29 novembre 2013

Verso l'Infinite Jest e oltre

Infinite Jest è come una Ipsilon 10: piace alla gente che piace.
Cioè non è che piace alla gente fisicamente bella, no, oddìo può essere pure che la Scarlett lo adori, ma no, Infinite Jest piace alla gente bella intellettualmente.
Per questo principale motivo avrei voluto che mi piacesse, avrei desiderato innamorarmi di Infinite Jest, più di quanto desiderassi respirare (come direbbe Michael Pietsch, l'editor del romanzo).
Però no, non è successo e non è per snobismo o per bastiancontarietà, è andata così.
Conosco una persona che lo sto leggendo per la quinta volta, ne conosco un'altra che l'ho letto in un mese, e un'altra ancora che non si può prescindere dalla sua lettura, e poi quello che c'è l'anno di Infinite Jest, ma conosco più persone che non ce l'ho fatta o l'ho mollato a pagina 100, anch'io ero tra questi del resto.
Poi mi ci son messo di buzzo, e l'ho portato a termine più come punto d'impegno che con passione e, confesso, dei tre plot narrativi primari che s'intrecciano nella trama uno proprio non mi era agevole.
C'ho messo sei mesi, se proprio volete saperlo, e avere coscienza che hanno impiegato meno tempo a tirar su il Corridoio Vasariano non è un aspetto incoraggiante.
È un libro da leggere in un mese per poterlo capire appieno (da capĕre, contenere), dice la saggia uollasiana, ma per leggerlo in un mese avrei dovuto essere allettato (da a letto) con un centinaio di costole rotte perché a forza di mezzorate non si va da nessuna parte.
È innegabile che è scritto in maniera sublime, anche se con stili diversi in conseguenza del fatto che la sua stesura ha attraversato parecchi anni nella pur breve vita del suo autore.
Leggerlo ti fa pensare che tu non dovresti scrivere più nulla nella vita, manco per la lista della spesa ti fa sentire all'altezza.
Però alla fine non è il romanzo che ricorderò come una pietra miliare della mia vita di lettore (non ancora almeno e, sì, il problema è mio, siamo d'accordo) e non è il romanzo che consiglierò a qualcuno di leggere. Chi vorrà dedicarcisi è bene che lo scelga in autonomia e si renda artefice del proprio destino.
Subito a ruota mi son buttato su Ogni storia d'amore è una storia di fantasmi, biografia di David Foster Wallace curata da D.T. Max, la cui lettura, invece, mi ha preso parecchio.
Sono i retroscena di vita vera, i personaggi reali conosciuti e trasposti nelle sue opere, il contenuto delle lettere agli amici e soprattutto la pazzesca esistenza di Wallace a rendere la biografia un trattato affascinante da cui un uollasiano doc non può prescindere, un'opera da leggere in un mese o magari da leggere cinque volte.
Scherzo, ma non troppo.
E se avete letto anche solo La Scopa del Sistema o La Ragazza dai Capelli Strani ecco che le chicche svelate ripagano il tempo speso per la lettura della biografia. E che io non son proprio uno da biografie.
Per dire, leggere le trenta pagine di Infinite Jest dedicate alla partita ad Eschaton è stata per me un'esperienza allucinante che quasi mi ha condotto all'ennesimo abbandono del tomo, ma sapere che DFW aveva scritto a DeLillo sottoponendogli il pezzo per chiedergli una sorta di autorizzazione e scongiurare eventuali e future accuse di plagio riguardo all'opera End Zone di DeLillo appunto, beh, questo è succulento.

Ma se poi volete leggere qualcosa di davvero interessante sull'opera di David Foster Wallace, foss'in voi, passerei da qui.

