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4 aprile 2017

KGB vs CIA

Ma anche voi avete avuto un’illusoria impennata dei contatti?
Voi di blogger, intendo (su altre piattaforme, boh).
Sembra, ma non ci casco, che in marzo La Linea abbia battuto il suo record di contatti, oltre settemila, mai raggiunto nemmeno ai tempi d’oro, quando era tutto un commentaire.
Ovviamente tratterassi di qualche spider (?) automatico che viene qui a spisciacchiare, chissà mai perché.
Poi parecchi contatti dagli USA, ma figurati!
Whitout a comment one.
USA e URSS a dire il vero, le grandi potenze!
Trump e Putin. Paura eh?
Forse vi sentite minacciati perché sto leggendo 1984? Fate bene.
O perché mi sto avvicinando, ma non troppo, ai Cinque Stelle?
Forse lo spider cerca nei blog news sul pericolo giallo, chissà.
A ogni modo, devo dirlo, KGB fai cagare, molto meglio la CIA: 5000 visite contro 400
O forse sono solo più spaventati.
A pensarci bene è proprio da quando c’è Donald alla cloche del mondo che è iniziata sta roba.
L’anno scorso ho fatto un muretto tra me e il mio vicino di casa, un metro lineare, mi è costato 550 euri, vuoi vedere che cerca spunti per farsi fare un preventivo dal mio muratore di fiducia?
Cosa gli darà noia della Linea a Trumpettone? Forse questi video di figlio 2, alias beaver nob, che lo mettono un po’ alla berlina?
Trump vs Voldemort
Trump vs Voldemort (2)
Anche se io preferisco Persone compilation.
Boh, vabbè, me li tengo ‘sti contatti fasulli, che devo fa’? Ma non mi monto la testa, lo so che i 7000 sono in realtà 700, se va bene.
Grazie a chi passa di qui senza essere un fottuto robò.
Restiamo umani (cit.).

30 marzo 2017

Le storie del frigo


Facile cercarti nell'Alfama, tra le pieghe del fado e i cani randagi o nell'odore del queijo da serra dentro ad un pastel, o magari in una casuale spolverata di cannella, perfetta come un manto stellato su un cielo di crema.

E nelle sfumature di un olio su tela nello spazio bidimensionato e feroce di un bacio infinito, rubato e restituito, ai piedi di una scala che nessuno ha intenzione di salire.

Là dove ogni giorno pioggia e vanagloria innaffiano la storia del mondo e va sempre come per Joe, che ti chiedi se devi restare o devi andare. E alla fine vai, anche se vorresti restare.

Illusorio trovarti nei recessi di un sorriso ammezzato o nelle nebbie di un risveglio frettoloso sotto a una faccia spappolata di frutta e verdura. Indecente e scontato pensare di conquistarti passando attraverso l'origine del mondo.

Come sarebbe tutto compiuto se ti avessi intravisto, riflessa, nel multiverso alterato e convesso della perla senza conchiglia di una ragazza perbene da andare a trovare in treno.

Indomito nel mio cercarti ai piedi delle montagne dal cuore viola, sotto a cieli vertiginosi e a picchi profondissimi, dentro ai dolori di una giornata di pedalate infinite zuppe di pioggia e di lacrime perdute nel tempo.

Talvolta ho pensato di averti sorpresa, correndo su una spiaggia deserta, profumata di ramblas e peperoni verdi, di fianco a miserevoli vite dedite alla rivelazione metallica di uno spiccio o di un anello, gettato via per la rabbia di un amore che amor non è più.

Avrei pensato che fosse più facile cacciarti, come si fa con il tesoro dei tesori, in giro per il mondo, quando invece stavi lì, a due metri da un frigo saccheggiato per una cena messa su in fretta. Lì, attorno a quella tavola dove si ciancia senza costrutto delle anacronistiche torri rotonde nei castelli dell'alto medioevo, di un ostinato mal di stomaco, di cuccioli bavosi dalla coda assassina, di riso bollito e di tè verde piccolo principe, di diete perseguite lo spazio di un respiro. Lì dove si ciancia di capelli da tagliare o del vento che tira da nord, del trapezio rettangolo e di spaventose gru da cantiere.
Dei viaggi da fare e di quelli che non faremo.

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E i vostri frigo, la raccontano una storia?
Grazie a plus1gmt per lo spunto.

24 gennaio 2017

La cultura a giorni alterni

Va così che, con la testa che ci si ritrova a una certa età, può considerarsi un privilegio bello e buono dare una mano ai figli con la scuola.
Capita di riscoprire succosi particolari storici, rinfrescare sopite regole di semplificazioni algebriche e stupirsi ancora davanti agli spicchi meridianici. E non è male.
Però se siete organizzati come da me, non lo sapete cosa vi tocca. In pratica io e dolcemetà ci alterniamo - un po' in base a voglia e disponibilità ma, molto più spesso, a caso - negli impegni familiari, che siano legati allo studio di France, agli allenamenti, al dentista, al cucinare o ai bisogni di Juno (ma è femmina).
E quindi finisce che questa nuova istruzione che ci si fa, di riflesso a quella dello studente deputato, sia costruita a salto del canguro con i vantaggi e le controindicazioni del caso.
E al fin della fiera sono il massimo esperto di dittonghi e iati ma di Carlo Magno e di Aquisgrana non so un cazzo (*).


(*) A parte che Aquisgrana contiene un dittongo.

28 marzo 2016

Sai copiare i temi di un bambino di quinta?

- I bambini hanno diritto alla privacy?
- Certo
- Anche i bambini di dieci anni?
- Certo
- Beh, non in questa casa!

