27 febbraio 2017

Easy Death - Beta version

Moriamo meno moriamo tutti.
C'ho già anche lo slogan.
No perché se hai a che fare con gente che sta male di testa - tipo il mio vicino di casa che parla con la foto della su' mamma morta cinquant'anni fa in una sorta di videochiamata continua, o tipo la mia mamma purtroppo - il primo pensiero che ti viene è: Io a questi punti non ci voglio arrivare, mi ammazzo prima.
Ecco l'ideona per non doversi sbattere troppo: serve un'app dedicata.
Io ho messo l'idea, la realizzazione e i guadagni li lascio ad altri.
Le specifiche in fin dei conti sono anche semplici.
Il processo deve essere Sicuro e Indolore.
Attivabile solo dal diretto responsabile, quindi sono da studiare tutta una serie di controlli su impronte, iride o chessò io, per evitare che se ne serva qualcun altro.
E poi c'è da inventarsi un modo pratico per indursi la morte, premendo un tasto. Senza spargimenti di sangue, una morte pulita, digitale (*) o qualcosa di simile.
E tanti saluti a chi resta.

(*) No, non è sufficiente cancellare il proprio profilo dai social.

22 febbraio 2017

Per me l'è pari

A me piace svegliarmi alle ore pari.
O ai minuti pari.
O ai minuti col "5", che son dispari ma rassicuranti nel metrico decimale.
Anche questo è un sintomo di vecchiaia, temo, una debolezza psichica.
Sono in grado di puntare la sveglia alle 7:00 (l'anno scorso) o alle 6:40 (quest'anno con Juno e le medie inferiori) e anche al minutaggio che finisce in 2, 4, 6, 8, volendo.
Eppure sono stato giovane anch'io e ho puntato sveglie alle 1:19, alle 7:01 o alle 6:47 senza che questo mi rovinasse il sonno.
Senza che la disparitudine interferisse con i miei bioritmi.
Quanto a sveglie, la meglio però l'era quella di' mi' nonno Gigi che quando la suonava la cominciava a camminare sul top del cassettone di marmo fino a cascare in terra, senza che questo ne precludesse il riutilizzo il mattino successivo.

17 febbraio 2017

Divisione Potente (2)

Segue da Divisione Potente (1)

Il vecchio doic strizza gli occhi a fessura in un fare che sembra temerario e di sfida.
- Badstuber, Ja. Risposta è ancora ja.
Non è un uomo avvezzo a chinare il capo o a scusarsi; la sola postura, impettita e poderosa, parla per lui. Indossa un cardigan variopinto dal vago richiamo latinoamericano aperto su una camicia chiara, pantaloni neri larghi e un paio di pantofole marroni con la zip.
Uno di fronte all'altro, si studiano, si annusano.
La solennità con cui la figura del tedesco si staglia nel vano porta è però compromessa senza appello da una macchia di sugo sulla camicia. Questo piccolo alone rossastro attira l'attenzione di Baldo senza che possa farci niente.
È la spia di una sciatteria che Baldo non pensava di dover affrontare, non in un ex ufficiale dell'esercito tedesco, ma forse è anche un'uscita di sicurezza.
È preparato per giudicare, è preparato per rispondere a tono, per puntare il dito e per incazzarsi. È preparato per sparare.
Dalla casa filtra il suono di un televisore acceso, parole diffuse in suoni grattugiati e duri, che hanno il potere di rispedirlo nel buco. Si rivede dentro a respirare la terra, con le mani premute sulle orecchie nel vano tentativo di isolarsi dagli spari e dalle grida.
È qui che tira fuori la pistola dalla tasca.
Il tribunale del popolo riunitosi sulla soglia di una casa alla periferia di Friburgo è ridotto all'osso: imputato e giudice, ma non per questo è meno qualificato a deliberare.
Arringa e pubblica accusa si confrontano in pochi attimi intrecciati in un comune e nero passato e rigonfi di indecifrabile silenzio.
I passi pesanti del tempo che fu rimbombano fino a loro, schiantano quella fetta di presente pronti a proiettarsi in un futuro che può ancora essere tutto o niente, per entrambi.
Baldo non è certo che la pistola funzioni, è pur sempre un residuato bellico come arma e come munizioni. Con tutto che l'ha oliata per bene, chissà mai cosa succederà allo scatto del grilletto. Certo il ferro può fare il lavoro suo, o magari cilecca, oppure esplodere e ammazzarli entrambi, è un rischio a ben guardare.
Ma non è per quello che non spara.
Più per la macchia di sugo.
Quella frittella è la prova di una trascuratezza che ha sopraffatto il vecchio doic e, tutto considerato, appare a Baldo una sufficiente punizione in questo universo così lontano, nella sua dimensione di spazio e di tempo, dalla notte del 2 agosto 1944, lassù alla casa del pastore.
Baldo continua a guardare verso il vecchio maresciallo, è lui sì.
Inizia a muovere la testa nervosamente dall'alto verso il basso in un frenetico annuire che non porta da nessuna parte.
Quanti anni passati a fare ricerche sulle truppe tedesche di stanza a Firenze, quanti giornali sfogliati e fotocopiati, quante notti dentro al buco, quanti fantasmi.
Non la dice un'altra parola, rimette la pistola in tasca e si volta, percorrendo il vialetto fino al cancellino a ritroso.
Poi, per un improvviso rumore di vetri infranti, si voltano entrambi verso la casa del vicino: è l'ultima cosa che, in qualche assurdo modo, li unisce.

