- Tutùn - faceva la ruota del triciclo tutte le volte che prendevo
la buchetta. E potete scommetterci che la prendevo a ogni giro
attorno alla tavola, tanto ero diventato chirurgico.
Un ovale in
perfetto stile Indy: davanti alla tivù, davanti all'acquaio,
davanti alla cucina economica e - Tutùn - davanti al focolare
a completare il giro.
Non correre tu ti fai male, la mamma. E io
acceleravo.
Non pigliare la buca con le ruote, il nonno. E io - Tutùn - a ogni passaggio.
E ridevo tutte le risa del mondo, della mia genuina e infinita felicità.
Non sarebbe più stato così, ma non lo sapevo di certo.
- Tutùn -, e il nonno dal canto del fuoco, con le sue lunghe
braccia, si sporgeva cercando di acchiapparmi.
Allora sì che
pedalavo via veloce: testa incurvata dentro alle spalle,
sfrecciavo lontano, cullato dalle mie stesse risa e sospinto da quelle mani che non potevano prendermi mai.
Era un nonno di quelli di una volta, il nonno Gigi: tanti biscotti (*) sulle orecchie, poche parole e nessun moto esplicito d'affetto.
Era il tempo degli esami di terza media quando, un pomeriggio
di giugno, mio padre mi prelevò da casa per portarmi a Careggi
a vedere il nonno che ci stava lasciando, così disse.
Ma quello non era più il mio nonno: era un essere rinseccolito che
succhiava l'aria da una grata e fissava il soffitto con uno
sguardo acquoso e perduto.
E non lo salutai, niente, nemmeno mezza parola, solamente una
carezza abbozzata, con la mia mano rinchiusa e guidata da quella
di mio padre.
E mi dispiace soprattutto per lui, per mio padre, che magari due parole in croce si aspettava che le inchiodassi, ecco.
- Tanto lo so, nonno, poi l'ho capito che facevi apposta a non pigliarmi, che ti credi?
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(*) tosc. Colpetto che si dà sul viso a qualcuno (o sulle orecchie, n.d.h.), per atto di scherzo o in segno di affettuosa confidenza, facendo scattare sul pollice l’indice o il medio (Treccani)