31 luglio 2011
Scelte caLibrate
Da quando sono uscito dal giro del fantacalcio che conta e non ho più occasione di partecipare alla serata dell'asta che - come dice il buon Claudio Liuni - è meglio di una serata di sesso, il momento più intrigante dell'anno connesso al mio tempo libero è il passaggio in biblioteca, subito prima delle ferie estive, alla ricerca dei libri da portarmi in vacanza.
È stato stamani, un'ora tranquilla trascorsa da solo, in un carnevale di libri.
Sono entrato con una lista di 4 titoli e sono uscito con 6 volumi. Diversi.
In verità ne ho cercato uno, Rosa di fuoco di Emilio Marrese, ma non trovandolo ho perso fiducia nel mio elenco e mi sono mosso in anarchia, accartocciando il post-it con i propositi.
Mi sono lasciato guidare dall'istinto, dalla disposizione e dalle costole dei libri, ne ho presi in mano a decine, ne ho letto gli incipit e alla fine ho scelto i miei 6.
Solo 6, perché di più, per venti giorni di lettura, seppure in ferie, sarebbe stato presuntuoso.
Ecco dunque i prescelti, con tanto di motivazione.
Lotta di classe di Ascanio Celestini - Un bell'incipit "Quando il dottore ha aperto mia madre, non ha trovato l'esofago" e la stima nell'autore, insieme all'apprezzamento per il film La pecora nera, non mi hanno creato indugio.
Interrogative Mood di Padgett Powell - Un "Romanzo?" in cui il punto interrogativo la fa da padrone, con un lancio di Jonathan Safran Foer in copertina. Leggo il primo paragrafo: 14 domande, lo prendo.
La briscola in cinque di Marco Malvaldi - Semplicemente per proseguire nella lettura di quest'autore, scoperto da poco e nient'affatto male.
Racconti con figure di Antonio Tabucchi - Perché già l'avevo preso in considerazione in libreria diverse volte senza mai chiudere l'affare. E poi con Tabucchi viene in mente Pereira e Mastroianni, come si fa a lasciarlo lì?
Burned Children of America di autori vari - Intanto la copertina, e poi una sequela di giovani scrittori statunitensi lanciatissimi. Inoltre son racconti, l'ideale per la spiaggia.
Pastorale Americana di Philip Roth - Ok, questo già so che non lo leggerò, questo l'ho preso solo per impressionare il bibliotecario, per fare bella figura.
E adesso aspetto le ferie, e intanto penso con quale iniziare.
28 luglio 2011
Tra Ferrara e la Luna
Per cinque anni della mia vita ho fatto il fornaio, lavorando di notte ed entrando alle 2. In verità, per i primi due anni io e Leo, mio amico nonché proprietario del forno, siamo entrati alle 1,45. Questo perché quei cazzosi 15 minuti servivano ad impastare - rigorosamente a mano – e confezionare al bacio due panini ferraresi, ma dico due, non ottanta!
Un’infame tradizione ereditata dal proprietario precedente del forno,voleva che alle 10 di ogni mattina, minuto più minuto meno, passasse in negozio un cliente che puntualmente si comprava i “suoi” due panini. Sarà stato di Ferrara? Non l’abbiamo mai saputo
Ora, mi rendo conto che non è facile spiegare cosa potessero significare ulteriori 15 minuti di sonno ogni notte per noi, ma vi garantisco che potevano influire sulla nostra qualità della vita. Era pur sempre un’ora e mezza a settimana. In un anno sapete quanto fa? Tralasciando giustamente le ferie fa 72 ore… ben 9 notti tirate di 8 ore. Se prendete i 3 anni successivi, nei quali li abbiamo effettivamente dormiti, beh fa quasi un mese di sonno.
Detto questo, una notte in cui eravamo particolarmente sfavati e assonnati abbiamo deliberato che all’indomani si sarebbe entrati alle 2 spaccate e fanculo i ferraresi.
E l’abbiamo fatto! Il mattino successivo, all’arrivo in negozio dell’uomo dei ferraresi, la commessa ci viene a chiamare in laboratorio e noi due ci mettiamo a spiare dal retrobottega.
Ecco, ci siamo, tocca a lui.
- I miei panini?
- Guardi, non li abbiamo fatti oggi, anzi i fornai mi dicono che non li faranno più.
