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22 marzo 2019

Una fetta di vita semplice ma buona

Torni a casa e trovi un cane che scodinzola
Prepari una torta di mele semplice ma buona (*)
Ceni con le persone che vorresti avere accanto quando morirai
Ti alzi all'alba
Corri all'alba
Corri all'alba per sentieri
Corri all'alba per sentieri con un cane accanto
Corri all'alba per sentieri con un cane accanto ed è primavera
Torni a casa e trovi un avanzo di torta di mele che scodinzola.



(*) Torta di mele semplice ma buona
150 gr di farina
100 gr di zucchero
100 gr. di burro fuso
2 uova
4 mele medie
1 cucchiaio di maraschino (o rum)
½ cucchiaio di lievito
scorza grattugiata di 1 limone
un pizzico di sale
Tagliare le mele a cubetti e metterle da parte. Sbattere in una terrina le uova con lo zucchero e il sale, aggiungere la farina, il rum, la scorza grattugiata di un limone, il burro e il lievito (se troppo denso aggiungere 1 cucchiaio di acqua o latte). Aggiungete le mele all’impasto, la consistenza dovrà essere molto ‘melosa’. Mettere l’impasto nella tortiera coperta di carta forno. Infornare a 180 gradi finché dorata e asciutta alla prova stecchino (30-35’ min circa).

3 maggio 2017

La vita è adesso

Sulla Linea dissertiamo ancora senza costrutto alcuno su felicità, ospitando il contributo di una fedele amica.

Ma questo Baglioni è qualcosa in più di una rima coi suoi attributi oppure no? Questo mi chiedevo ascoltandolo in radio.
I pomeriggi appena freschi, l'aria tenera di un dopocena, e musi di bambini contro i vetri, non sta forse tutto qui? In queste trite vacuità?
E non lasciare andare un giorno, questa è la meglio di tutte.
Alla fine che ci dice questa canzone? Ci butta in faccia delle banalità spaventose, ci esorta a vivere il presente e ci consiglia di godere delle piccole cose. Insomma ci dice di prenderla come la prendo io.
Per davvero, senza falsa modestia, in questo campo, con queste regole, io sono maestra.
Ogni momento vissuto come unico, anche quando è la ripetuta esecuzione di un gesto, di un rito quotidiano.
Godersi una passeggiata, gioire di un regalo semplice da portare ad un amico, foss'anche un paio di brutte scarpe o un giocattolino di legno.
Svenire per una carezza. Non sta forse tutto qui?
Se ne vedono troppi di brutti musi in giro, di quelli che mai un sorriso, di quelli sempre girati, di quelli che è sempre lunedì.
Ringraziare ogni giorno per la libertà di andare, di correre via senza legacci e mandare un pensiero a quelli come noi che ci hanno preceduti e hanno combattuto per la libertà spezzando le catene.
Oddìo, La retorica mi sta uccidendo.
E sì, Baglioni alla fine dei salmi cantati ce la racconta giusta eccome.
La vita è adesso, così è se vi pare.
Ma forse non lo sapete, se non avete corso a perdifiato, disegnando i ghirigori del mondo, in un campo d'avena selvatica.
La vita è adesso, e lo potete abbaiare forte.
Bau.

26 marzo 2017

Creature di sangue caldo e nervi


C'è un ragazzo dai capelli into the wild, ha una chitarra e intona Look at me, I am old, but I'm happy, canta per se stesso, per noi e per il tempo ché se la pigli comoda.
Un nero dall'hic sunt leones benedice il sole per la scatolata di occhiali non è caro dieci euro e per chi li vuole comprare; una lei forse di un'altro pianeta ne porta sulla testa un paio rossi enormi, da falena.
La ragazza vichinga, burrosa e sbracciata e dall'incarnato bianco come ricotta, ride alle nuvole che non ci sono, mentre due amiche, poco più in là, se ne stanno avvoltolate in piumini pastello e in una diversa stagione.
Al centro c'è la giostra che gira, zeppa di bambini a cavallo, che non fai in tempo li guardi, mamma un altro giro, e via centrifugati nell'adolescenza.
La bimba occhialuta e sincera sfreccia su una bici lenticolare griffata batman cercando probabilmente il record dell'ora o, in seconda battuta, di sfuggire alla sorella piccola.
Ragazzi nero barbuti dalla scriminatura potente e impomatata e dai calzoni inspiegabili richiamano Aldo detto Bob e le sue ragazze di San Frediano.
E due fidanzati, lei tatuata a colori con i capelli solo sul lato destro e lo stivale floscio, lui fasciato in una maglietta con una scritta troppo lunga e piccola per essere letta o tradotta, gemelli di anelli al naso e labbra carnose.
Due ragazze si atteggiano a signore di quelle con il cane nella borsetta, ma non ce l'hanno uno sputo di cane, sfoggiano cappottini anni sessanta, uno è rosso tartaruga con i bottoni in finto osso. Un'altra ragazza dalla pelle olivastra, indossa la mimetica, cadenza il passo e porta le trecce con un'aria vagamente familiare, chissà mai la figlia di quel cugino disperso nel mondo.
Due bimbe o poco più si portano in giro i loro skate fuori moda con una faccia di quelle da Bois de Bologne.
Pure i carabinieri schierati e in tenuta d'assalto li vedi che ridono e parlano di calcio e di figa, lontano mille miglia dai venti del terrore.
Il tassista aiuta un tizio a caricare in auto un passeggino rosa confetto, spia di una nuova bimba che un giorno traverserà piazze in bici, si adornerà di trecce, canterà Cat Stevens e donerà al sole, o a un ragazzo, la sua pelle profumata di pesca, sia essa nivea o olivastra a chi importa davvero?
Faccio la diagonale di Piazza della Repubblica screziata dal sole basso di fine marzo, la affetto in due spicchi simmetrici e vividi, i cieli sono fusi nei volti delle persone che come me la tratteggiano.
E siamo un quadro di Bruegel.
È lì che mi piglia l'attacco forte di debolezza del MaQuantoCazzoèBellaLaVita.
E quando into the wild lì attacca Hallelujah, sento un brivido: è giunto il momento che un'anima pia mi inizi a Leonardo Cohen.

6 giugno 2016

50 sfumature di cancello grigio


L’altro giorno ho visto un cancello bianco panna che mi faceva molto film della Archibugi, molto liberty.
(Che poi non so quasi nulla dell’Archibugi né dello stile liberty)
Bello, ho pensato. Lo voglio anch’io, ho pensato.
A casa ho un cancellino pedonale e un cancellone, entrambi grigi.
Mi chiedo perché.
Allora ci fo caso, mi guardo attorno con attenzione nei giorni seguenti e vedo solo e soltanto cancelli grigi.
Mi richiedo perché?
Ma siamo stati invasi dai cancelli grigi? Ci hanno colonizzato?
Non me lo spiego.
Fantastico di ritinteggiare il tutto, di bianco panna.
Oppure - perché limitarsi? - di giallo, o di rosso. Magari di azzurro vivo.
Mi è tornato in mente quando, da piccolo, mio padre mi faceva verniciare la ringhiera (eh sì, caro Tom, ho avuto anch’io la mia bella staccionata da dipingere): prima mano di minio in sfolgorante arancio e poi, ça va sans dire, seconda mano di grigio.
E mi chiedevo perché coprire quello splendido arancio con dell'anonimo grigio.
Non sarebbe un mondo migliore se l’antiruggine fosse grigio e tutti i cancelli arancioni?