Otto Ladstaetter aveva perso la fiducia, ormai non ci sperava più nel partigiano giustiziere a cui aveva scritto la missiva delatoria, finché non notò uno tizio mai visto prima, stonato e pensieroso, parcheggiare una brutta macchina italiana in fondo alla via.
Dovette aspettare una giornata, ma sembrava proprio che ne valesse la pena.
Spiò tutta la scena dalla finestra della sua camera da letto, al primo piano.
Ebbe un'erezione quando in mano al dottore Baldini comparve la rivoltella, filava tutto così liscio, facile come mangiare una pesca.
Ora! Ora! Tifava da dietro la tendina. Era in curva allo stadio, sciarpato e paonazzo, ad aspettare che il centravanti della sua squadra battesse il cazzo di calcio di rigore spiazzando il portiere.
Fu lui invece quello preso in contropiede dalla ritirata di Baldo.
Bestemmiò come al peggior rigore tirato alle stelle, prese a calci il puf fino a scoperchiarlo e a farlo rotolare via, agguantò la radiosveglia dal comodino, segnava le 18 e 43, e la scaraventò contro la finestra.

Hans Badstuber era stranamente calmo. Lui stesso si era stupito, ripensandoci, di come aveva affrontato la situazione. In effetti non aveva fatto molto a parte stringere gli occhi per mettere a fuoco il visitatore, chissà dove aveva lasciato gli occhiali! Il viso di Baldo non gli diceva niente ma, al tempo stesso, spalancava la porta blindata del suo intimo. Ringraziò il suo dio per essere arrivato fino lì, per i suoi figli e per i suoi nipoti. Poi ebbe un pensiero preoccupato per il suo cane. Chi se lo sarebbe preso il pulcioso?
La prospettiva di morte stranamente non l'aveva spaventato, semmai rassicurato. Ma poi non era morto, questo era lampante. Non lo sapeva il perché, ma in fondo non gli interessava nemmeno.
Tornò sul divano ancora in tempo per la fine del telefilm e riprese il vassoio con il piatto di spaghetti alla bolognese, caso voleva, italiani come quel cristo resuscitato dalla guerra e presentatosi all'uscio.
Quando il campanello suonò di nuovo, sentì un brivido secco disegnargli la schiena. Ripensò a quella pistola lucida e ridicola di poco prima e si servì dello spioncino.
Era solo il coglione del suo vicino di casa, ma perché mai aveva una scure?
Aprì.

