28 gennaio 2019

Vecchi dischi che nessuno avrebbe più ballato


Venne anche il momento di guardarsi attorno con occhi nuovi.
Non era una scelta, le arrivò in faccia come fa uno schiaffo.
Finite le lacrime, finite le visite parentali, finite le belle parole, restava un vuoto denso che riempiva la casa. Fin dentro i mobili.
Si lasciò andare sul divano azzurro privo di vita, perduto teatro di lotta tra i bambini, dimenticato e improvvisato nido di amplessi frettolosi, ricovero caldo per culi da teledipendenza passiva.
Vide i libri pigiati sugli scaffali, vecchi romanzi che nessuno avrebbe più aperto e che nessuna bancarella avrebbe voluto.
Vecchi dischi che nessuno avrebbe più ballato.
Vecchi testi di scuola di figli perduti fuori, in un mondo sfacciato e srotolato oltre la porta finestra.
Eppure il sole faceva il lavoro suo, ingravidava la stanza della luce dell'est mattutina, ma a lei mancava la forza per cimentarsi in un'altra spaventosa giornata.
La credenza di arte povera era stipata di piatti che avrebbero atteso invano una nuova festa, un pranzo numeroso e rigonfio di risa. Milioni di tazzine da caffè vi stavano annidate come pipistrelli dormienti in attesa di un grido, di un invito che sprigionasse il loro volo.
Insalatiere sbreccate e sepolte circondate da bicchieri male impilati, posate nuove mai usate e posate vecchie mai usate. Tutto era testimonianza silente di esistenze disilluse o finite.
Solo il quadro, la casa di contadino in mezzo alla neve, la casa con la colombaia che le ricordava quella in cui era nata, solo il quadro dai riflessi bianchi e rosati, solo il quadro le infuse uno scampolo di forza.
Allora si alzò, imprecando un dio che non c'era, e si trascinò in cucina a mettere su l'acqua per un tè.

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