27 novembre 2017

Una cosa in cui sono bravo ma che non mi serve a nulla

Sarà capitato anche a voi di pensare quanto siete bravi a fare questo, a capire quello o a disimpegnarvi in quell'altro.
Nel mio caso c'è un'abilità che ho sviluppato quando da ragazzo saltavo in lungo, o forse l'avevo innata, non lo so. Si tratta della capacità di capire esattamente con che piede arrivo in un determinato punto.
Fate conto, cammino per strada e venti metri avanti a me c'è una pozzanghera, io so immediatamente e con estrema precisione quale sarà il mio piede che ci batterà davanti, se il destro o il sinistro.
Lo sento dentro - capite? -, c'è un momento preciso, camminando, che mi scatta questa cosa e realizzo (appunto intorno ai 20 metri, se è più lontano non funziona). E tutto senza accorciare o allungare in modo fraudolento la falcata.
Questo vale con una riga sul marciapiede, un oggetto, una crepa o qualsiasi riconoscibile segno posso andare a incrociare sul mio cammino: io riesco a capire quale mio piede si stamperà proprio lì davanti, come fosse la fettuccia ideale del salto in lungo.
Vedo tutti i grandi saltatori in atletica punteggiare i loro percorsi di rincorsa con dei segnalini da dove partire o da dove passare, a me non servirebbero.
Però come dicevo non è un'abilità che ci campi, nemmeno ti danno due spicci se ti metti a farlo in Piazza Signoria, ecco.
Ma nel mio intimo sono campione mondiale di sai dove ti batte il piede.

16 novembre 2017

Amici di pin

Una volta c'erano gli amici di pen, poi ci siamo involuti come nostro solito.
La mamma di Paola, la prima volta che vide la figlia ritirare soldi da un bancomat commentò così:
- Mah... vai a dirglielo a quelli del mondo di prima che da un muro esce i' sordi!
Perché quello fa un bancomat, ti dà i soldi. Fine.
Ma poi le cose son migliorate, nella nota ottica che il meglio è nemico del bene, e il bancomat ti offre - immagino e presumo - tutta una serie di succosi servizi accessori.
Fatto sta, c'era 'sto tizio ad armeggiare e io mi metto in coda, un po' di lato per non invadere la sua privacy, ma in una posizione visibile.
Mi ha visto arrivare, ma continua tranquillo, e ci mancherebbe, il bancomat è suo, c'è arrivato prima di me.
Pigia sui tasti che nemmeno Benedetti Michelangeli, fino a che gli esce una strisciata di carta lunga un paio di cento metri, probabilmente fedele diario di tutti i movimenti della vita dell'uomo, non lui in particolare, proprio l'uomo in generale.
Poi l'infernale prodigio gli sputa la tessera ma esso, l'uomo in particolare, non pago, la rinfila immantinente.
È li che comincia pure a parlarci con il macchinario, gli borbotta qualcosa che non capisco bene se sia una preghiera, un insulto o semplicemente un "Metti Insigne".
Poi pigia e guarda, quindi si leva gli occhiali si spiaccica sul monitor e osserva con un'espressione vagamente meravigliata il chissà cosa gli vien mostrato.
Smanetta per altri tre minuti buoni e parla e si confida e probabilmente piange sulla spalla del suo fidato amico di pin.
Poi se ne va - l'era l'ora! - ma tutto questo senza prelevare un dannato euro.
Ma si può passare la vita davanti a un bancomat? Pure la mamma di Paola, che non ne aveva mai visto uno, aveva capito da subito a cosa servisse rivolgersi a quella zona miracolosa di muro.
La solitudine è una brutta bestia - immagino e presumo - ma cristiodiddio pigliati magari un cane, fatti un amico immaginario, sarà sempre meglio di star lì a parlare con il bancomat.
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