Al commissariato di polizia di Friburgo Baldo consegnò la pistola e confessò che era venuto per ammazzare un uomo, e anche che non l'aveva fatto e tutta la tiritera. Facessero di lui quello che era giusto, non voleva campare con un peso tale sulla coscienza.

Tre giorni dopo Baldo fu rilasciato, dopo un processo per direttissima e una condanna a sei mesi con la condizionale per detenzione illegale di armi da fuoco. Solo allora, in un mattino prussiano, fresco e stipato di nebbia fine, solo allora si decise a chiamare la moglie.
- Lilla, ciao, va tutto bene. Stasera per cena dovrei essere a casa.


15 febbraio 2017

Divisione Potente (1)

- Werner Franz?
- Ja...
- O preferisce maresciallo Badstuber?

Silvano Baldini detto Baldo veniva dall'Italia da solo, con la sua Ritmo bianca: tutta una tirata da Firenze. Le indicazioni erano precise e aveva trovato il vecchio, il sedicente Werner Franz, in una villetta monofamiliare alla periferia di Friburgo. Il vecchio doic era uscito di casa due volte quel giorno. Al mattino presto con il cane aveva fatto un giro nei dintorni. Nel pomeriggio a prendere dei presumibili nipoti a scuola che, sempre a piedi, aveva accompagnato da un presumibile figlio. Erano passati per il parco, i due nipotini belli e biondi maschio e femmina con il nonno Werner, o Franz, che manco qual era il nome si capiva.
Un nonno.
Ma Giannetto non ce l'aveva fatta a sposarsi, e così niente babbo e niente nonno, così come Smanne, Cannone e Berto, tutti troppo giovani per trovare una moglie e figliare in quei tempi così difficili. Nessun babbo e nessun nonno tra le vittime della strage alla casa del pastore. Solo Balena, il caposquadra, era sposato e la sua Rosa era già in attesa, ma non avrebbe conosciuto né Marilena, la sua bellissima figlia, né i suoi nipotini.
Cinque vite partigiane appena sbocciate ma potate via senza pietà.
Si era fatto forza ripensando a loro, aveva tirato un sospirone e si era mosso dalla panchina. Aveva aperto il cancellino sulla strada e si era presentato direttamente alla porta di casa.

Egregio dottore Baldini, così cominciava quella strana lettera senza una data, senza una firma e scritta fitta nella parte alta del foglio. Si sarebbe detto che l'autore pensasse di scrivere un poema ma poi avesse perso l'ispirazione.
Era meglio se ero dottore, pensò Baldo. La missiva poteva portare solo grattacapi, ma la lesse lo stesso, dopotutto che altro c'era da fare? L'aveva visto in tivù, proseguiva il tizio nella lettera, a quella trasmissione sui partigiani italiani, aveva ascoltato la sua storia e il caso voleva che avesse una notizia per lui. Una MOLTA BELLA NOTIZIA, così, tutto in stampatello maiuscolo.

Otto Ladstaetter si stava facendo una birra sul divano e saltellava tra i canali quando vide una vecchia foto di un soldato tedesco, di un ufficiale tedesco, a tutto schermo. Che iddìo l'accecasse se non era quel porco del suo vicino di casa, che va bene sarà stato pure un bravo soldato nella sua fottuta giovinezza, e avrà servito il cazzoso Reich, e fatto il suo sporco dovere, ma diavolo se era un rompicoglioni di prima fascia. Potava la siepe senza raccogliere le frasche, intanto, non aveva messo un euro quando c'era stato da rifare il muretto basso di confine, quando usciva in auto la teneva accesa venti minuti prima di partire davvero e levarsi di torno e, per non farsi mancare niente, aveva un cane bastardo che ti veniva in giardino a scavare e far le robe grosse e le robe piccole.
Forse lo poteva aiutare quell'ex partigiano dal viso scavato e commosso che alla tivù blaterava a proposito dei suoi compagni d'arme sterminati.