E quando France verrà a sapere della pubblicazione degli estratti dai suoi temi io speriamo che me la cavo.


Descrivi con ricchezza di particolari un ambiente delle tue vacanze
Myrtos, la spiaggia più bella di Cefalonia, è una spiaggia di sassi, sassi piccoli, grandi, medi, neri, rosa, bianchi e anche di un po' di sabbia. A sinistra c'è un bar, non molto piccolo come i bar delle altre spiagge, è abbastanza grande tipo come due elefanti africani sdraiati.

Le mie scarpe raccontano
Ciao, io sono scarpa da basket e il mio padrone ha dieci anni, io solo due. Lui gioca a basket da quattro anni, io solo da due. Insomma, lui mi batte in tutto, tranne che in ammortizzatori, lì vinco io due a zero.

Un ippopotamo nella piscina
Guardai fuori dalla finestra e c'era l'ippopotamo, scesi in giardino ma vidi solo una roccia, risalii e vidi l'ippopotamo, scesi velocissimo (a 1000 km al mese) aprii la porta e caddi nella piscina di fango e mentre ero sotto al fango pensai che ci fosse stato un ippopotamo ma lì fuori c'era una roccia.
Poi tornai a letto pensando di essere pazzo.

Scrivi una lettera a una tua insegnante
Cara maestra Claudia, scusa se mi sono comportato male durante le ultime lezioni. Spero di non scordarmi di nuovo la chiavetta usb. Anzi, me lo scrivo sul diario: per lunedì portare la chiavetta usb.

Racconto fantasy: Rohan il guerriero
Era a due draghi di distanza dal re degli Orchi. Lanciò la sua lancia sulla mano dell'Orco, poi si avvicinò: "Mossa suprema!" e gli staccò la testa.

Pregi e difetti nel mondo delle femmine
Uno dei loro difetti è che sono femmine e i maschi non sopportano le femmine anche se non so perché. Hanno i capelli troppo lunghi, e quando si girano di scatto ti colpiscono la faccia, non vedi più nulla, perdi l'equilibrio e cadi a terra.
Poi dicono sempre "Cosa?"
Ad esempio se dici "Ciao", loro rispondono "Cosa?"
E non ascoltano, hanno cose di meglio da fare: tipo guardare le mattonelle.

Racconto giallo: Nel cortile sono comparse delle impronte misteriose
Nei dintorni di Palermo in un paesino tranquillo tranquillo sparì il sindaco e quindi Marco il detective si mise ad indagare. Marco osservò attentamente il cortile del sindaco e vide sul fango venti impronte che uscivano e dieci che entravano: "Molto strano!"

La gara di Gibo
A Cnosso viveva un ragazzo di nome Gibo che voleva vincere una gara di cavalli. Mentre tornava a casa trovò Bibo che gli disse:
"Ti sfido a un giro di tutta Cnosso, si parte da qui e il traguardo è qui".
"Quando si parte?"
"Ieri mattina!"
"Come ieri mattina?"
"No dai era uno scherzo, domani mattina".

23 marzo 2016

One+qualcosa per un manga di successo

Tra i cartoni, pardon anime, a cui figlio uno instrada figlio due, dopo anni di One Piece, va di moda One Punch.
Ora, nelle attività che figlio due sviluppa a corredo della visione di One Punch, ci sono riproduzioni grafiche e modellazioni dei personaggi avvalendosi dei mattoncini Lego (dio, o chi per lui, li abbia in gloria).
Càpita che me li faccia vedere 'sti personaggi... questo è tizio questo è caio questo è cristo e questo è la madonna.
- E questo, questo chi è? Faccio io indicando l'unico senza capelli e sanza copricapo.
- Questo è il capo: One-punch! Un pugno.
(scoprirò poi che ha pure un nome vero: Saitama)
- Il capo? Ma è calvo...
- No, si è solo allenato duramente.
Cristosanto, era così semplice.
Allora, da adesso in poi facciamo così: non voglio più sentir parlare di alopecia, di tre peli, di calvizie, di capelli radi, di piazza e di chierica... mi sono spiegato? Avete compreso bene?
Mi-sto-solo-allenando-duramente.
Saluti.

14 dicembre 2015

Cartoni animati con rutti e scuregge

E parlo di cartoni animati per bambini non di pseudo avventure in stile GTA vuemmeaidiciotto.
Ma il vecchio moige ma dov’è? Non c’è mai quando ti serve?
In tivù stanno passando roba terrificante e loro che fanno? Forse dopo i Beatles e i Take That si è sciolto anche il moige?
E non voglio fare il moralista, sdoganiamo pure rutti e scuregge che esistono in natura e quindi perché non dovrebbero starci in un cartone?
E non voglio arrivare a sostenere che siano diseducativi, anche se questo potrei farlo.
Semplicemente abusarne,  o affidarsi solo o prevalentemente a loro (sempre di rutti e scuregge parlo) per strappare un sorriso a un bambino, è raschiare il barile della scrittura e della buona creanza.
È capitato una volta, due, poi tre… non può essere un caso, è probabile che una vera e propria lobby dei rutti e delle scuregge agisca nell’ombra per diffondere come un virus una nuova religione devota alle emissioni aeriformi in uscita dai nostri corpi.
Sarò io?
Sarà che son vecchio?
Può darsi, sì, può darsi tutto.

23 settembre 2015

Le parole che ti ho detto (2)


Statistica aggiornata, riferita agli ultimi quattro anni, delle espressioni più frequentemente rivolte a figlio 2:

  • France sei pronto?
  • Cosa avete fatto oggi?
  • I calziniii!
  • Spegni quell'affare!
  • Buongiorno eh?!?
  • Il pigiamaaa!
  • Questo sarebbe "lavarsi i denti"?
  • Attento c'è le macchine.
  • Queste scarpe qui?
  • Abbassaaa!