26 novembre 2013

Di moscerini e di parabrezza

Una volta ho scritto un film, ma tutto eh!
Il soggetto e pure 200 pagine di cazzosa sceneggiatura, e ho partecipato a un concorso bandito dalla rivista Smemoranda, un mensile che durò invero pochino.
Chi vinceva girava il film, più o meno. Chissà com’è andata a finire, io non ho saputo più nulla.
Poi, com’è come non è ho pure perso il file, non so bene quando nei meandri digitali e nei trasbordi da un pc all’altro in ufficio e a casa, puf, volatilizzato.
È pure depositato alla SIAE su un floppy azzurro che sarà ormai marcito: quattrocentomilalire spese bene.
È una roba così.
Il titolo è quello del post e fino a ieri la ricerca virgolettata su san gugol motore martire dava zero ricorrenze. La storia è circolare e finisce spiccicata da dove comincia, con le gambe di un gruppo di ragazzi che entrano in un bar, poi succedono tutte le robe e la scena finale riporta la storia all’inizio.
E c'è tutta una metafora su chi nella vita sia moscerino e chi parabrezza.
Il protagonista è un uomo che vive in un seminterrato dalla cui finestra, che dà sul marciapiede, vede passare milioni di gambe e la cui peculiarità, dell’uomo, è dedurre carattere e personalità degli individui solo esaminando le loro camminate.
L’idea era geniale dài, anche perché il tipo risolveva un’intricata questione essendo capace di distinguere i buoni dai cattivi, bastava farli passeggiare.
Sarebbe stata geniale, se non fosse che quel bastardo di Nanni Moretti dev’essere venuto a pigliarsela su una DeLorean fottendomi della grossa e riadattandola per il suo Bianca... Ogni scarpa una camminata, ogni camminata una diversa concezione del mondo.
Del resto, così va il mondo, direbbe Kurt Vonnegut.

25 novembre 2013

Di gatti e di feng shui

Alle micie avevamo allestito una cuccia speciale dove dormire ma loro niente, sempre in giro abbioccandosi dove capitava con predilezione per scatolame vario in cartone, buste in plastica, scarpe e borse sportive. Poi, rassettando il loro spazio, succede che dolcemetà sposti casualmente l'orientamento del covile e lo ponga su una direttrice est-ovest a differenza della precedente disposizione sud-nord.
Beh, le micie hanno gradito, da subito si son ficcate dentro a ronfare che era una bellezza.
Quando mi parlano di filosofie orientaleggianti a me che c'ho uno spirito contadino viene un po' l'orticaria, detto a voi, ma toccare con mano il feng shui felino mi fa pensare, ecco.
Se le gatte nel loro istintivo agire riescono a preferire un orientamento piuttosto che un altro [indipendentemente da quale esso sia anche perché pare che la prima regola del feng shui (vi giuro che non è "Non parlare mai del feng shui!") sia dormire con la testa a nord e i piedi a sud e Penny e Lizzy non parevano gradire seppur nei loro acciambellamenti intarsiati non sia sempre semplice identificarne il capo e la coda] forse non stiamo proprio davanti a tutto quel mucchio di fuffa.
O forse sì.

22 novembre 2013

Chi s'è fregato le barzellette?

