Non ce le avevamo le carte Pokémon, per fortuna, tantomeno le Yu-Gi-Oh e di consolle manco a parlarne. In estate poi non giravano più nemmeno le figurine Panini. Però c’erano le formiche, quelle sì.
Avevamo degli scatolotti trasparenti da pasticche che trafugava da casa il mio amico, il figlio dei farmacisti, tutti belli etichettati coi nomi dei velocisti più noti in quel momento e dentro, assieme a cibarie da formiche tipo semini pane insalata, ci cacciavamo una formica. Era una colonia, sì quasi un carcere, ma le accudivamo al meglio (*).
Poi, su un compensato, con dei chiodi ritorti, avevamo fissato una forassite da elettricisti di quelle grigie, ché quelle colorate son venute dopo. La forassite faceva una curva e poi dritta a riprodurre il tratto di pista percorso dai velocisti sui 200 metri.
L'idea era quella di cronometrare il tempo di percorrenza del canale da parte delle formiche e poi moltiplicarlo per un coefficiente che lo rendesse confrontabile con il 19,83 di Tommie Smith, allora ancora record del mondo.
Al momento della gara il bussolotto veniva accostato all'entrata della forassite/pista che la formica avrebbe dovuto percorrere più velocemente possibile. Pure se nessuno gliel'aveva detto, restavamo fiduciosi.
Avevamo Don Quarrie, Valery Borzov, Hasely Crawford, Steve Williams e Pietro Mennea, tanto per capirsi.
I formiconi che potevamo catturare, lasciando stare le specie troppo piccole, erano di due tipi. C'era il tipo flemmatico, quelle belle cicciotte, che se la pigliavano comoda nella vita come nella nostra pista, facevano qualche passetto e poi capace che stavano mezza giornata dentro alla curva a contemplare non si sapeva bene cosa. E poi c'era il tipo più snello, l'addome più ovale che tondo, che quelle non stavano ferme mai, anche di più difficile cattura. Queste ultime non facevi a tempo ad introdurle nel tubo che erano già uscite dall'altra parte e te rimanevi lì, col casio nero in mano, incapace pure di farlo partire il tuo adorato cronometro al centesimo di secondo, figuriamoci fermarlo a dovere.
Andò così che Don Quarrie rimase in pista finché non lo soffiammo via colla forza, mentre Mennea riconquistò la sua libertà in un lampo e il coefficiente di ricalcolo non fu mai nemmeno ipotizzato.
Il gioco durò perciò poco e, come saggezza popolare vuole, risultò assai bello.
(*) Nessun animale è stato maltrattato nella produzione dei 200 metri piani in forassite.
anche la formica come il suo omonimo...grande Pietro. Ai tempi in cui se ti dopavi ancora ti guardavano storto. Ricordo un 'intervista..calmo, flemmatico. Che non riuscivi a capire come quell'omino li, che se lo avessi incontrato che so alle poste, manco lo guardavi, riuscisse a sfrecciare agli ultimi metri. Alzare il dito indice come dire: io lo sapevo che ce l' avrei fatta..
RispondiEliminaMa che bella storia e come l'hai raccontata bene.
RispondiEliminaio giocavo con le biglie............. .......ma non come gioca Lillina!! :D
RispondiEliminahai fatto bene a precisare.
EliminaNon ci capite un cavolo in certe cose.... magari spiego in privato o da me che qui non è il caso, sotto questo magnifico post.
EliminaSu una spiaggia africana piena di turisti, un ottobre di bassa stagione, ho festeggiato il mio 19esimo compleanno bevendo qualcosa simil champagne e puntando dei soldi su un granchio che faceva la stessa cosa. Solo che i nomi eran tutti in Shwaili, suppongo. La tua storia e' di una freschezza che la senti manco fosse sorbetto al limone in agosto. La mia, na tristessa... :-)
RispondiEliminaun giorno magari parlerò delle chiocciole cicliste, anche quella non è male.
Elimina(swahili, scusa. Da quando son quaggiu' solo zulu, sotho, xhosa, tswana e altre 6 o 7 lingue ufficiali, ma niente swahili, assolutamente, che sono xenofobi in modo pazzesco!)
RispondiEliminaMa vieni direttamente dal 1850?
RispondiElimina'nquantadue.
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