Qui la versione precedente, sembra quasi che ci siano stati dei progressi. Sembra.

7 agosto 2015

Dieci anni sfruttati al massimo

(dove la s è privativa)
Sono dunque già passati 10 (dieci) anni da quando un gruppo di biologi nutrizionisti dell'Università di Stanford in California elaborò una dieta assolutamente priva di frutta.
Per la sperimentazione del progetto fu scelto un bambino italiano che nasceva in quei giorni e che, per dieci lunghissimi anni, si sarebbe nutrito senza ingerire l'ombra di una frutta una: PAZZESCO!1!!!!11!
Ma di più, manco ne avrebbe toccata una con mano, per non rischiare d'inficiare l'esperimento e per evitare le seppure accidentali contaminazioni.
Ora, trascorso questo decennio sfruttato, la famiglia del piccolo si sarebbe anche rotta un po' i coglioni.
Ergo, biologi nutrizionisti del cavolo, vedete di riportare il soggetto sulla retta via di una dieta completa ché l'esperimento è bello quando dura poco.
Ai suoi genitori, anch'essi sofferenti nel vedere il loro piccolo privato dai piaceri della frutta, piacerebbe davvero che da ora in poi il ragazzino se ne andasse a rubare un po' di ciliege come fan tutti, s'ingozzasse d'albicocche ancorché transgeniche, si spremesse le arance direttamente in gola o si tuffasse di faccia in un cocomero.
E poco male se al Louvre dovessero vietargli l'ingresso per paura che si mangi un Arcimboldo.

3 agosto 2015

Tre generazioni in Uno

(Uno Neno 1993 - 2015)

In principio fu il Neno, che la comprò e sì che era la sua macchina con la targa che riportava l'iniziale del suo nome + giorno e mese di nascita. Ci andò un po' al lavoro (poco) un po' in vacanza (pochissimo) e un po' scorrazzando moglie e nipoti in giro (di più).
Al massimo mi sa che sia stato a Passignano sul Lago a mangiarsi una frittura o forse a Bologna dagli amici storici.
Poi, nelle vicissitudini della vita, toccò a me portare in giro l'auto dell'anno millenovecentoerrotti. Si andò a Gardaland ed ella, la Uno, cercò di abbandonarci a Carpi, ma per quanto bella (Carpi) la riparammo e via.
La performance più di livello fu una ricca vacanza a Palau nel 2002 quando, sempre ella, ci portò tra le altre cose in quel di Porto Rotondo e Porto Cervo.
Poi in un cantiere, abbandonata a se stessa per anni, in attesa dell'età guidereccia di figlio uno - uno dei nipoti scorrazzati da i' Neno - che, come da programma, se l'è pigliata sotto l'ala anche se ragione voleva non fosse così prudente allontanarsi molto da casa.
E così il suo servizio più lungo negli ultimi anni è stato un bel Firenze-Lucca Comics e ritorno.
Infine niente, è arrivato il suo momento e dispiace un po', sì, sono uno che si affeziona anche alle cose.
L'unica consolazione è il fatto che l'autodemolizione si chiama "Paradiso" e mi sa che non è un caso.

18 giugno 2015

Birkirkara Football Club

No che non è un remake del film d'Albertone.
È una squadra di calcio che esiste davvero, di Malta.
Maglia a strisce verticali giallorosse, allenata da Giovanni Tedesco (47 presenze e 2 reti nella Fiorentina), 4 titoli maltesi in bacheca, il Birkirkara ha chiuso il campionato nazionale al terzo posto a -13 dall'Hibernians campione, vincendo la Coppa nazionale e per questo qualificandosi al primo turno preliminare di Europa League.
Ora 'sti cristi, che pare - non sto scherzando! - sian lì lì per ingaggiare Fabrizio Miccoli, Davide Moscardelli e Mauro German Camoranesi, dove sono ad allenarsi?
Sull'erbetta fresca del campo di Roccaporena, da quelle parti là dove in questa settimana è segregato figlio due.
E quindi niente sono lì, si vedono, i maltesi occupano sempre le docce al centro sportivo, insomma ci son delle interazioni tra i giovani cestisti e i calciatori isolani.
È un po' morbosamente che ho trovato sul solo sito, qualche foto degli allenamenti, poche invero, e che quindi vado a scrutare nella speranza che tra le figure di sfondo compaia qualche pargolo di mia conoscenza.
Ma pensa te come son messo.
Questo anche per dire che nella prossima Europa League, viola a parte, 'gna tifare i giallorossi: Birkirkara alè alè.