C'era una volta un mondo antico in cui si raccontavano le barzellette. Al bar, a scuola, in bus, ma soprattutto nei dopo cena scoppiettanti quando la cibaria era a fine ma nessuno aveva ancora voglia d'alzarsi da tavola.
Da noi cominciava Benito, era il Bramieri di noantri, tra una nocciolina e un ammazzacaffè, ne aveva sempre una o due nuove e le raccontava con innegabile maestria. Era un'arte innata la sua, gli veniva da dentro, niente di studiato o di costruito, solo tanta memoria e spontaneità. E poi a cascata, il giorno dopo, quelli che avevano assistito e riso, perché si rideva sempre alle barzellette di Benito, provavano a raccontarle nei loro luoghi e alle loro cerchie.
E bene o male, in ogni sessione, c'era uno scambio di materiale notevole e chi riusciva a tenerle a mente le faceva girare, così, pigliandosi in pagamento solo qualche risata. Eravamo piccoli e le barze di Benito, quelle zozze, hanno pure contribuito alla nostra educazione sessuale, che non ce n'erano mica tanti altri di modi. E quelle irriverenti nei confronti della Chiesa, quelle di fronte alle quali mia madre storceva la bocca, quelle magari ci hanno aperto un po' gli occhi sul bigottismo paesano che impregnava le nostre case.
I barzellettieri son morti probabilmente con La sai l'ultima, prosciugando la materia e riciclando e inflazionando ogni battuta, ogni smorfia, ma le barzellette invece, quelle che fine hanno fatto?
Chi se l'è rubate? Forse un Grinch barzellettofilo?
Pareva un materiale da chiacchiera inossidabile, duraturo e indistruttibile mentre adesso se in un momento di calma provi a dire a uno "La sai la barzelletta su..." ecco che ti guarda come se gli avessi proposto di unirsi a te per andare a grattugiare una lastra d'amianto.
La rete non credo che sia responsabile della loro scomparsa (voglio dire, c'è qualcosa di più deprimente di andarsi a leggere un sito di barzellette?) però della loro omologazione sì.
Il barzellettiere una volta teneva gli appunti criptati in simil cirillico e vergati a mano su un foglietto di bloc notes che gelosamente custodiva piegato in quattro nel portafoglio, mentre adesso san gugol motore martire ti porta alla barza intera basta che digiti "scimmietta che si sciacqua" per esempio, e la collezione segreta ha poco senso d'esistere.
Piuttosto gli usi moderni, quelli sì che incidono. Si cena con lo smartcoso sul tavolo pronti a scattare al primo bip sociale o uozzappico e a fine cena quelli che sono rimasti ancora a sedere sono un paio di sfigati che devono pure sparecchiare, figuriamoci se hanno poi voglia di scambiarsi le barze.
O forse, chissà, noi abbiamo smesso di raccontarle da quando ha cominciato TuSaiChi, oppure è soltanto crepato il tizio che le inventava le barzellette.
Quanto ai miei personali ricordi, la prima barzelletta che mi hanno raccontato è quella dei pazzi che giocano a pallone in aereo, mentre quella che mi ha fatto più ridere in assoluto è quella del pappagallo che chiede a Gesù, crocefisso da duemila anni: "Cavolo, ma quanto gasolio t'hai ordinato?"

20 novembre 2013

Cleaning day

Oggi da me è il cleaning day. Fantastico.
È bastato poco, un cartoncino appeso a stampella al monitor e un punto esclamativo composto da fogli e da un cestino, per stimolare tutti i colleghi (compreso me) a dare una bella ripulita alla scrivania.
L'abbiamo trovato stamani, probabile dono di un folletto notturno, chissà, della funzione Sicurezza.

Approfitta di questa giornata per mettere in ordine la tua postazione di lavoro. Liberati della carta di cui non hai più bisogno... dice.

E non ci siamo fatti pregare.
Vedo la gente stravolta nei corridoi.
Cacciare giù la cartaccia nel bidone dà una certo appagamento.
Pesco a caso dalla scrivania e trovo mail delle quali non capisco più nemmeno il senso e lunghe anche più di tre righe, vecchie to do list ormai evase o decadute anche senza il voto parlamentare, istruzioni operative mai lette, mai cercate e mai consciamente sapute di avere e fogli spillati con su appunti vergati a mano di remoti corsi o disattente riunioni.
Butto via tutto.
Ma quello che rende speciale l'evento è che per i prossimi due anni, quando il capo ti richiederà quella fattura, quel documento, quella fotocopia che dovevi avere in custodia tu, sarai scusato se non la troverai, basterà usare la formula "l'avrò buttata per il cleaning day".
Però non finisce qui perché mi son fatto prendere la mano e sono andato di repulisti anche per la mia bloglist, qui di fianco. È tempo di rinnovo, i vecchi blogger che hanno ritrovato la via della vita vera cessando d'imbrattar post li ho tirati via, ma ne ho aggiunto qualcuno di promettente e pure qualcuno a caso, vediamo chi varrà la pena di tenere.
Avevo voglia di leggere o non leggere qualcosa di nuovo.

19 novembre 2013

A egli gli

A egli
gli voglio buttar giù dei versi abbraccio
di quegli con parole in mescolanza
e in ogni verso "gli" ci metto o taccio
io che di sbagli ne ho fatt'abbastanza

come la peste scansa gli sbadigli
agli altri lascerai la sora noia
e coccola i fetenti dei tuoi figli
son tuoi germogli altro che la soia

quello che conta è che non te la pigli
cogli una rosa e una verbena odora
vivi di faccia e scansa i nascondigli

guarda la trave e la pagliuzza ignora
è questo quel che dico a egli gli
cura gli amici e tutto s'avvalora.