8 aprile 2016

Io nei film

Il giochino nasce su Pensieri Cannibali, e precisamente qui. Io non so davvero se la mia personalità possa riflettersi nelle sfaccettature sotto elencate o se solo vorrei averle o magari esorcizzarle, inoltre, la mia cultura in fatto di film in confronto a quella di Cannibal Kid è una caccola, e quindi rischio di essere fatalmente banale, ma scavare fuori tutta 'sta roba è stato alla fine divertente - e mi ci è voluta una settimana! - quindi ora ve la beccate!
E voi come mi vedete? Cinematograficamente parlando, dico.
Sarebbe interessante conoscere l'area NASCOSTA della mia finestra di Johari riguardo al me nei film.

Intanto Gaetano di Ricomincio da tre, non foss'anche perché avevo i miei bei riccioloni e mi ci chiamavano Troisi, poi perché proprio non ce la faccio a pigliare per buone le cose che ti vendono. È nella mia natura mettere in discussione un po' tutto, soprattutto ciò che viene dato per scontato.

Gianna: Comunque quel film devo dire che era tremendo, a me mi ha veramente... impaurito. Ma senti, se a te ti torturassero come a quello del film, avresti parlato?
Gaetano: Pe' carità! A me non c'era nemmeno bisogno che mi torturavano: a me bastava che mi dicevano sulamente... per esempio...: "Guarda che se non parli... forse... ti torturiamo", immediatamente parlavo, scrivevo, cioè se non capevano facevo 'nu disegno...
Gianna: Eh, ma allora sei peggio di Giuda!
Gaetano: No, che c'entra? È proprio che io, per esempio il dolore fisico nunn 'o supporto proprio. È 'na cosa ca... e po' che c'entra cioè Giuda? Mo' tutte quante: "Giuda traditore", "Giuda traditore". Cioè s'hanna conoscere primma 'e fatte, eh? Giuda avrà avuto una ragione per fare 'na cosa del genere, no?
Gianna: Eh no! Per soldi.
Gaetano: Eh, per soldi, e non è una ragione, scusa? Basta che 'o facevano nascere ricco e già s'evitava tutta st'ammuina, sta cosa... l'uccisione, 'o tradimento e poi lasciamm sta', cioè pecché... quanno uno non conosce 'a gente nun me piace 'e giudica', capito? Pecché miette... sa' tu hai bisogno proprie... A un certo punto, 'sti trenta denare, quante putevano essere, mettiamo due, trecentomila lire, quattrocento, nunn' 'o saccio però chillo avrà miso apposto e cose soje. Miette ca ieva a casa e 'a mugliera ogni vota: «Giuda, tu devi andare a lavorare. Giuda, 'o padrone 'e casa, 'a luce, l'acqua», per dire, «'o telefono». A un certo punto, chillo tutte 'ste cose... «Tu non porti cchiù 'e sorde a casa!», «Tu non porti cchiù 'e sorde a casa!», s'ha visto 'e trenta denari in mano e ha detto: "Ma che me ne 'mporta!"

Poi Truman Burbank di The Truman Show perché nella mia narcisa presunzione adolescenziale avevo sviluppato una teoria che si chiamava la teoria degli attori - ho amici che potrebbero testimoniare - e io ero il Truman della situazione. E la questione stava proprio in quel modo, e Peter Weir mi ha fregato l'idea.

Truman: Casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte!








Mi vedo anche nel Saverio/Benigni di Non ci resta che piangere. Sì, direi che sono tenace e che se mi metto in testa una cosa è difficile smontarmi. Poi sono ottimista, proprio come Saverio, anche in una situazione che può sembrare - o è - difficile, m'ingegno a trovare uno stimolo per viverla al meglio o, alle brutte, per trarne dei benefici.
E poi, vabbè, per tutte le volte che altri Marii si sono presi il merito per le cose mie.

Saverio: Parisina, mi è venuta un'idea, forse, per liberare Vitellozzo.
Parisina: Grazie Mario!
Saverio: No! Che grazie Mario! Dicevo, stanotte, a ME è venuta un'idea, forse, per liberare Vitellozzo!
Parisina: Grazie Mario!


E sono Ben Stiller ne I sogni segreti di Walter Mitty.
Walter Mitty è un grigio impiegato della rivista Life che lavora nell'archivio dei negativi da molti anni, con una madre anziana e una sorella aspirante attrice a cui badare; Walter tuttavia è anche un moderno sognatore: senza mai uscire dalla propria città, compie regolarmente dei viaggi mentali lontano dalla sua noiosa esistenza, entrando in un mondo di fantasie caratterizzate da grande eroismo, appassionate relazioni amorose e costanti trionfi contro il pericolo (da wiki).
Insomma sono un sognatore dai piedi per terra ®. Che non si può? Io può.

Cheryl - Quella canzone, Major Tom, prima quando il barbetta stava... quel tipo non sa nemmeno quello che dice. Quella canzone parla di coraggio e di sfidare l'ignoto. É una canzone mitica.
...
Cheryl - Questa è dedicata a Walter Mitty. Lui sa perchè: [canta la canzone Space Oddity di David Bowie] Ground Control to Major Tom. Ground Control to Major Tom. Take your protein pills and put your helmet on... Ten... Ground Control to Major Tom... Seven... Six... Commencing countdown, engines on... Two... Check ignition and may God's love be with you... 

A volte sono anche un po' il Danny Zuko di Grease (ti piaceresse!), un po' guappo un po' guascone, ma sotto sotto un tenerone (*).

Oh Sandy, baby, someday
When high school is done
Somehow, someway
Our two worlds will be one








E dello Steve Carell di 40 anni vergine ne vogliamo parlare?
Perchè fondamentalmente sono un imbranato e uno che è approdato alle varie fasi della vita sempre con fisiologico e pluriennale ritardo.
E perché, a ben guardare, io sono vergine dentro. Anche a 54 anni, caro il mio Andy Stitzer.

- Hai quarant'anni.
- Oggi è come averne venti!










Mi rivedo anche nel dentista di Una notte da leoni, Stuart/Ed Helmes. Infatti può capitare che io sia indolente e che abbia bisogno di essere convinto e un po' trascinato nelle cose ma poi, una volta che ci sono dentro, ci sto al centopercento, ragazzi miei! Non esiste che lo faccia tanto per fare.

Stu: Ha l'anello di mia nonna al dito quella!
Phil: Che?!
Stu: L'anello da dare a Melissa, hai presente? Quello che ha salvato dall'olocausto? Ora ce l'ha lei al dito.

E poi ne Il favoloso mondo di Amélie sono Amélie, sono Amélie a tutto spiano, perché se c'è da far andare la fantasia quello è il mio credo e il mio mondo.

Nino è in ritardo. Per Amélie ci sono due spiegazioni possibili. La prima: non ha trovato la foto. La seconda: non ha ancora avuto il tempo di ricomporla, perché tre banditi, multirecidivi, che assaltavano una banca, l'hanno preso in ostaggio. Seguiti da tutti i poliziotti della zona, sono riusciti a seminarli, ma lui ha provocato un incidente. Quando ha ripreso conoscenza, non ricordava nulla. Un camionista ex detenuto l'ha raccolto, e credendolo in fuga l'ha messo in un container in partenza per Istambul. Là, è finito tra avventurieri afgani, che gli hanno proposto di andare a rubare testate missilistiche sovietiche. Ma il camion è saltato su una mina alla frontiera col Tagikistan. unico superstite, è stato accolto in un villaggio di montagna, ed è diventato militante mujahiddin. Perciò, Amélie non vede perché deve stare in quello stato per uno scemo che mangia la minestra di cavolo per tutta la vita con uno stupido portavasi in testa.