29 agosto 2014

Cavallino arrancante

Siamo ormai alla quarta annata scolastica per il piccolo che persiste nell'avvalersi di uno zaino rosso fiammante della Ferrari.
Ma, diobonino, son 4 stagioni che la rossa va di male in peggio.
Ehi, di Maranello, che vogliamo fare?
Va bene sposare la causa, va bene non abbandonare la squadra nei momenti di difficoltà, ma a mio figlio cominciano a venire i primi dubbi. Intanto sul perché non abbiamo comprato uno zaino RedBull (No, ma sai, la Ferrari è italiana ed è fortissima) poi sul fatto che la Ferrari sia fortissima (e no gli anni di Schumi non li ricorda, figuriamoci quelli di Lauda) poi sul perché non abbiamo comprato una zaino di Vettel visto che è il mondiale piloti (No, ma sai, Vettel è straniero... ok sì, anche Alonso, ma parla meglio l'italiano) poi sul perché non lo cambiamo ché magari portiamo sfiga noi.
Ehi, di Maranello, mi sentite? Dobbiamo cambiarlo?
Vi garantisco che è stato faticoso distogliere le attenzioni di un bambino (di 6 anni) dagli zaini Pokemonici, Dragonballotici o Tartarugoninjevoli. Solo che questi eroi continuano a imperversare nei loro mondi, sconfiggono i Team Rocket, s'impossessano di sfere energetiche, mangiano pizze e salvano il creato, ogni anno che dio, o chi per lui, mette in terra, e ogni singolo fottuto giorno.
Solo mio figlio se ne deve andare a scuola schiacciato dal peso di uno zaino strapieno di libri e di batoste?
Ehi, di Maranello, sveglia! Siete o non siete "La scuderia più vincente nella storia della Formula 1"?
Tra due anni si va alle medie e si cambia zaino, l'anno prossimo sarà l'ultima chance affinché il nostro supporto non vada perduto per sempre come lacrime nella pioggia del Fuji.

12 febbraio 2014

Mettersi le scarpe col NoLeSciNeSeMiPa (*)

Su quanto siano tristi le scarpe con lo strap stendiamo un vello pietroso. Sono solo uno degli effetti di una generazione di sfaticati che ha visto il suo apice qualche decennio fa, nell'inarrestabile proliferare di auto col cambio automatico, di dischi suonabili senza una puntina, di motorini che s'accendono con un pulsante e di cibi pronti che ti saltano nella padella e manca poco pure in bocca.
Così capita che a tuo figlio, in una risacca di nostalgia, gli compri delle scarpe vere, delle scarpe coi lacci, come le scarpe dei cristi di ragazzi negli anni '70.
Ma lui che fa, il bimbo di oggi? Le usa a modo suo e non potendole trattare da scarpe con lo strap ricerca una modalità semplificata trattandole da mocassini.
Se le infila così, a modo suo, e possono volerci 10 secondi come 10 minuti perché il metodo che usa, il NoLeSciNeSeMiPa (*) non è stimabile in alcun modo nella sua tempistica, molto dipende da quanto strette sono state allacciate l'ultima volta (che poi è anche la prima) e da quale surrogato di calzascarpe gli può capitare a tiro, sia esso il dito indice, una penna, un mestolo o un blocco di post-it rettangolari ammezzato.

(*) Non Le Sciolgo Neanche Se Mi Pagano

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edit
Quest'indolenza, questa pigrizia, quest'avversione all'appropriato utilizzo dei lacci che i giovani manifestano, vuoi perché i piccoli non li sciolgono mai o perché gli adolescenti non li legano proprio, bene ha fatto la chiesa cattolica a inserirla tra i sette vizi capitali: laccidia.

20 dicembre 2013

Alla stazione a vedere i treni

Quarant’anni dopo, tenendo per mano mio figlio e trovandomi a passare dalla stradella accanto al podere del Poggio, mi ricordai di quell’antica giornata di sole in cui mio padre mi aveva spiegato il treno.
Qualche mese prima eravamo andati a trovarlo all’ospedale, in centro a Firenze. Sbrigata la visita e stretti gli abbracci, mia madre aveva pensato bene di portare me e mia sorella alla stazione a vedere i treni.
Treni che arrivavano e treni che partivano in un andirivieni trito e ripetitivo, ma capace di abbagliare gli occhi curiosi di qualsiasi bambino del mondo, me compreso.

Tornando da mia zia verso casa nostra passavamo dal Poggio e fu qui che, camminando con mio padre, gli domandai del treno.
- Babbo, ma come fanno i treni che arrivano alla stazione a ripartire all’indietro?
Mio padre, da buon muratore, fino ad allora mi aveva insegnato soltanto come incastrare i mattoncini del Plastic City per la costruzione di blocchi solidi e sicuri, ma adesso moriva dalla voglia di darmi una seconda lezione sulle cose della vita.
- Vedi, - mi disse – funziona così!
S’inginocchiò e m’invitò a sedere sull’erba di fronte a lui. Lo guardavo ammirato, era il mio papà ed era il mio Dio. Mia mamma e mia sorella stavano chissà dove mentre io ero lì con lui. E andava bene così.
Raccolse cinque o sei sassi, locomotiva e vagoni, e li dispose in fila sulla stradella in mezzo a noi.
- Il treno arriva trainato dalla sua locomotiva e si ferma qui, dove finisce il binario, sui respingenti. Li hai visti i respingenti alla stazione?
- Sì - dissi, ma non me li ricordavo mica.
- Poi i viaggiatori scendono, mentre il treno sta fermo. Le hai viste le persone scendere?
- Sì, sì le ho viste quelle – dissi, e potete scommetterci che ne avevo viste a bizzeffe.
- E mentre chi è arrivato va via e chi parte sale sui vagoni, alla coda del treno si aggancia un’altra locomotiva che ha fatto manovra in stazione con i binari e gli scambi. Vedi, arriva da dietro.
Non è che compresi bene le parole, ma i gesti di mio padre con la sua mano che accodava un sasso nuovo in fondo al treno dei sassi-vagoni e se li portava via tutti, o quasi, quelli erano chiari.
- E quella? – dissi indicando la pietra rimasta in stazione.
- Quella è la vecchia locomotiva, poi andrà a tirare fuori un altro treno.
Mi sorrise e si alzò lasciando lì i sassi, composti e allineati in un esemplare convoglio. Ripartimmo, mano nella mano. Fatta una manciata di passi mi girai un attimo, per dare un ultimo sguardo al mio treno. Mi dispiaceva di doverlo lasciare lì.

