici a me? Ma dici a me? Ehi con chi stai parlando? Dici a me? Non ci sono che io qui...

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