E infine sono anche Hombre - ma che ve lo dico a ffa'? - il pellerossa d'adozione interpretato da Paul Newman, il film che Briga (Giancarlo Brighenti) ha contribuito a legare al mio nome e al mio destino, enigmistico e non.
Il titolo del film è il soprannome indiano di John Russell, tres hombres (tre uomini, abbreviato in hombre), essendosi egli guadagnato fra i conterranei la fama di uno che combatte con il vigore di tre uomini messi insieme (da wiki)
E potete scommetterci che io sono questi tres hombres: sono figlio, sono padre e sono marito e non è certo una fatica da poco.


John Russell: We all die, just a question of when. 













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(*) Ehi, vi ricordate di me?

15 settembre 2015

Le mie ambizioni musicali negli anni

(L'uomo in ammollo Franco Cerri)
Ho già e più volte fatto ammenda riguardo alla mia scarsa cultura musicale che in parte deriva anche dalla mia predisposizione deficitaria e dal fatto di non aver avuto un mentore nel campo specifico, né in famiglia né fuori. Non per questo non ho cullato sogni nell'ambito delle sette note.
Più o meno, in un approssimato ordine cronologico, son questi:
  • Essere Gianni Morandi
  • Sposare Wilma Goich
  • Scrivere una canzone copiando gli uccelli disposti sui fili elettrici
  • Trovare la melodia di Mister Mandarino al pianoforte
  • Sfondare con il mio pezzo "Mabel"
  • Essere Robert Plant giovane
  • Avere l'orecchio assoluto
  • Suonare Sono solo canzonette come Bennato
  • Sposare Donatella Rettore
  • Riconoscere la marcia trionfale dell'Aida da cinque note
  • Incidere io una strofa del Vitello dai piedi di balsa con Elio
  • Imparare ad accordare la chitarra con il metodo Franco Cerri
  • Essere un pinkfloyd, uno di quelli vivi
  • Sposare Dolores O'Riordan
  • Scrivere dei testi tipo Pasquale Panella
  • Andare a Sarabanda
  • Sposare Enzo Jannacci
  • Capire i Nirvana
  • Resuscitare Rino Gaetano
  • Essere Robert Plant vecchio
  • Sposare Adele
  • Cantare Stairway to Heaven come questa crista qui.

Consuntivo sogni realizzati: 0 (zero).

27 ottobre 2014

Tre uomini in barca (per tacer dell'Effetto Tutto Qui?)

L'effetto te ne parlo talmente bene che va a finire ti aspetti troppo e resti deluso, classificato in psicologia come Effetto Tutto Qui? ® (o ETQ) è il rischio che si corre quando ci si decide ad affrontare un elemento - sia esso di natura umana, artistica o puramente materiale - del quale tutti coloro che te ne hanno parlato lo hanno fatto in termini entusiastici.
L'Effetto Tutto Qui? è la deriva fisiologica, sul piano del riscontro di gradevolezza, della ben nota spinta uguale e contraria fisicamente individuata e definita da Archimede, e si misura su base della Scala Jagger in gradi Satisfaction.
L'ETQ opera fatalmente in riduzione sulla probabilità che tu rimanga soddisfatto dall'esperienza. Ma ricordiamoci anche che:
Felicità = Realtà - Aspettative
pertanto, meno aspettative si creano più facilmente la realtà dei fatti le potrà superare, realizzando un saldo attivo, un utile, di felicità.
Va da sé che la conoscenza della teoria stessa e la crescente consapevolezza che l'Effetto Tutto Qui? sia applicabile al rapporto specifico che intendi valutare (tipo quanto ti piaccia davvero quel film o quella persona o quel libro) ne attenua sensibilmente la spinta originaria fino a tenderla allo zero.
Tutta 'sta sbobinatura per dirvi che dedicandomi al libro di Jerome Klapka Jerome, Tre uomini in barca (per tacer del cane), era logico che potessi cadere vittima dell'ETQ a valle di una serie indefinita di personaggi più o meno noti e/o raccomandabili che ne consigliavano spassionatamente la lettura.
Ma conoscendo bene, io, la teoria dell'Effetto, essendo uno dei firmatari dell'enciclica che lo ha sancito, ho potuto annullarne il moto repulsorio e apprezzare l'opera, anziché no (3,2 carver).

Jerome/Gerolamo risale il Tamigi su un barcone con il suo cane e due amici realmente esistiti e traslati più o meno fedelmente nel romanzo, Giorgio e Harris. Questo in soldoni.
Commentare un classico, o tentare di farlo, è difficile, quindi non lo farò, non questa volta.
Ma un estratto sì, mi piace sempre riportare qualche riga che possa indurre nei non lettori residuali la voglia di prenderselo in ebook (0,89 centesimi), o di ravanare nella libreria di casa (dovrebbe esserci) o di scaricarlo in pidieffe (si trova).
Non è semplice neppure appuntarsi le righe da proporre perché le situazioni brillanti, così mirabilmente elaborate in puro stile english, hanno spesso un respiro ampio che mal si addice alla brevità di un post. Quindi, al di là di due lampi...

Il lavoro mi piace, mi affascina. Potrei starmene seduto per ore a guardarlo.

George va a dormire in una banca tutti i giorni dalle 10 alle 16, tranne il sabato quando lo cacciano fuori alle 14.

...peraltro molto noti, sono costretto a scegliere un solo brano, per non arrecarvi tedio e per non sminuire in voi il gaudio di assaporare poi di persona l'intiero tomo.