La prima volta che France è stato in treno l’abbiamo portato da Firenze a Figline, un tragitto breve, una domenica pomeriggio, giusto per il viaggio. Aveva tre anni. Si è accomodato sul suo sedile, mani sui braccioli e sguardo fuori dal finestrino impaziente e concentrato come un grande.
- Siamo partiti, siamo partiti! – e ci guarda sgranando gli occhi.
Il treno sì è appena mosso, ma lui è già in estasi.
- Siamo partiti, siamo partiti… - quasi nient’altro per quindici minuti.
Ti viene da pensare che ci vuole poco a far felice un bambino.
Sulle prime abbiamo cercato di farlo star zitto, affinché non disturbasse, ma poi anche alla luce dei sorrisi degli altri viaggiatori, l’abbiamo lasciato dire.
Io e dolcemetà: due grandiglioni rimbecilliti dall’amore per quel frugoletto ricciolino.
Siamo rientrati con il buio e il viaggio è stato meno carico di emozioni, ma quando siamo scesi in stazione l’ho portato in testa al treno, mi sono accoccolato di fianco a lui e gli ho tenuto una lezione sui respingenti.

Un giorno poco dopo andammo nel bosco alla ricerca di funghi e di bastoni da appuntire. Lasciai la macchina abbastanza lontana dalla nostra meta perché potessimo camminare un po’ con gli zaini zeppi di panini, bevande, bussole e coltellini. Non amiamo allontanarci dalla civiltà per tempi superiori alle due ore senza avere con noi una bella scorta di generi di sopravvivenza.
Respirammo l’aria pura dei miei luoghi d’infanzia e passando di fianco al Poggio non potei resistere. C’era una staccionata nuova a delimitazione del campo e scavalcarla fu un gioco. Non mi ricordavo esattamente il posto e non speravo davvero di ritrovare il mio treno di sassi, lì composto sulla stradella. E infatti non c’era, però c’erano i sassi.
Mio figlio a ogni modo non mi chiese nulla, ero io che desideravo capitasse.
Sentivo il bisogno di annodare questa corda da mio padre a mio figlio e volevo che mi attraversasse.
- Lo sai come funzionano i treni?

4 luglio 2013

L'ospedale delle formiche

Chi non ha mai fatto l'ospedale delle formiche scagli il primo chicco di grano.
No davvero, io mi ci divertivo e dolcemetà pure, nella vita sua.
'Sti (*) formiconi neri, quando erano liberi da altre attività s'intende, li potevi ricoverare ed eran perfetti.
Pazienti, manco per idea, a dirla tutta, cercavano di scappare da ogni parte e allora, per rendere magari più credibile la loro degenza coatta, si era costretti a stroncare loro qualche gambina (dolcemetà nega questa pratica ma solo perché teme ritorsioni degli animalisti, dei Cinesi, e degli animalisti cinesi).
Così, con qualche arto acciaccato, riuscivamo a trattenerle per un po' di tempo nel letto a foglia d'edera preparato per loro con tutto l'amore, anche se poi se la svignavano lo stesso, zoppicando e senza nemmeno firmare le dimissioni.
Stamani France partendo per i centri estivi era visibilmente eccitato e contento e al nostro indagare ci ha spiegato che oggi, con il caro amico Guido, avevano in programma la realizzazione di un ospedale per formiche e se n'è uscito portandosi via il tappo del latte da utilizzare come barella.
Ah, piume delle nostre piume!

(*) Domanda per cruscofili: tipo ma se io, come in questo caso, la lettera che dovrei scrivere in maiuscolo la elido (Q) e metto solo la seconda parte della parola, ha senso che ammaiuscoli la S, oppure no?

27 maggio 2013

Dove una madre


Il grido si diffuse nell'aria cavalcò schegge impazzite di dolore e trafisse l'anima di un milione di milioni di madri disperse per il mondo ma unite in un sodalizio mesto e rabbioso violento e conclamato svegliando pizzicando graffiando strappando accarezzando cuori e vite altrimenti liberi di pulsare e snodarsi dentro e attorno a un tutto ma adesso solo in questo vuoto in questo buco buio e sfrangiato dalla morte di un bambino in questo riconoscibile attimo si dibatteva il grido sovvertendo scienza e natura per come doveva essere ma non era.
Le altre donne le altre madri quelle fisicamente lì la cercarono e la strinsero la baciarono e le spolverarono via di dosso le lacrime e le grida la schiaffeggiarono la chiamarono la cinsero e la fecero sedere le portarono acqua e compassione le presero le mani le offrirono fisicità e profumi tenerezze e braccia capienti nell'alba ancora fresca e scura di un giorno comune nell'universo però disgraziato e maledetto nei sentieri delle madri tutte.
Lei dalla grotta del nulla che la stava inghiottendo e alla quale voleva tutto tranne resistere un battito d'ali prima d'essere trascinata via nella melassa nera del mondo senza senso lei vide sullo sfondo la figura maschile altera che senza dire una parola esprimeva un cordoglio vero e consolatorio che le restituì un granello di speranza granello che s'innalzò in balia di una tempesta violenta e incontrollabile quando vide l'altra sé l'altra madre forse l'unica di certo l'unica che s'era tirata fuori da ogni rimbalzo di dolore abbrancando un fagottino di stracci e un esserino stringendolo al petto e nascondendolo alla vista con gli occhi della ladra.
E quando il sole tranciò finalmente via la notte la madre dolente capì cha sì l'involucro privo di vita era il suo sue le bende gli odori le fasce ma il corpicino senza respiro quello no quello era il frutto di un inganno di una mistificazione di una manovra notturna infida e dolosa e allora pianse di un altro dolore di un altro livore pianse della miseria umana e della follia alimentata dall'amore cieco e senza coscienza.
Ci sarebbe stata un'altra notte e poi ancora una e un infinito susseguirsi in cui la veglia e la guardia si sarebbero rese necessarie alla difesa estrema della deriva eretica dell'amore e poi ci sarebbe stata un'ultima notte in cui il sonno avrebbe reso di nuovo vulnerabile l'ingiusto restituendo nel sangue un nuovo sollievo e una nuova ineludibile pena al respiro di una madre.
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Il testo germoglia da un semino della perfida Donna Camèl.
Come anche:
Trasposizione di un amore - Lillina
Cuncittina - Dario

