23 agosto 2017

Giulietta senza Romeo


Lei aveva gli occhi di una cerbiatta, ma davvero mica per dire.
Noi avevamo quindici anni ed eravamo tutti innamorati di lei, della Giulia, che se ti capitava di toccarle il culo dai jeans per le scale si arrabbiava sì ma anche un po' per finta, quasi per ruolo.
Aveva quella fruit a V rosa fucsia e noi che le tiravamo le matite dicendo me la prendi mi è caduta. E lei che si sporgeva dal banco senza farsi pregare e si piegava generosamente verso di noi regalandoci una sbirciata su un reggiseno di pizzo nero. E non l'avevamo mai visto un reggiseno indossato, di pizzo poi.
A fine anno suo padre - un impiegato di non so che banca che dio, o chi per lui, l'abbia in gloria - fu trasferito a Verona. Non a Campi Bisenzio, cristo, a Verona!
E lei, la Giulia, l'ultimo giorno di scuola ci portò delle sue foto, quasi fossero le cartoline già autografate con cui andavano in giro i vip nell'era del preselfie.
Io mi misi timidamente in coda e riuscii ad accaparrarmene una che Giulia accompagnò con un sorrisone, no che non sembrava così dispiaciuta di partire.
Erano foto dai formati più strani, forse ritagliate da altre più grandi, forse stampate artigianalmente. La mia era pure un po' sfocata, a dirla tutta.
Caro il babbo della mia Giulia, comunque grazie, che ti sei trasferito a Verona, magari per due palanche di più, e non c'è stato più verso di ritrovarla la tua benedetta figliola dagli occhi da cerbiatta, manco sul faccialibro manco.
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