Questo è tutto Harris — così pronto ad assumersi l’onere di ogni cosa e poi di addossarlo agli altri.
Egli mi fa venire sempre in mente il mio povero zio Podger. In vita mia non avevo visto mai tanto trambusto in una casa, come nel momento che mio zio Podger si accingeva a far qualche cosa. Un quadro era ritornato dal negoziante di cornici, ed era stato lasciato ritto contro una parete della sala da pranzo aspettando d’essere appeso.
La zia domandava che cosa si doveva farne, e lo zio diceva:
— Lascia fare a me. Nessuno di voi s’impicci del quadro. Farò tutto io.
E allora si cavava la giacca, e cominciava. Mandava, la fantesca a comprare cinquanta centesimi di chiodi, e poi uno dei bambini che la raggiungesse per dirle di che dimensione dovevano essere, e dopo imprendeva gradatamente a mettere in moto tutta la casa.
— Ora, tu, Guglielmo, va a pigliarmi il martello — gridava — e tu Tommasino, va a pigliarmi la squadra; e m’occorrerà anche la scaletta, e forse sarà meglio una sedia di cucina. Tu, Gianni, fa due salti dal signor Goggles; digli: — Tanti saluti da parte di papà, e come state con le gambe? — e se mi vuol prestare il livello. E tu, Maria, non te ne andare, perchè ho bisogno che qualcuno mi tenga la candela; e quando ritorna la fantesca, deve andare a comprare un pezzo di cordone; e, Tommasino!... dov’è Tommasino?... Tommasino, vieni qui; piglia il quadro e dammelo!
E allora il quadro sollevato gli cadeva di mano, e saltava dalla cornice, ed egli, per salvare il vetro, si tagliava un dito; e allora si metteva a saltare per la stanza, cercando il fazzoletto. Non poteva trovare il fazzoletto, perchè l’aveva nella tasca della giacca, e non sapeva dove aveva lasciata la giacca, e tutti di casa dovevano interrompere la ricerca degli strumenti e cominciare a cercar la giacca, mentr’egli intanto seguitava a saltare in giro, impacciandoli.
— Sa nessuno in tutta la casa dov’è la mia giacca? Non m’è capitato mai di vedere gente simile! Siete in sei!... e non siete capaci di trovare una giacca che mi son cavata, cinque minuti fa!...
Quant’è vero... In quel momento era seduto, e scoprendo di star sopra la giacca, gridava:
— È inutile che andiate in giro. L’ho trovata da me. Rivolgermi a voi perchè troviate qualche cosa, è come dirlo al gatto.
E, dopo ch’aveva impiegato mezz’ora a legarsi l’indice, ed era stato trovato un altro vetro, e gli strumenti, e la scala, e la sedia e la candela erano lì pronti, cominciava un altro divertimento: chè tutta la famiglia, compresa la fantesca e la donna a giornata, doveva assistere in semicerchio, pronta a dare una mano. Due persone dovevano reggere la sedia, una terza doveva consegnargli un chiodo, una quarta passargli il martello; e lui, pigliando in consegna il chiodo, lo lasciava cadere.
— Ecco — diceva, in tono d’offesa — è caduto il chiodo!
E tutti dovevamo inginocchiarci a cercarlo, mentr’egli se ne stava ritto sulla sedia a brontolare, e a domandarsi se doveva rimaner lì tutta la sera. Il chiodo veniva finalmente scovato, ma intanto lui aveva perduto il martello.
— Dov’è il martello? Che n’ho fatto del martello? Giusto cielo! Ve ne state lì in sette a bocca aperta, e non sapete che cosa n’ho fatto del martello!
Gli trovavamo il martello; e intanto aveva perso di vista il segno da lui fatto sulla parete, per configgervi il chiodo; e ciascuno doveva a turno salire accanto a lui sulla sedia per cercar di trovare il segno; e ciascuno lo scopriva in un punto diverso; e lui ci chiamava stupidi, l’uno dopo l’altro, ordinandoci di scendere. E prendeva la squadra, per prender le misure un’altra volta, e trovando che gli occorreva la metà di ottantuno centimetri e tre settimi di centimetro dall’angolo, tentava di fare il calcolo a memoria e gli pareva d’impazzire. E tutti tentavamo a memoria, e tutti giungevamo a risultati diversi, e ci davamo l’un l’altro la beffa. Nel trambusto generale, era dimenticato il numero originale e zio Podger doveva rimettersi a prender le misure. Questa volta egli usava un pezzo di corda, e, nel momento critico che lo zio era inclinato sulla sedia a un angolo di quarantacinque, provando di raggiungere un punto un decimetro più di quanto si potesse sporgere, gli scappava la corda, ed egli s’abbatteva sul pianoforte, con un effetto musicale veramente bello, prodotto dalla velocità con cui la testa e il corpo avevano colpito contemporaneamente tutte le note. E zia Maria esclamava che non voleva che i bambini stessero lì presenti a sentire le espressioni di mio zio. Finalmente, zio Podger fissava di nuovo il punto, mettendovi su l’estremità aguzza del chiodo con la sinistra, e prendeva il martello nella destra. E, al primo colpo, si schiacciava il pollice, e con un urlo, lasciava cascare il martello sui piedi del più vicino. Zia Maria osservava con dolcezza che la prossima volta che zio Podger avrebbe dovuto ficcare un chiodo nel muro, le facesse la finezza di avvertirla in tempo, perchè essa potesse disporre le cose in modo da andare nel frattempo a passare una settimana con la madre.
— Oh! le donne fanno sempre un mondo di difficoltà per niente — rispondeva zio Podger, riprendendosi.
— Ebbene, a me piace di lavorare un po’ a questo modo.
E allora ci si provava di nuovo, e, al secondo colpo, il chiodo entrava tutto quanto nell’intonaco, trascinandosi dietro mezzo martello, mentre zio Podger veniva proiettato contro la parete con forza quasi sufficiente da appiattirgli il naso. Allora gli dovevamo trovar di nuovo la squadra e la corda, e si doveva fare un buco nuovo; e, verso mezzanotte, il quadro era appeso — storto e alquanto instabile, con la parete che per dei metri in giro sembrava grattata da un rastrello, e tutti stanchi morti e infelici — tranne lo zio Podger.
— Ecco qui — diceva, balzando pesantemente dalla sedia sui calli della donna a giornata, e dando uno sguardo a tutta quella confusione in giro con orgoglio evidente.
— Molti avrebbero avuto bisogno d’un operaio per fare un lavoretto come questo.