12 febbraio 2013

Eh meu amigo Charlie Brown


Per lo Show and Tell di oggi vi parlerò di Mr Sacco. Chi ama i Peanuts è probabile che si ricordi di questa straordinaria striscia, per gli altri un breve accenno.
Charlie Brown, notoriamente ossessionato dal baseball, si sveglia un mattino vedendo sorgere al posto del sole una palla da baseball e, poco dopo, si accorge che pure sulla sua capoccia sono spuntate le tipiche cuciture della palla. Dovendo partire per il campeggio, il nostro, altra soluzione non trova che quella di coprirsi la testa con un sacchetto al quale ha praticato due fori per gli occhi.
Al campeggio, un po' per caso un po' per il fatto che la sua timidezza è vinta dal sacchetto protettore, Charlie Brown Mr Sacco diventa in breve tempo il capo riconosciuto dei ragazzi. E l'eterno perdente vive in quella manciata di vignette un'avventura in una veste a lui sconosciuta, da leader, da vincente, finendo per risolvere facilmente svariate e intricate situazioni.
Questo per dire che quest'anno France ha partecipato alla festa in maschera al circolo tennis dove fa lezione e si è incaponito per vestirsi da Mr Sacco (le buone letture non gli mancano). Sulle prime abbiamo cercato di dissuaderlo con la psicologia fine da a) partecipare ad una noiosissima festa di carnevale e b) mascherarsi da personaggio di straculto per pochi ma sconosciuto alla massa.
Niente l'ha smosso dal suo progetto iniziale e così dolcemetà ha dovuto abbozzare e confezionare la mise mistersacchiana.
Pantoloni neri, seppure lunghi che è pur sempre inverno, e maglietta gialla ornata con la tipica fantasia da altimetria di tappa del giro, nera, più ricco sacchetto per alimenti di carta marrone bucato agli occhi.
Per farla breve, alla fine della maratona dei giochi, l'elezione della maschera più originale ci ha felicemente colto di sorpresa. L'unanimità dei consensi è stata espressa a favore di France nella concreta trasposizione dello spirito stesso che Schulz aveva voluto infondere al Charlie Brown versione Mr Sacco; laddove la timidezza lascia il passo alla realizzazione di sé.
E così abbiamo vissuto il nostro momento di gloria e, dopo una ricca abbuffata di cenci e frittelle, siamo andati a spifferare tutto a dolcemetà.

Tra l'altro oggi sono 13 anni esatti dalla morte di Schulz, il padre dei Peanuts.
Un estratto dalle Mr Sacco adventures:

20 gennaio 2013

4 Topolini e 4 Sofficini

C'era un giorno del mese, verso la fine, che la signora dove mia mamma andava a sfaccendare le mollava gli ultimi 4 albi di Topolino, da portare a me.
Erano abbonati e non collezionavano, per fortuna, i signori. Quel giorno, tornando da scuola, assieme ai 4 Topolini accanto al piatto, avrei trovato per pranzo 4 Sofficini. Quando ancora i Sofficini non sorridevano e Carletto stava sulla luna. Avevo indottrinato la genitrice per benino. Era il compimento della giornata perfetta. Il prototipo della felicità.
Prima che arrivassero le ragazze a scombinare tutto. Anzi, prima che non arrivassero le ragazze a scombinare tutto.
Potevano avermi fatto il mazzo a scuola o caricato con badilate di compiti, ma nei trenta minuti di abbinata topolino-sofficino niente avrebbe scalfito la mia estasi.
Era una felicità semplice, fatta di paperi sfigati e di formaggio fuso.
John Helliwell, è uno scienziato co-autore del Primo Rapporto Mondiale sulla Felicità e mette in fila i Paesi del mondo sulla base di questo stato d'animo. L'Italia si piazza ventottesima.
"La felicità si può misurare" spiega Helliwell.
Certo, in topolini e sofficini.

27 dicembre 2012

Il mio babbo è alto e snello

Il mio babbo si chiama Furio e ha 50 anni. (e fin qui...)
Il suo viso è tondo, il mio babbo non ha tanti capelli. (potevi almeno fare un accenno al testosterone)
I suoi occhi sono tondi (ti sei fatto condizionare dal disegno, spero) e il naso è liscio (la nasoliscitudine pare sia uno dei miei maggiori pregi), la sua bocca è fine e morbida.
Il mio babbo è alto e snello. (qui hai toccato le alte vette della poesia e ti sei guadagnato svariate buste pokemon)
Al mio babbo piacciono gli sport e il colore rosso (è una lunga storia) e anche mangiare i funghi e cercarli.
Di lavoro sta in ufficio. (detta così non è proprio qualificante, meno male che il mansionario non lo scrivi tu)
Di solito va a giocare a tennis nel tempo libero e gli piace andare allo stadio.
Con lui vado a cercare i funghi.