___________________________________________________

Il testo aderisce alla campagna anomala lanciata da
A me mi a sostegno di A te ti (Sonupueti) votabile qui.

15 novembre 2013

Correre con l'altro me

E siccome pare che il forno a crioonde che chiedevo a suo tempo sia stato pensato e realizzato davvero, con il buon Freddy (*), ci riprovo e mi rivolgo ai maghi del software, in specie a coloro che si occupano, o vorrebbero farlo, di app che aiutano chi fa sport.
Tipo chi corre, o vorrebbe farlo.
Avete presente dei videogame di guida, sì? Io pochi in effetti, giusto qualche storica versione di Need for Speed, o di GT, o di V-Rally, ecco in quei giochi, e suppongo anche in quelli di adesso (qualcuno mi può confortare? È ancora così?) c'era una funzione che ti permetteva di correre con la tua vettura vedendo però, in una versione semitrasparente, anche una vettura fantasma che altro non eri che tu al giro prima, o alla gara precedente quando avevi fatto il record. Insomma se c'era una volta che eri stato più veloce ti vedevi lì davanti. Se eri più veloce di sempre, ovviamente, non lo vedevi l'altro te.
Ora, sviluppatori di RunKeeper, Runtastic, o chi per voi, è questa l'utility da offrire al vostro pubblico affinché abbandoni la app in versione free e sganci i soldini per passare a quella a pagamento.
Inventatevi un paio di Runkeeper glass che permettano a me, quando vado a correre nel percorso x, di vedere gli altri me che hanno corso lo stesso percorso, ma più veloce.
Per dire, io corro ancora sulle strade che calcavo a 20 anni, e comunque ho 5 o 6 percorsi tipo sui quali vado a sudare, sarebbe uno stimolo non da poco poter correre con il mio ghost, del giorno prima o magari quello di 30 anni fa.
Non è difficile, d'altro canto i gugol glass ci son di già, al limite usiamo quelli, basterà aggiungere qualche riga di codice, forza, su!

(*) Funzione Raffreddamento bevande: Con Freddy bastano pochi minuti per raffreddare le bottiglie di vino, rinfrescare bibite e offrire freschi aperitivi agli ospiti. Il ciclo raffreddamento bevande permette di rinfrescare le bottiglie alla velocità di circa 1° C al minuto.

11 novembre 2013

Diamoci un taglio

Nella mia famiglia d'origine c'erano tre paia di forbici tre.
Un paio da sarta, le potevi trovare nel cassettino lungo e stretto in legno, quello destro, della vecchia Singer.
Un paio da cucina, stavano nel cassetto delle posate nel reparto ibrido assieme a un coltello da formaggio di quelli a goccia non so come si chiamano e a un forchettone.
Un paio da elettricista e le trovavi tra gli attrezzi, manico rosso, subito disponibili, aprivi la cassetta e ti saltavano in mano loro.
Adesso ho un problema con le forbici e ne prendo dolorosamente atto.
Starebbero praticamente tutte nello stesso posto, ma non ci sono mai. Nemmeno un fottuto e misero paio, intendo. Non le trovi nel cassetto e nemmeno in lavastoviglie e nemmeno sul tavolo e così, imprecando e dando una chance concreta all'incremento statistico degli infortuni casalinghi, ti addanni nell'operazione da fare, il più delle volte con un coltello.
Che non è la stessa cosa! Provateci a ritagliare i bambini del girotondo con un coltello magari seghettato.
La preziosità dell'oggetto forbici è francamente svilita dalla sua agevole ed economica reperibilità, in specie in quella nordica catena, Tu sai Quale, dove capita di transitare quelle due barra tre volte in capo all'anno. Ogni maledetta domenica che ci vai butti nel borsone giallo il trittico di cesoie svedesine verde/rosso/giallo, un colore una dimensione, ma dopo alcune settimane di abundantia sforbiciorum ti ritrovi a fare di nuovo i conti con la loro irrazionale e prematura scomparsa.
Ora, se è vero com'è vero, che la casa non ruba, nasconde, da me, infrattate in qualche cantuccio, ce ne saranno a decine ma, niente, non saltano mica fuori quando ti servono. (*)
E la spiegazione delle misteriose sparizioni sta forse proprio nella caduta libera del loro valore, della loro qualità e, di pari passo, della nostra attenzione durante e post utilizzo.
Forse con un paio di forbici tempestate di diamanti, chissà.