11 maggio 2014

Il Professore delle Favole

Me la son sempre vista coi numeri, a scuola principalmente, correggendo le espressioni dei ragazzi delle medie e nutrendoli di incognite. Archimede il mio mito e Fermat il mio incubo.
Ma con il pensionamento, quella tensione che mi teneva in piedi, avvitata e contorta attorno ai milioni di cifre vergate col gesso alla lavagna, si è sciolta d’incanto, in un battibaleno, e mi ha lasciato svuotato, senza un risultato sulla destra da far tornare.
Ed è stato per non morire ingoiato da una poltrona in velluto bordò, davanti a un finto reality, che mi sono dato uno scopo nuovo e ho iniziato a leggere libri. Libri che avessero numeri solo a indicazione della pagina, libri che prendessero le distanze dalla troppa concretezza che mi aveva imprigionato in un quadrato costruito sull’ipotenusa.
E così ho scoperto le fiabe: un mondo meraviglioso dove si addensano i colori, i profumi e i rumori dei tuoi più incredibili sogni. Un mondo dove alla fine il male è sconfitto e dove si vive per sempre felici e contenti.
E l’ho cercato davvero questo mondo, deciso a trasferirmi per sempre nell’universo beato delle favole. L’ho cercato fisicamente a Stonehenge e a Petra, l’ho cercato tra i ruderi di Schliemann a Troia e anche sulle pendici alpine; avessi potuto l’avrei cercato anche alle porte di Tannhauser.
Ho cercato un varco fisico, reale, che mi consentisse di lasciare il mondo degli uomini e finire nel mondo delle fiabe tra l’azzurro dei principi, il verde dei fagioli, il rosso dei cappucci e il giallo dell’oro.
Mi sono procurato tutti i film e i cartoni animati che potevo e che parlassero di favole, ho letto libri a ripetizione, spesso gli stessi, fino a notte fonda, fino a impararne a memoria ogni passo, ogni dialogo, e sono sprofondato, piano e inesorabilmente, nelle sabbie mobili della mente, l’unico luogo e l’unico modo per raggiungere davvero la vita per sempre, da felice e da contento.
Pochi giorni fa ho capito che il varco mentale stava aprendosi attorno a me quando all’edicola è stato un orco a vendermi il giornale e poi tornando a casa, tra i bambini al parco giochi ho riconosciuto quella birbantella di Gretel dondolarsi sull’altalena come una forsennata. Oh, se era lei!
Sintomi della pazzia o frutto di duro lavoro? Ormai c’ero dentro e ho tirato dritto. Non sono uscito di casa per una settimana rileggendo migliaia di favole e sottomettendomi a visioni di centinaia di film. Ho dormito con A mille ce n’è sparato dalle cuffiette.
E finalmente posso dire di avercela fatta. Stamani sono uscito e la razza umana era bella che svanita lasciando spazio a folletti, principesse e animali parlanti. Scomparsa anche la città: niente asfalto e auto, ma prati smeraldini e carrozze e alberi che camminano.
Dio che meraviglia, la felicità e la contentezza finalmente sono parte di me, una nuova vita mi aspetta in un mondo senza tempo, senza numeri e senza dolore.
Ballo come riesco a fare e canto, ho una voglia incontenibile di cantare e di mostrare la mia gioia a tutti, anche se vedo laggiù - ohibò - un principino (piccino piccino) che tutto mi pare fuorché allegro, che diamine! Mi avvicino, magari potrò consolarlo un po’.
   «Buongiorno» gli urlo, sorridendo a ventimila denti.
   «Buongiorno un cazzo! Ma tu chi sei, scusa, cos’è tutta questa verve, questa gioia. Da dove ti viene?»
Devo aver fatto una faccia un po’ svanita.
   «Ah ok ok, ho capito, sei il vecchietto di una nuova favola, sei arrivato adesso e ancora non hai capito come gira il fumo».
   «Ma veramente, io…»
   «Senti me, psss, avvicinati. Sai quello slogan del vissero tutti felici e contenti? È ‘na mmerda!»
   «Ma come? Ma non siete sempre felici qui?»
   «Ma sì, certo».
   «E allora?»
   «È proprio quello, non capisci? L’infinita prospettiva di vita e la monotonia di una felicità senza fine t’ammazzano proprio».
   «…»
   «Io-voglio-morire. Voglio una vita di cui assaporare ogni singolo giorno perché so che finirà e che non ne avrò un’altra mai più».
   «…»
   «Ma hai visto come me ne devo andare vestito? Voglio una felpa nera con un cappuccio, voglio un paio di jeans strappati. Ma soprattutto: basta principesse odorose, pettinate e spazzolate, basta cavalli bianchi; voglio innamorarmi di un’infermiera, voglio respirare il sudore di una barista dopo un turno di lavoro e voglio una fottuta Ducati Monster».
   «…»
È qui che abbassa la voce, si guarda in giro e assume l’aria del cospiratore.
   «Ad ogni modo, nonnetto, resta nei paraggi perché sto studiando un modo infallibile per filarmela e per catapultare la mia trista esistenza nel mondo degli uomini. E se fai il bravo ti porto con me».
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Contributo all'EDS arcobaleno by TuttiNoiSappiamoChi
Partecipano anche:

18 aprile 2014

Cien años de soledad

Non ho l'attitudine né la competenza per celebrare alcunché.
Tantomeno un personaggio che muore.
Mi limito a trascrivere quello che è per me, e non solo per me (ma non sono geloso), il più bell'incipit della storia della letteratura. Proprio la prima frase, nello specifico.

Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.

Y como escribiò Gabo:
Muchos años después, frente al pelotón de fusilamiento, el coronel Aureliano Buendía había de recordar aquella tarde remota en que su padre lo llevó a conocer el hielo.

Non è una novità, non è nemmeno un apprezzamento originale, ma ci sono momenti in cui non serve per forza distinguersi, anzi è vivamente sconsigliato: lascia che il tuo cuore ami Cent'anni di solitudine, come il tuo palato un buon Chianti e la tua mano la pelle di lei.

16 gennaio 2014

I primi nove venerdì del mese

«Cammina!»
La mamma si volta sull’acciottolato e guarda sua figlia qualche metro indietro, è immobile in mezzo alla via e stringe al petto il suo Bubu, un orsacchiotto di peluche.
«Cammina, ti ho detto!»
«Sono stanca, uffa, e anche Bubu è stanco» dice la piccola mostrando il pupazzo alla madre. Lo tiene da dietro per il collo, teso verso la mamma, come fosse un’arma o come fosse un talismano capace di scacciare ogni spirito maligno e di cancellare la fatica da ogni singolo passo.
«Diglielo, Bubu!»
«Muoviti, dai, sono solo dieci minuti e poi siamo arrivati. E non fare storie, ne abbiamo già parlato».
La madre, col figlio più piccolo in collo, riparte a passi serrati verso il paese, la figlia s’imbroncia ma riprende a camminare anche lei, a capo chino e tirandosi dietro Bubu per un braccino.
«Forza Bubu, sono solo dieci minuti, non devi fare le storie, no no».
È venerdì pomeriggio, per l’esattezza è l’ottavo primo venerdì del mese. L’ottavo di nove venerdì consecutivi in cui la tradizione cattolica auspica messa e comunione. Nove primi venerdì del mese che se rispettati portano il fedele all’indulgenza plenaria e a morire, sempre e quando sarà il momento, nella grazia di Dio.
Sono tre chilometri per andare e tre per tornare di una strada solo in parte asfaltata e piana, ma per lunghi tratti pendente e sassosa e dove muoversi con un passeggino sarebbe più gravoso che doversi portare un figliolo in braccio. Sono i tre chilometri che separano il paese con la sua chiesa dall’abitazione di Margherita, di sua mamma Anna e del piccolo Luca.
Il venerdì successivo sarebbe il nono: è l’ultimo da osservare per poter ricevere la divina assoluzione di tutti i peccati in via preferenziale e direttamente dal sacro cuore di Gesù.
Luchino però sta male e la madre, sebbene ci pensi e valuti la cosa, non lo può trascinare giù fino alla chiesa, ché va bene è già primavera ma fa ancora un freddo birbone e il viaggio di ritorno è pure da fare al buio.
«Oggi non si va a messa, cucciola, tuo fratello ha la febbre alta ed è meglio se lo teniamo al calduccio».
La piccola è incredula, sgrana gli occhi e abbraccia il suo amico di pezza.
«Niente messa oggi, Bubu, che bello!»
Margherita appoggia la sua borsetta rossa di pannolenci su uno sgabello e l’orsacchiotto accenna due passi di danza della felicità, in un dondolare aggraziato e guidato dalla manina cicciotta della bambina.
Ma la solfa dei primi nove venerdì del mese resta lì, anzi, si ripresenta più minacciosa e più necessaria di prima, è una fortezza da espugnare, un vero e proprio punto d’impegno per mamma Anna.
Il supplizio è solo rimandato e tra una settimana si ricomincia, poche storie.
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Immagine: Billa (Sabina Feroci)
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 Il testo partecipa all'EDS Rosso come il peccato by La donna Camèl assieme a:
- Melusina con Gloria mundi
- Dario con Lisa Borletti
- Dario con Turi Pappalardo
- Dario con Lucevan li occhi suoi più che la stella
- Gordon Comstock con Il peccato più grande
- Fulvia con Biancaneve
- Melusina con Red Velvet
- Angela con Pensiero stupendo
- Angela con un altro Pensiero stupendo rosso jungla
- Gabriele con Cave cave deus videt
- Bianca con Vedo rosso
- Melusina con L'amore ai tempi dei nonni
- Pendolante con La confessione
- Melusina con Mille papaveri rossi
- Lillina con Iago
- Cielo con Il Pantone. Altro che rosso.
- Gabriele con Pesci bianchi, pesci rossi
- Michela con Apple
- Pendolante con Generazioni

17 settembre 2013

La Piccola Bellezza

In attesa di un metablog potremmo provare con un metapost.
S'era ipotizzato una volta di scrivere un pezzo, chi ne aveva voglia, rubando un titolo da un altro blog. Ecco, la situazione si è creata e potrebbe girare anche attorno alla stessa tematica, volendo, ovvero le piccole gioie della vita.
Non l'amore, i soldi, il sole che batte o la Fiorentina, no, quelle piccole, quelle che ti devi impegnare per definirle e comprenderle appieno.
Come aveva promesso, Bastian Contreras, dalle sue stanze di Nati per Pareggiare ha dato la stura e io vedo di proseguire.
Chi vuole aggregarsi non ha che da partorire un post a casa sua.