Baldo non ci voleva andare alla trasmissione, e soprattutto non voleva dei soldi per partecipare. Lo convinse suo figlio grande ad andarci, fallo per Balena, gli disse, glielo devi, glielo dobbiamo tutti. Ritornò a vedere la lapide, anche se la conosceva a memoria, parlò con i loro nomi incisi sul marmo, anzi parlò con i loro soprannomi ché come si chiamavano davvero non se lo ricordava più nessuno e certo non era importante. Sentì Balena urlare Muoviti, cazzo!
Così si mosse, si rimbellettò e si fece portare di là dalla tivù. Raccontò tutto, con lo stomaco attorcigliato come un canapo e gli occhi gonfi di chi sopravvive alla tragedia senza averne un merito specifico.

Smanne, che era di guardia quella notte, non fece quasi in tempo a tornare indietro ad avvertire.
- I tedeschi, i tedeschi - urlava - sono qui!
Si svegliarono tutti di soprassalto e si prepararono alla battaglia, ma di più si prepararono a morire.
Balena prese Baldo per la collottola come si agguanta un gattino rognoso abbandonato dalla micia, e gli mollò un calcio nel culo.
- Forza, nel buco!
- No, voglio una pistola anch'io, datemi una pistola anche a me, so sparare!
- Non dire bischerate, forza infila dentro. E muoviti, cazzo!
E Baldo, il ragazzino di quindici anni, il portafortuna, poté solo rannicchiarsi in fondo al buco e tapparsi le orecchie per benino.
Il buco era un tunnel a forma di "U" nel costone di un balzo argilloso, l'aveva scavato il pastore, ci teneva il formaggio in fresco d'estate, quando ce n'era.

Il maresciallo a capo della pattuglia in lento ripiegamento aveva mostrato ai soldati la strada sulla carta geografica del luogo e dove stava la capanna in cui dormivano i luridi partigiani. Sarebbero andati su di notte a fare il lavoro, nulla che non si potesse affrontare con una decina di soldati volonterosi e bisognosi di sfogo.

Avevano seguito la Lilla, la nipote della Dina. Era lei che ogni tre giorni caricava la bici e vedeva di portare delle provviste ai ragazzi nascosti al casone del pastore, al limitare del bosco di Fontesanta. Per la verità era tutta salita, e parecchio ripida, e la Lilla la faceva a piedi spingendo la bici, con le provviste in una cassetta di legno legata dietro.
Ma scendere giù, tornare in paese affettando l'aria, era così liberatorio da farle dimenticare persino il rischio che correva.
In certi tratti di discesa mollava i freni, socchiudeva gli occhi, ed esisteva solo il vento che le faceva scoppiettare il vestito.

12 febbraio 2017

Gigliola cara


Gigliola cara, scrivo per tranquillizzarvi.
Per quanto vostra madre non si sia ancora rimessa del tutto dalla fastidiosa bronchite che l'affligge oramai dallo scorso inverno, si può finalmente affermare che ne stia uscendo. Giusto ieri, si è tolta le scarpe sul bagnasciuga e a piedi nudi è andata giù fino al molo, tenendosi su la gonna con le mani.
Per quanto la sua ostinata contrarietà a ogni tipo di farmaco ne abbia ragionevolmente rallentato la guarigione, cominciare a vederla osare, riuscire ancora a scoprire una piega di sorriso sul suo volto, mi scalda il cuore.
Rallegratevene, Gigliola cara.
Non c'è bisogno che veniate, almeno per il momento, vederla così in salute rende meno gravosi i miei impegni e mi aiuta a superare meglio le fatiche.
Non ci crederete, ma ho persino imparato a stirare, seppure lo faccio di nascosto a vostra madre e con le imposte chiuse. Devo difendermi dagli sguardi insistenti dei Barbaglini che son sempre lì a occhieggiare, poveri loro. E povero mondo.
Tuttavia incontro ancora difficoltà al momento di ripiegare gli accappatoi, sarebbe opportuna una vostra lezione in merito, quando e se capiterà un'occasione.
Oggi, guardando il mare, mi è salita l'insana voglia di noleggiare il pattino, come si fece l'anno scorso quando poi non si riusciva più a tornare a riva e ci prese il ridere. Se non fosse stato per il buon cuore del bagnino, si sarebbe andati alla deriva, ridendo ridendo, fino in Corsica.
Non sono mai stato buono a remare. Eppure sembra così facile a vederlo fare, ma forse va bene quando a farlo sono i giovanotti sportivi di oggi, ma non si addice a un vecchio maestro in pensione dai muscoli ammutinati.
Non sono mai stato buono nemmeno a dirvi quanto vi voglio bene, Gigliola cara, e anche se non potrò mai riempire il vuoto lasciato da vostro padre - del resto nemmeno lo vorrei - vi posso promettere che starò vicino a vostra madre con dedizione e con amore, come di certo avrebbe fatto lui.
Forte dei Marmi, 27 luglio 1964