(Da "Descrivo il mio babbo" - 11/12/12)


p.s. Però, dài, c'ho un bel colorito.

24 dicembre 2012

Non di solo pane vive l'uomo un anno dopo

Eccoci qua, dopo lo scampato pericolo, a celebrare l'uscita dell'album calciatori Panini 2012/13.
E voi, nel frattempo, avete fatto coming out oppure alimentate ancora la facciata in cui dichiarate che il lato migliore del calcio è quello giocato, o visto in tivù.
Abbiamo aperto già sabato scorso le prime bustine, quando ancora neppure il blister ufficiale era stato diffuso. Prima figu in assoluto: lo scudo del Torino. Prima figu viola: l'immenso Borja Valero. Per la statistica.
Ve lo dico, dovesse capitarmi di stare in coma (spero di no), non lo so se qualcuno si vorrà pigliare la briga di stimolare il mio risveglio ma, nel caso, lasciate stare la musica, manco De André dovete farmi sentire, manco i Led Zeppelin. Provateci solo col rumore di una bustina calciatori aperta a strappo da un bambino dagli occhi luminosi.
Va bene anche un bambino di 50 anni.

p.s. Non di solo pane vive l'uomo, ma anche di Panini.

21 novembre 2012

Il tempo di una minestrina

L'alzheimer si è arrampicato sulla vita di mia madre come un lento ma inarrestabile autunno alle prese con una pianta testarda.
All’inizio della stagione mia madre era ancora un albero forte e rigoglioso e, per quanto sola, pareva potersela cavare, anzi, a tratti sembrava invincibile. Ma io sapevo già che non avrei potuto arrestare il moto di rivoluzione della sua mente e l’avvicinarsi inesorabile di altre stagioni, più fredde.
Via via vedi le giornate che si fanno più corte e la tendenza in calo della luminosità si abbatte feroce sullo spirito che ti anima e lo fiacca.
L’albero dapprima si fa colorito, muta, diventa quasi più affascinante, creativo. Si veste di colori improbabili e s'imbelletta come dovesse andare in scena, ma dentro, di fatto, sta morendo. E quindi si spoglia, serenamente, perde la sua chioma, i suoi ricordi, il suo senso. Pur se non le vedi cadere le foglie, ogni giorno l’albero ne perde alcune e la sua figura contro il sole s’impoverisce fino a rassomigliare sempre più a uno scheletro affranto e defraudato della linfa.
Ed è un autunno crudele che va a conficcarsi profondo come una spada nel cuore di un inverno gelido e cupo.
La differenza con l’alternarsi delle stagioni sulla Terra sta nel fatto che l’inverno dell’Alzheimer non produrrà più alcuna primavera. Non una gemma sarà in grado di fiorire sui rami secchi di mia madre. Non una gemma.
E questa è la prima cosa che devi accettare, per non morire anche tu con lei.
La Rai sembra essersi ricordata di avere un archivio da qualche parte e in queste serate fredde passa le storiche comiche di Stanlio e Ollio. La musica che arriva dal televisore, a differenza delle immagini che mia madre non recepisce più, le viene veicolata su una frequenza balzana della sua testa che a sprazzi la riceve, e allora lei inizia una strana danza sulla sedia: ballonzola puntando i piedi a terra e lo fa a tempo di musica anche se non si accorge davvero di nessuna melodia. Gli effetti del movimento invece la fanno sorridere e confezionano un omaggio involontario e sublime alle rigorose sequenze in bianco e nero animate da Laurel e Hardy.
Sono gli occhi di mia madre che ne tradiscono l'assenza.
Dietro la corteccia del suo sguardo acquoso c'è un tronco cavo, un cervello che non timbra più il cartellino. E c'è un'anima alla deriva, dispersa dentro alle falde di una irriconoscente vita.
Mia madre si nutre come un automa portandosi alla bocca quello che si trova davanti nel piatto, ma guarda il nulla.
E sono gli stessi occhi nei quali baluginava un lampo di felicità, quando, in un'altra sua vita, inciampava in una rima e correva a vergare un verso sul suo quadernetto nero di poesie. Ci teneva a precisare che aveva fatto la quinta elementare, mia madre, e che per questo il suo scrivere era povero di vocaboli e ricco di errori. Te la vedevo arrivare, quaderno in mano, fiduciosa che le potessi aggiustare le sue sviste ortografiche.
«Mi riguardi le acche?» era la sua frase tipica, non avendo mai ben compreso quando inserire e quando no la strabenedetta lettera muta.
Sta finendo la sua minestrina, finalmente in pausa dagli ormai abitudinari sproloqui, combatte col brodo che le cola lungo il mento e lo vince, con un piccolo miracolo, asciugandolo col dorso della mano.
Stacco dal muro la cornice di legno nella quale ha incastonato una poesia che le è particolarmente cara: sono i versi che parlano della sua di madre e che stanno lì da quando è morta, o poco dopo.
La demenza senile ha colpito senza pietà in famiglia mia e l'ereditarietà ci trasferisce il gene malato con una dolcezza spietata. C’è chi con la dipartita dei suoi cari entra in possesso di castelli, ori e conti correnti svizzeri e chi, come noi, si trova al cospetto di un magnanimo notaio che aprendo il testamento legge:
«Lascio l’Alzheimer alla mia adorata progenie».

          Con tristezza io ti guardo, o mamma

È scritta proprio così, con una "o" a rafforzare il vocativo, uno "o" sospirosa, una "o" che ricorre più volte nella poesia, sempre senza l'acca.

          Con dolore mi si stringe il cuore
          dove c'era amore ora non sai cos'è.