La pasta che lievita. Vedere il canovaccio che si alza sospinto dalla forza dell'impasto e scoprire la confortante slabbratura della croce incisa a priori sulla palla.

Il telefono che non suona quando ti siedi al tavolo della cena. Niente Andrei di teletù, niente sorelle siete a cena?, niente amici dispersi nel mondo del quando ci vediamo, niente.

La casella posta in arrivo vuota. Quando tutte le mail sono archiviate ammodino, anche se dura un attimo.

I fili nuovi dell'erba che spuntano su dalla terra dopo la ripiantumazione del prato. Piccoli.

La carezza rubata a un gatto di strada. Sai di quelli titubanti che fanno un passo verso di te e tre allontanandosi, di quelli che vorrei ma non posso, di quelli che hai un minuto per conquistarli e lo fai chinandoti, lentamente senza scatti, stendendo una mano e offrendo le dita per una grattatina sottomento.

Il pigiama caldo di termosifone nelle serate invernali.

Un gol a biliardino realizzato con la mediana. ____________________________________________________

22 marzo 2013

Anche le formiche nel loro piccolo sono Mennea

Non ce le avevamo le carte Pokémon, per fortuna, tantomeno le Yu-Gi-Oh e di consolle manco a parlarne. In estate poi non giravano più nemmeno le figurine Panini. Però c’erano le formiche, quelle sì.
Avevamo degli scatolotti trasparenti da pasticche che trafugava da casa il mio amico, il figlio dei farmacisti, tutti belli etichettati coi nomi dei velocisti più noti in quel momento e dentro, assieme a cibarie da formiche tipo semini pane insalata, ci cacciavamo una formica. Era una colonia, sì quasi un carcere, ma le accudivamo al meglio (*).
Poi, su un compensato, con dei chiodi ritorti, avevamo fissato una forassite da elettricisti di quelle grigie, ché quelle colorate son venute dopo. La forassite faceva una curva e poi dritta a riprodurre il tratto di pista percorso dai velocisti sui 200 metri.
L'idea era quella di cronometrare il tempo di percorrenza del canale da parte delle formiche e poi moltiplicarlo per un coefficiente che lo rendesse confrontabile con il 19,83 di Tommie Smith, allora ancora record del mondo.
Al momento della gara il bussolotto veniva accostato all'entrata della forassite/pista che la formica avrebbe dovuto percorrere più velocemente possibile. Pure se nessuno gliel'aveva detto, restavamo fiduciosi.
Avevamo Don Quarrie, Valery Borzov, Hasely Crawford, Steve Williams e Pietro Mennea, tanto per capirsi.
I formiconi che potevamo catturare, lasciando stare le specie troppo piccole, erano di due tipi. C'era il tipo flemmatico, quelle belle cicciotte, che se la pigliavano comoda nella vita come nella nostra pista, facevano qualche passetto e poi capace che stavano mezza giornata dentro alla curva a contemplare non si sapeva bene cosa. E poi c'era il tipo più snello, l'addome più ovale che tondo, che quelle non stavano ferme mai, anche di più difficile cattura. Queste ultime non facevi a tempo ad introdurle nel tubo che erano già uscite dall'altra parte e te rimanevi lì, col casio nero in mano, incapace pure di farlo partire il tuo adorato cronometro al centesimo di secondo, figuriamoci fermarlo a dovere.
Andò così che Don Quarrie rimase in pista finché non lo soffiammo via colla forza, mentre Mennea riconquistò la sua libertà in un lampo e il coefficiente di ricalcolo non fu mai nemmeno ipotizzato.
Il gioco durò perciò poco e, come saggezza popolare vuole, risultò assai bello.

(*) Nessun animale è stato maltrattato nella produzione dei 200 metri piani in forassite.

5 febbraio 2013

Read Only Memory - n. 8

Leggere David Foster Wallace è un'esperienza mistica. E devastante.
Se ami leggere vieni preso per mano, a volte spinto con forza o trascinato, altre preso a calci nel culo fino a che ti guardi attorno e hai raggiunto la vetta, un punto panoramico talmente elevato da cui puoi intravedere il paradiso del lettore e percepirne l'estasi. Lassù dove senti l'odore di Omero e di Hemingway.
E ogni altro libro che hai letto sbiadirà nella tua bibliomente come fosse una banconota da mille lire centrifugata al dixan.
Se invece hai una qualche, benché misera, velleità di metter giù tre parole in fila, in un racconto, in un post o foss'anche in una lista della spesa, allora verrai ghermito e imbavagliato, infagottato stretto e macinato a testa in giù nel tritarifiuti usato da Steve Buscemi in Fargo. E ogni cazzosa cosa tu abbia scritto fino ad allora ti sembrerà elementare come una filastrocca per i bambini della materna ma, fatalmente, meno nobile.
E ogni cazzosa cosa tu abbia avuto in mente di scrivere finirà fortunatamente triturata con te.
Quindi, lettori, leggete Wallace che vi condurrà su di un celeste cammino e pseudo/aspiranti scrittori leggete Wallace che vi aiuterà a smettere.
Ho letto La scopa del sistema, ecco.
...
Vengo invitato da Rex Metalman a un qualche Rito della Pubertà in onore della figlia.
Detto rito consistente di file e file, di schiere e schiere, di intere nazioni di sfinite e nervose ragazze in smodati abiti rosa e pessimo portamento. Gracili, capo chino, mani poggiate reciprocamente sulle spalle, labbra in movimento esclusivamente se a ridosso dell'orecchio della vicina. Strabuzzo un po' gli occhi al mio terzo a quarto qualcosa e mi sento in un pantano ghiacciato e scrocchiante, gelido laghetto di fenicotteri canditi, fiori di neve che lentamente si screpolano sotto un sole di cristallo variegato. Poi le ragazze si trasformano e per un po' diventano vagamente rettilee, teste sporgenti come di tartaruga, vagamente anfibie, in apparente continuo scrutinio di premio o minaccia - con brufoli svettanti in determinati angoli di determinate bocche.
Sì, ovviamente tutte tranne Mindy Metalman, che era in abito bianco, con garofano di zucchero rosa, e capelli raccolti in una crocchia fitta ma con un'esplosione di nera ciocca qua, e là, e qua, avvisaglie della scura nova che la sua chioma era pronta a diventare da un momento all'altro purché qualcuno estraneo al mio ascendente lo volesse.
E Melinda Metalman dritta in piedi, colonna dritta tranne per la curva cignea del collo e per quella pelvica, cioè quella con cui demoliva gli incauti, ragazza solida e dritta e succosa, abito corto quel tanto da consentire al maschio pensante un facile accesso immaginativo alle ivi ospitate compagini in ampia e silente rivoluzione attorno al loro asse rovente.