(*) Apparentemente è una frase assai zuppa di virgole, ma non riesco a sforbiciarne via nessuna.

8 novembre 2013

e barra o

Ehi voi, aspiranti scrittori di romanzi, di racconti, di post e barra o (*) di quello che vi pare, succede che io abbia qualche consiglio per voi.
Non so dirvi cosa sia davvero necessario affinché il testo che osate proporre sul vostro blog, a un editore o a vostra nonna, registri un successo chiaro di critica e barra o di pubblico.
Ma so per certo quali sono gli elementi che sicuramente dovrà contenere affinché non sia ignorato e barra o cestinato all'istante.

Imprescindibile è il fatto che usiate la parola vago, così com'è o in una delle sue declinazioni grammaticali possibili, maschile femminile, plurale, eccetera. L'assenza di un vago/vagamente nella primissima parte del vostro scritto è la cartina di tornasole che denuncerà senz'appello al mondo (e a vostra nonna) il dilettantismo in cui pascete.
Fateci caso, andate in libreria e leggiucchiate gli incipit sfogliando una decina di tomi in vendita, vi stupirete della puntualità d'utilizzo della parola vago. Oppure vi basterà prestare una vaga (cvd) attenzione ai libri che state leggendo. E questo senza distinzione tra scritti originali in italiano o testi tradotti da altre lingue.

Il punto due è l'ortografia, sì, spiace dirlo ma gli errori di stumpa danno un fastidio tremendo, sono peggio di un tempo verbale ciccato o di una ripetizione lessicale o di un periodo zoppo. La corretta grafia sintetizza in maniera netta e senza appello la cura che avete dedicato alla vostra creatura letteraria, è il sorriso con cui vi affacciate al pubblico. Non vorrete presentarvi con una foglia di prezzemolo tra i denti!

Il terzo elemento, senz'altro facoltativo ma vivamente consigliato, riguarda la lochescion: ambientate il vostro stupido romanzo nel Maine ed è fatta. Al limite, nel Maine, mandateci un personaggio a svernare, descrivete il prozio del vostro protagonista che sicuramente starà laggiù (o lassù o là, boh, dipende insomma da dove siete voi e da dov'è il Maine) a pescare o a spalare qualche metrazzo di neve, così, solo per ammazzare il tempo. Alle brutte fate che nel bel mezzo del primo capitolo arrivi una cartolina dal Maine e barra o che ci sia un televisore acceso su nescional gegrafich ciannel che documenti con dovizia di particolari l'origine del Maine Coon.

(*) Dopo le virgolette fatte colle dita, le quali ormai denotano solo omologazione e non danno più alcun lustro a chi le usa, è venuto di moda pronunciare espressamente la parola barra quando si chiacchiera, anche se un po' a sproposito. Chi parla barra dialoga con te trova spesso dei pretesti per infilarla nel discorso barra nella conversazione.
Su La Linea la scriviamo pure: siamo oltre barra avanti.