Parole rimaste appese per vent'anni in salotto senza un lettore attento, senza un giusto plauso, abbandonate a se stesse, pur nella loro sofisticata veste. Guardo la mia di mamme, mi rimanda un’occhiata vuota d'amore nel mancato riverbero di quei sentimenti già compresi e descritti con passione da lei stessa nelle sue mille poesie.
Parole come quelle che adesso schizzano fuori come lapilli da un vulcano. Ci sono momenti in cui per zittirla dovresti spararle. Parla e sparla, blatera e sragiona, sproloquia e sentenzia, sputa e s’inventa le parole di un personale argot che tende a tagliarci fuori dalle volute dei suoi pensieri.
Assonanze buffe e accentazioni improprie completano la creazione di sempre nuovi ed effimeri vocaboli che durano lo spazio di una frase buttata lì o del soffio lieve di una parola.
Così un "voglio andare a letto" può diventare un "Boggio dare abbento" e un "Hai mangiato?" si trasforma in "Cai mammato?" e poi friccito, leboli, stembari, gruttalo, sembio, lavarna e rundili, solo per citare quelle di stasera, assemblate nel tempo di una minestrina.
E queste sono perle capaci di regalarti pure un sorriso, anche quando la voglia di sorridere non ce l’hai più perché hai visto la volontà strappata via a morsi dalla mente di tua madre.

          Dove c'era un sorriso qualche volta c'è
          però non sai conoscer più le cose


Resta lì, la mia mamma, imbambolata con il cucchiaio in mano, come fosse la prima volta, lo rigira come se potesse parlarle, lo posa come se potesse da solo caricarsi di minestra e trasportargliela in bocca.
L'unica attività che ancora riesce a impegnarla per qualche minuto sono gli album di fotografie. Niente tivù, niente libri, impossibili le chiacchiere ovviamente, ma le foto le ripassa centinaia di volte avanti e indietro, le setaccia nella disperata e vana ricerca di un volto, di un nome o di uno straccio di ricordo. Marito, figli, nipoti, tutti accomunati da un non amore estremo, accarezzati da una vista assente e profanati da una memoria cattiva, capace di cancellare la vita in un minuto, come si fa col gesso dalla lavagna.

          Se ti chiamo Mamma
          tu mi guardi e non mi rispondi mai
          non lo sai se i figli tu hai


Coll'acca, ce l'ha messa, una bella acca possessiva che segna il contrappasso tra l’avere dei figli e non essere più in grado di percepirlo.
Alla fine resta un irragionevole vuoto scavato dall’amore per un figlio che nemmeno sa di avere. Quel figlio per cui ha sofferto e corso e lottato e pianto e sperato e sbroccato e desiderato e pregato, quanto ha pregato lo sa Dio, davvero, per quel figlio, quel figlio che non ha più un posto nel suo cuore pulsante ma morto, nella sua testa bucherellata e senza speranze. Quel figlio che ha stretto forte quando piangeva, per una ferita, per un voto, per una ragazza, quel figlio che non ha più un posto tra le sue braccia. Quel figlio.

          Tu che parli con lo specchio, eppure
          a ripensarci, o mamma, tu sei sempre quella.


Ci ripenso alla mia mamma, alla sua lotta con la punteggiatura, perché non li ha mai capiti quei versi moderni senza un punto, senza una virgola. Come si fanno a leggere se non sai nemmeno dove prendere fiato?
 «Mi riguardi le acche? E anche i punti e le virgole».
E io punteggiavo come potevo, poi inserivo o cassavo acche, alla bisogna. Ma che palle, pensavo. Quanto scriveva mia madre! E quante volte mi si parava davanti col quaderno o con un foglio strappato chissà da dove, una penna e il suo sguardo schietto. Non che implorasse un aiuto, si trattava soltanto d’una richiesta da madre a figlio. Come avrebbe potuto chiedermi dov'ero stato o cosa volevo per pranzo, eccola che arrivava, con le sue carabattole da poetessa contadina, a domandare una correzione a quel figlio fortunato che venivano a prenderlo con lo scuolabus giallo fino in culo al mondo, dove stavamo prima, per portarlo a scuola a studiare di acche e di virgole.

          eppur sei come cosa che cammina
          non sei più niente, o mamma.


Chissà se un giorno, il mio di figli, prendendo in mano questo scritto comprenderà il suo destino o se l'avrà magari già capito da solo. Chissà se avrà paura o se accetterà l’ineluttabile con la pacata rassegnazione e la dignità che ci passiamo in eredità, assieme al morbo. E chissà quali pensieri s’incroceranno nella sua mente, guardandomi, nel tempo di una minestrina.

          il cuore mio lo sente e si tormenta
          anche se cerco di non dargli retta
          questa sarà la strada che mi aspetta
.

Passiamo dal bagno per il tagliando serale e uscendo salutiamo quei due, la signora coi capelli grigi minuta e un po’ ingobbita che risponde al sorriso di mia madre e il ragazzone barbuto che la sorregge con le mani sotto le ascelle e sghembo sorride, anche lui.
«O, guarda chi c'è – sorriso – allora arrivederci, eh», poi saluto anch'io le due sagome dentro allo specchio e mi porto avanti coi lavori.
Quindi siamo in camera dove aiuto la mamma a cambiarsi per la notte. Mentre le tengo la giacca del pigiama, la osservo che agguanta la manica della camiciola con le dita e la tiene stretta, affinché non le scivoli su, lungo il braccio, infilando la giacca.
È una foglia dell’albero, questo gesto, una delle ultime foglie rimaste appese, e io lo so che un giorno cadrà pure questa, ma ancora no. Ancora no.
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