P.S. C'è una brezza vivace stasera: dal terrazzino si vede la striscia infinita di cielo appoggiata sul mare. Non c'è una nuvola, tutta la volta è azzurro purissimo, non un filo di bianco, da nessuna parte. È vero. Anche se inverosimile, è vero, dovreste vederlo.
"Non esiste un cielo così" è quello che dissi a un mio alunno diversi anni fa "mettici un po' di nuvole che è più bello, diventa più vero".
E invece no, Gigliola cara, adesso l'ho capito, non è utopia tirare via tutte le nuvole dal cielo, anche se è tardi per dirlo a quel bambino.
Anche i maestri dovrebbero prendersi dei brutti voti qualche volta, non credete?
Ecco, mi sono dilungato, come spesso mi accade quando riprendo la penna in mano dopo tanto tempo, non vogliatemene.
Vostro Piero


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8 febbraio 2017

Del downgrading tecnologico


Quando ti abbandona un cinofonino hai voglia a portarlo a riparare da loro!
- Si è lotta la displei, no possibile di lipalale no avele pezzi di licambio di questa malca.
Ti attacchi e basta.
Siccome che è durato un po' poco per i miei standard (14 mesi) e non ho voglia di spendere adesso per un apparecchio nuovo, ho rimesso in carreggiata il mio cellulare precedente.
Ero abbastanza riluttante ma vedo che il suo lavoro lo fa, a parte che non c'entra manco una app oltre a quelle che già ci sono.
Telefono, messaggio e chatto, fine. E va bene così.
Ergo mi ero comprato qualcosa di inutile. Diciamo che in più potevo farci due partite di ruzzle al cesso, bada lì!
E quando si guasterà questo ho sempre pronto il 3330 della nokia, l'unico, l'indistruttibile.
Per arrivare poi, con un po' di fortuna e un altro guasto, all'antica vita senza telefonino: un'esperienza ormai smarrita alla quale però si può tendere solo per gradi.

2 febbraio 2017

Ma te ci credi in Dio?

Io ci credo in Dio, ma non nell’occhione dentro al triangolo o nel vecchietto barbuto. Non credo al Dio dello Ior o a quello della CEI né al dio dell’atto di dolore. Credo al Dio di don Fabio Masi.
Credo nel Dio che sta nelle cose del mondo.
Dio è il sorriso di una ragazza all’uscita di scuola.
Dio è la parola di un amico e il respiro di un figlio che dorme.
Dio è un campo di fragole, è il primo anemone che spunta a febbraio.
Dio è una vecchia fotografia e le parole di una lettera ingiallita.
Dio è il fiatone di una corsa e una coperta di pile una sera d’inverno.
Dio è tua moglie ed è la tua amante.
Dio è il tuo cane e le rose del tuo giardino.
Dio è un viaggio alla fine del mondo come anche la partita guardata dal divano.
Dio è lo scorrere delle pagine di un libro, è dentro un pezzo di legno che arde nel camino.
Dio è una ciocca di capelli dentro a un cassettone.
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