Gelo liquido. Una cappa di silenzio tutto acquietava, e noi lì, testimoni consapevoli del momento storico.
- Ah, bene via, allora mi dia due di queste.
E si è preso due comunissime rosette.
Manco lui ne poteva più di quei cazzo di ferraresi.
26 luglio 2011
In fasce
In libreria sono fatalmente attratto dalle fascette sui libri. Lamelle di carta patinata e non che, abbarbicate alla copertina davanti e dietro, attraggono irrimediabilmente lo sguardo dei frequentatori del luogo sulle diciture sopra impresse. Come velivoli della domenica di passaggio sulle coste della Versilia, al posto dei romantici “Valeria mi vuoi sposare” o degli anche meno “Bevete Coca-Cola”, le fascette sbandierano ai quattro venti quando i premi vinti o i milioni di copie vendute, quando le numerose edizioni di ristampa o il fatto che l’autore ha pure scritto un poderoso bestseller che si presume abbiate già divorato.
E così si passano in rassegna tomi pensati e scritti per noi da “l’autore del Codice da Vinci”, oppure sconosciuti libercoli alla loro però ennesima riedizione, o magari si viene predisposti all’acquisto dall’informazione che già altre 300.000 persone hanno comprato una copia di quel romanzo, e questo quando era addirittura un comune libro tra i libri senza fascetta. Le più accattivanti, però, sono le fascette legate ai vari premi letterari che informano sul vincitore del Pulitzer, dello Strega, del Bancarella o del Campiello.
Ma i vincitori degli ambìti e succitati premi sono, al fin della fiera, un numero limitato. E allora come intortare l’animale da libreria come me con più affinate e numerose esche? Da qualche tempo, strategie finissime di marketing realizzan fascette in grado di far acquistare un libro persino a Fabrizio Ravanelli (“Ho un solo libro in casa, la biografia di Alba Parietti. Perché me l’ha regalato lei”, testuale). E anche a me.
Così mi son ritrovato in casa – io, inconsapevole compratore di libri fascettati – un “Finalista al premio Strega 2010”, un “In concorso al premio Campiello” e persino un “Avrebbe voluto partecipare al Bancarella ma col cazzo che l’hanno preso”.
Se il libro si vende male, quindi, non è che è brutto, noioso o banalmente illeggibile, solo non ha avuto in sorte di fregiarsi di una qualsivoglia fascetta.
Non uscirà mai un libro mio ma, nel caso, imporrò una clausola nel contratto con l’editore e, potete starne certi, riguarderà l’apposizione obbligata di una fottuta fascetta al libro, foss’anche con su scritto “fa cagare”.
E così si passano in rassegna tomi pensati e scritti per noi da “l’autore del Codice da Vinci”, oppure sconosciuti libercoli alla loro però ennesima riedizione, o magari si viene predisposti all’acquisto dall’informazione che già altre 300.000 persone hanno comprato una copia di quel romanzo, e questo quando era addirittura un comune libro tra i libri senza fascetta. Le più accattivanti, però, sono le fascette legate ai vari premi letterari che informano sul vincitore del Pulitzer, dello Strega, del Bancarella o del Campiello.
Ma i vincitori degli ambìti e succitati premi sono, al fin della fiera, un numero limitato. E allora come intortare l’animale da libreria come me con più affinate e numerose esche? Da qualche tempo, strategie finissime di marketing realizzan fascette in grado di far acquistare un libro persino a Fabrizio Ravanelli (“Ho un solo libro in casa, la biografia di Alba Parietti. Perché me l’ha regalato lei”, testuale). E anche a me.
Così mi son ritrovato in casa – io, inconsapevole compratore di libri fascettati – un “Finalista al premio Strega 2010”, un “In concorso al premio Campiello” e persino un “Avrebbe voluto partecipare al Bancarella ma col cazzo che l’hanno preso”.
Se il libro si vende male, quindi, non è che è brutto, noioso o banalmente illeggibile, solo non ha avuto in sorte di fregiarsi di una qualsivoglia fascetta.
Non uscirà mai un libro mio ma, nel caso, imporrò una clausola nel contratto con l’editore e, potete starne certi, riguarderà l’apposizione obbligata di una fottuta fascetta al libro, foss’anche con su scritto “fa cagare”.
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