...

Va bene, potete riprendere fiato, e magari lasciare la vostra traccia di lettura.

20 gennaio 2013

4 Topolini e 4 Sofficini

C'era un giorno del mese, verso la fine, che la signora dove mia mamma andava a sfaccendare le mollava gli ultimi 4 albi di Topolino, da portare a me.
Erano abbonati e non collezionavano, per fortuna, i signori. Quel giorno, tornando da scuola, assieme ai 4 Topolini accanto al piatto, avrei trovato per pranzo 4 Sofficini. Quando ancora i Sofficini non sorridevano e Carletto stava sulla luna. Avevo indottrinato la genitrice per benino. Era il compimento della giornata perfetta. Il prototipo della felicità.
Prima che arrivassero le ragazze a scombinare tutto. Anzi, prima che non arrivassero le ragazze a scombinare tutto.
Potevano avermi fatto il mazzo a scuola o caricato con badilate di compiti, ma nei trenta minuti di abbinata topolino-sofficino niente avrebbe scalfito la mia estasi.
Era una felicità semplice, fatta di paperi sfigati e di formaggio fuso.
John Helliwell, è uno scienziato co-autore del Primo Rapporto Mondiale sulla Felicità e mette in fila i Paesi del mondo sulla base di questo stato d'animo. L'Italia si piazza ventottesima.
"La felicità si può misurare" spiega Helliwell.
Certo, in topolini e sofficini.

2 gennaio 2013

Obiettivi 2012 - consuntivo

E così questa specie di PAC-MAN per discromatopsici sintetizza il mio 2012. Ho messo un grafico, per quanto insulso, perché dice che i grafici tirano. Mah.
Vediamo il dettaglio:

1 - Arrivare al 2013 - e questo l'ho preso: vivo alla meta.

2 - Leggere almeno 24 libri - preso, anche se faticando (seguirà post).

3 - Finire la 1a stesura del "raccontone" - fallito, alla grande. Ho scritto un capitolo, faccio caà.

4 - Trombare la Cucinotta - fallito, però ho gettato le basi, la seguo su twitter e le ho mandato il link a un mio certo post (se mi dovessero arrestare per stalking spero solo non mi diano i domiciliari dalla Santanchè)

5 - Ampliare la casa di 1 vano - fatto. Mi ha ridotto sul lastrico, però fatto.

6 - Giocare almeno 48 ore di tennis - alla stragrande, obiettivo più che doppiato sulla scia dell'entusiasmo scaturito da Open e non solo.

7 - Uscire almeno 12 volte con gli amici - preso per un pelo, con la dozzina raggiunta appena prima di Natale.

8 - Cucinare almeno 24 nuove ricette - preso, anche se molto impegnativo. È l'obiettivo che mi ha dato più soddisfazione dell'anno. Mi prendo il merito dell'idea. È stato apprezzato da dolcemetà, figli, amici, parenti... insomma mangiare garba sempre. (magari seguirà un post sull'argomento)

9 - Scrivere almeno 120 nuovi post sul blog - preso, nonostante nuove energie disperse in giro su altri asocial network.

10 - Dire almeno 12 volte "ti amo" in giorni diversi, la donna va bene anche la stessa - preso.

11 - Riuscire a vedere sulla bilancia almeno una volta i 79,9 e chiudere l'anno max a 82 kg - preso, ma che stress immondo: chiudo a 81,8.


9 su 11 è un bel risultato, il migliore degli ultimi anni; mi ha stimolato senz'altro il fatto di averli resi pubblici, venire qui a raccontare il fallimento non era proprio la mia massima aspirazione.
Ho intenzione di ripetere la cosa anche per il 2013, ma mi prenderò gennaio per pensare alla scelta degli obiettivi. Una linea per quest'anno che punterà alla qualità piuttosto che alla quantità.
E l'undicesimo, quello che spariglia, ce l'ho già in testa: Zero multe!

17 luglio 2012

Essere Corrado Guzzanti

E sì, potendo scegliere, a valle di una sommaria riflessione, io vorrei essere quest'omino qui.
Ritengo ipocrite quelle frasette quando, interrogati su chi vorremmo essere, si risponde "non mi cambierei con nessuno"; falsi!
E quando portati ad analizzare le scelte fatte in una vita si taglia corto "rifarei esattamente le stesse"; ipocriti!
L'essere del titolo va proprio inteso in alternativa alla persona che siamo adesso.
Perché proprio Guzzanti, non è importante. Diciamo che non è necessario esporre un motivo preciso o dettagliare l'opzione, è una cosa che si sente a pelle, quasi un istinto.
Qualcuno, conoscendomi, potrebbe obiettare E Gigi Riva, allora?
Giusto, ma qui stiamo parlando di esseri umani non di divinità.
Lasciate perdere gli affetti, in questa ipotesi sono fatti salvi, non è che verrete tacciati di mancato amore verso i vostri figli se optate per essere qualcun altro.
E non considerate nemmeno l'età dei personaggi, il gioco è da intendersi atemporale.
Insomma, voi, chi vorreste essere?

Risposte Vietate:
  • Me stesso
  • Hombre
  • La moglie di Hombre
  • Il gatto di Hombre
  • John Malkovich
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VOI:
pesa - Clint Eastwood (ovviamente)
melusina - Audrey Hepburn (e no che non è poco)
speaker muto - Richie Kotzen (quello dei Poison - ah, ok)
lillina - Margherita Hack (o la Bellucci o la Theron)
alessandra - Annie Lennox (siete u-gua-li!)
myriam - Maria Sharapova (con la mia racchetta)
mgg - Veronica Lario (non infamatela, c'è un perché)
bianca - Alice Munro (ma dietro a Strillo, il suo gatto nero)
plus1gmt - Il tastierista dei Subsonica
kermit - Linus Torvalds (il link a wiki è per me)
firulì firulà - Livia Giuggioli (è un discorso...)
giovanni - La mamma di Belpietro (uhm)
emix - Spongebob (ci vediamo al Krusty Krab)
orsa - Regan MacNeil (oddio oddio)
la carta - Il Dottore (Who)
chiagia - Alessandro del Piero (pure uno juventino mi tocca)
lucien - David Byrne (eh beh)

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28 giugno 2012

Italie-Germanie

Copio Chiagia che s'ispira a Gramellini e fermo le istantanee delle mie 3 Italie-Germanie, anzi aggiungo una bonus track.

1970 - L'ho vista solo il giorno dopo, in bianco e nero sul già citato Radio Allocchio Bacchini. Ricordo la frase di mio padre che, incredulo, raccontava della gente che a Firenze per la gioia aveva fatto il bagno nelle fontane. Ecco, lui era più stupito da questa cosa che dalla rocambolesca partita dell'Azteca. Il mio idolo Gigi Riva segnò un gol straordinario (riguardatevelo dall'inizio, è lui che recupera quel pallone nella nostra metà campo) e fu il primo ad abbracciare Gianni Rivera alla rete del definitivo 4 a 3. Quell'abbraccio, ogni volta che lo vedo o che lo penso, mi dà i brividi, né più né meno dello scolapasta assassino.