5 novembre 2013

Essere Johan Cruijff

Tutti volevano essere Johan Cruijff al campino, quando si scontravano fino ad ammazzarsi nella tradizionale partitella amichevole. Ma quando quelli del campino, bici sotto al culo, si buttavano giù per il discesone per andare a sfidare quelli della draga, il Cruijff lì, il fenomeno dell'Ajax e dell'Olanda del calcio totale, ce l'avevano gli altri.
Giù alla draga, appoggiato sull'ansa del fiume, era stato tirato su qualche anno prima uno stabile condominiale enorme a forma di una esse lunga che accarezzava il profilo della sponda, proprio là
dove si dragava da sempre la migliore rena da calce dello stato. Un tale di nome Renzo era passato dalla trattoria di piazza e, non avendo soldi, s'era inteso di pagare tratteggiando il progetto d'un edificio sulla mappa del paese stampata sulla tovaglietta, c'aveva messo ben sette ore e così era girata voce che l'aveva disegnato Renzo, piano. L'ambiguità dovuta al tramando orale aveva fatto il resto e l'edilizia impopolare aveva avuto il suo totem.
Tra le mila famiglie che ci stavano giù alla draga, stipate nel condomino esselunga, era tutto un pullulare di ragazzi in età calciatoriale e, mentre al campino si dovevano sdoppiare per arrivare a undici, alla draga c'era l'imbarazzo della scelta.
C'era Zuff il portierone, noto attaccabrighe dalle mani a padella aderente.
C'erano i fratelli Robiola, una sorta di Sussi e Biribissi ma con un sano disinteresse per il centro della Terra. Robiolone troneggiava al centro della difesa nel ruolo di libero, in un anticipato contrappasso di ciò che sarebbe stato il suo rapporto con la giustizia negli anni a venire, mentre Robiolino sgusciava sulla fascia a mo' d'anguilla imburrata.
C'era Bonimba al centro dell'attacco, un tabarino tutto gomiti sputato col Boninsegna quello vero, solo un pelo meglio.
C'era pure uno straniero, il mediano, un certo Washosky, o forse Pachosky, insomma un polacco qualcosa osky in grado di mollarti un calcione e centrarti lo stinco pure se stavi in tribuna stampa.
Poi c'erano sei o sette comprimari bravi a correre e a tirar pedate, ma a orchestrarli tutti quanti c'era lui, Giova, più noto come il Johan Cruijff della draga. Bravo a stoppare, dribblare, liberare, contrare, passaggiofiltrare, intercettare, smarcare, crossare, segnare e, soprattutto, sempre in tiro con la  sgargiante maglia arancione numero quattordici, sempre lei, sempre bellissima e invidiata su gran parte del globo terracqueo: dal campino al Manzanarre e dalla draga al Reno.
Tra il fiume e il condominio, giù alla draga, erano stati tirati a esse anche una serie di fili da panni, a guisa d'un pentagramma surrealista, dove le mamme draghiane stendevano i panni al sole e al vento come fossero crome o semibiscrome. Fu a quei fili che Marco e Massimo videro sventolare il numero 14 nero in campo arancio, steso nell'asciugatura preparatoria alla partita dell'indomani. Marco e Massimo, due del campino per i quali manco un soprannome era andato sprecato.
E nottetempo, con la scusa di portare fuori Birillo, il barboncino di Marco, i due si spinsero giù fino in riva al fiume, lo costeggiarono e, quando furono sicuri che nessuno li stava osservando, inzupparono ben bene la maglia di Cruijff nella varechina, nella speranza che Giova potesse perdere assieme all'orange della sua maglia, come un Sansone rapato a zero, tutte le sue abilità pallonare.
E in fondo al loro cuore lo sapevano che non c'era da preoccuparsi di nessuna piccola cosa, perché ogni piccola cosa sarebbe andata per il verso giusto.
E il 18 a 18 maturato nella partita campino vs draga del giorno successivo sarebbe stato immortalato con una foto in bianco e nero appesa nella sede della società sportiva del campino, se qualcuno avesse fatto una foto, se fosse esistita una società sportiva del campino o anche solo una scalcinata sede.
Quel giorno i ragazzi del campino scrissero la storia pareggiando la loro unica partita dentro a una striscia di oltre trenta gare tutte comodamente dominate dalla draga, ma quella no.
Quella, con uno spaurito Giova Cruijff, dall'estro imprigionato dentro a un'irriconoscibile maglia candeggiata, quella no.

______________________________________________
Eds arancione del grande coccomero
In compagnia di:

Melusina 1
Dario
La Donna Camel 1
Lillina
Pendolante
Melusina 2
Angela
Cielo
Calikanto
Singlemama
Leuconoe
Fulvia
La Donna Camel 2
...

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...