1978 (extra) - Non era una finale e non era un'eliminazione diretta, era la partita di un gironcino al mundial argentino. Era l'estate del mio primo lavoro (in vacanza da scuola) al distributore Esso dell'area di servizio Chianti Ovest, pompavo bnezina giù nei serbatoi ed ero di turno. Fu Pasco, un collega - che dio o chi per lui lo benedica! - ad arrivare con un Sinudyne 14 pollici in rigoroso bianco e nero che fu piazzato all'Esso Shop. Era una grande Germania, erano i campioni del mondo in carica, giocavano con Sepp Maier in porta, ma tenemmo il campo bene, meglio di loro e pareggiammo 0 a 0. Rammento Antognoni, col 9, sostituito da Zaccarelli.

1982 - Ero militare a Pistoia e dovevo rientare alle 11, tassativo. Se fossero andati ai supplementari, li avrei persi. La vedemmo a casa mia con mia sorella, mio cognato e una coppia di loro amici di Pontassieve, mai visti prima e poi spariti nel nulla. Rientrai in caserma con il tricolore appeso al collo come un mantello e mi presi l'applauso dell'ufficiale di guardia. Ma la cosa che più ho impressa nella memoria è la delusione al rigore di Cabrini e la sequela di insulti che gli ho urlato contro, altro che il vaffa bonario di Pertini.

2006 - Ero in campeggio, alle Rocchette, e l'ho vista coi villeggianti allo schermo gigante, compresi parecchi tedeschi. Anche il mio France era piccolo e dormiva in roulotte con dolcemetà che si era sacrificata... ricordo anch'io molto bene quella fava di Fabio Caressa che alla fine disse "E ora andiamo a Berlino a prenderci la coppa" e che ci toccammo tutti, proprio lì (ognuno i suoi).

2012 - Quello che mi vien da dire è che fuori non percepisco un clima da Italia-Germania, non si respira il sapore acre di certe vigilie. Non si parla di formazione, non la si discute. Dove son finiti i 50 milioni di Commissari Tecnici? Hanno perso il lavoro pure loro?

26 giugno 2012

Wimbledon 2012

Il primo Wimbledon che ricordi in tivù è quello del 1976 con la finale giocata e vinta dall'astro nascente Borg. L'avversario dello svedese era il rumeno Ilie Nastase, un personaggio unico, il McEnroe di quei tempi, per intenderci.
Ero con Nicola, siamo partiti presto dopo pranzo, era un caldo soffocante, gli adulti murati nelle case. Era il giorno della finale, ma dovevamo farne altre ventimila, non è che un evento solo, seppure così importante, poteva saziare il nostro vagabondo spirito estivo.
Siamo andati prima al lago del Migliorini, strisciando per fossi e viottoli erbosi incuranti del caldo e, una volta là, abbiamo fatto strage di persici: pesciolini fin troppo colorati e vivaci per vivere in quella melma di lago ma comunque immangiabili.
Poi siamo tornati e sudati fradici ci siamo buttati sul divano per ammirare i nostri eroi sul catodico tubo del mio Radio Allocchio Bacchini.
Nicola teneva Borg e io Nastase, perché tenere Nastase era più comodo, lui era famoso, l'altro era un pischello venuto da chissà dove. Nicola, invece, che faceva sempre l'alternativo tifando Stenmark, il Lanerossi Vicenza e James Hunt sposò la causa del biondone, imparò pure il rovescio a due mani e prese a farmi il culo sul campo in terra rossa del Rampizzi (eh sì).

A me Wimbledon rilassa, oltre a scandire piacevolmente la vita. Intanto è in un periodo in cui siamo spesso in ferie, al mare nei weekend o in piscina ed evoca giocoforza scenari migliori della sagra della ballotta di novembre. E poi è preciso, puntuale, si presenta educato sul tuo schermo, ti irrora il salotto di un bel verde e pare che ti dice "ciao, stai ancora là? Io ci sono, puoi buttare un occhio se ti va".
Wimbledon è una garanzia, ritorna ogni anno ed è sempre carico di fascino.
Tutto questo per dire che se un anno avrò quei due-tremila euro da buttare ci vado a vedere una finale.

22 giugno 2012

Acqua 2 Ho

Il comune dove abito, Bagno a Ripoli, (avremmo modo di parlarne anche male, ma un'altra volta) ne ha fatta una giusta impiantando sul territorio enne distributori di acqua alta qualità, ché a noi bere proprio quella del rubinetto ci schifava un po', anche se con la brocca e i filtri si faceva.
Quindi si va ai distributori pubblici e si evita l'assurdità ecologica di approvvigionarsi ai supermercati di bottiglioni plastici ripieni del prezioso liquido proveniente dai luoghi più disparati e lontani e altissimi e purissimi della penisola (quando non dall'estero), e portato a destinazione da tutti quei bei TIR che mi passano davanti casa rilasciando gli amabili resti di polveri sottili che non riuscirebbe a tirare via manco quel matto di Pablo col Pronto, purtroppo.
Va così che, gratuitamente, ci procuriamo dell'ottima acqua da bere, financo gassata, volendo.
Solitamente io, dolcemetà e pikachu (il piccolo) beviamo quella gassata mentre goku (il grande) quando viene, va rigorosamente a naturale, essendo sempre stato avverso alle bollicine.
Ora succede uno strano fenomeno quando siamo a cena in 4 e sulla tavola coesistono i 2 tipi di acqua, naturale e minerale: pikachu beve solo ed esclusivamente acqua naturale e guai a versargli l'altra.
E io, da padre, che ci vedrò secondo voi? Una picca? No!
Ci vedo l'ammirazione, il rispetto, la stima, l'invidia, l'emulazione... l'amore, in una parola, del cucciolo per il suo fratellone.
E mi sciolgo, pure con l'aria condizionata a palla.

6 aprile 2012

Read Only Memory n. 6

Da adulto, se c'è una cosa che mi ricorda l'eccitazione per la sorpresa da cavare fuori dall'uovo di Pasqua, è la lettura d'un libro.
È una sensazione più lenta, diluita, che senti fremere forte nelle mani solo quando ti appresti a cominciare un nuovo romanzo, poi si fa soffusa.
Spaccare l'uovo è voltare la copertina e tuffarsi dentro al primo capitolo.
Come a Pasqua, poi, la sorpresa spesso può deludere, non di rado è moderatamente piacevole, ma alcune pregiate volte è davvero appagante e vale l'attesa, e vale il gioco, la candela, Sansone e tutti i Filistei.
E ce ne sono a bizzeffe di sorprese celate, e nemmeno troppo, dentro alle pagine di un buon libro, e non appena ti accorgi di averle comprese e tolte dall'incarto, succede che c'hai quella faccia lì, un po' ebete e un po' sorniona, di quando, tra i pezzi di cioccolato, tiravi su una sorta di trottola colorata e non vedevi l'ora di farla girare, per sempre.

Accostarono le tende alle finestre. È così semplice lasciare la casa dove si è abitato per anni. Non ci si affeziona a un alloggio, tantomeno un ufficiale. Perché diventi casa, un'appartamento condominiale dev'essere abitato da una donna. Se lei se ne va, o muore, la casa torna a essere semplicemente un edificio, una baracca, un buco. Così disse il colonnello a Helena Puusaari.
"Ti manca ancora tua moglie?" chiese lei.
"Sì. Tyne è morta di tumore tre anni fa. Il primo anno è stato il più difficile. Ho preso anche un cane, ma un cane non sostituisce una moglie, per quanto sia di razza."
(Piccoli suicidi tra amici - Arto Paasilinna)

E voi, che sorpresa avete trovato nel vostro libro (n)uovo di Pasqua?
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