30 gennaio 2019

Quello che ti leva la voglia di scrivere

Forse l'ho già detto, ma Don DeLillo a me, per prima cosa, prima ancora di stupirmi, appassionarmi e guadagnarsi la mia stima a vagonate, prima di tutto mi fa passare la voglia di scrivere.
Uscire da un romanzo di DeLillo e rifiutarsi financo di vergare giù la lista della spesa - tornando poi a casa coi sofficini e i bastoncini di pesce findus e pigliandosi il peggio cazziatone da dolcemetà - è un attimo.
Proprio c'hai la nausea se pigli la penna in mano o ti avvicini a una tastiera.
Tant'è vero che L'uomo che cade (4 carver pieni - trad. Matteo Colombo) l'ho terminato un mesetto fa ma mi sento di buttar giù due righe solo adesso.
E no non lo commenterò, mi limiterò a riportarne dei pezzi. Che poi non c'è nemmeno bisogno di segnarli, aprite una pagina, leggete, e trovate sempre del bello e del buono.

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Apter era un uomo slanciato e riccio di capelli, che sembrava progettato per dire cose spiritose ma non lo faceva mai.
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Per un po' Keith smise di radersi, qualunque cosa significasse.
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Il padre era un cattolico tradizionalista non praticante, affezionato alla messa in latino a patto di non dovervi assistere.
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Le carte scivolavano sulla superficie in panno verde del tavolo rotondo. Utilizzavano l'intuito e tecniche di analisi del rischio da guerra fredda.
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Alla settantasettesima partita di hold'em cominciò a percepire una forma di vita in tutto ciò, che non apparteneva a lui ma agli altri, una piccola alba di significato all'interno di un tunnel.
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...si rese conto che il bambino aveva ripreso a utilizzare soltanto monosillabi e bisillabi.
Gli disse: - Dacci un taglio.
- Eh?
- Vedi che non sei l'unico a saper parlare massimo in bisillabi?
- Eh?
- Dacci un taglio, - ripeté lui.
- Ma perché? Dici sempre che non parlo.
- È tua madre che lo dice, non io.
- E quando parlo mi dici di darci un taglio.
Stava diventando bravo, Justin, ormai tra una parola e l'altra quasi non si fermava. All'inizio era stata una forma di gioco istruttiva, ma adesso nella sua pratica era subentrato un elemento nuovo, un'ostinazione solenne, quasi rituale.
- Guarda, a me non importa. Puoi parlare nella lingua degli inuit, se vuoi. Impara l'inuit. Loro hanno un alfabeto fatto di sillabe, anziché di lettere. Puoi parlare una sillaba alla volta. Ci metterai un minuto e mezzo per dire un'unica parola lunga. Io di fretta non ne ho. Puoi prenderti tutto il tempo che vuoi. E fare anche delle pause lunghe tra una sillaba e l'altra. Cominceremo a mangiare carne di tricheco, e tu potrai parlare inuit.
- Non so se mi va la carne di foca.
- Ho detto tricheco, non foca.
- È lo stesso.
- Di' "tricheco".
- È lo stesso. È come la foca. Carne di foca.
Testardo come un mulo.
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28 gennaio 2019

Vecchi dischi che nessuno avrebbe più ballato


Venne anche il momento di guardarsi attorno con occhi nuovi.
Non era una scelta, le arrivò in faccia come fa uno schiaffo.
Finite le lacrime, finite le visite parentali, finite le belle parole, restava un vuoto denso che riempiva la casa. Fin dentro i mobili.
Si lasciò andare sul divano azzurro privo di vita, perduto teatro di lotta tra i bambini, dimenticato e improvvisato nido di amplessi frettolosi, ricovero caldo per culi da teledipendenza passiva.
Vide i libri pigiati sugli scaffali, vecchi romanzi che nessuno avrebbe più aperto e che nessuna bancarella avrebbe voluto.
Vecchi dischi che nessuno avrebbe più ballato.
Vecchi testi di scuola di figli perduti fuori, in un mondo sfacciato e srotolato oltre la porta finestra.
Eppure il sole faceva il lavoro suo, ingravidava la stanza della luce dell'est mattutina, ma a lei mancava la forza per cimentarsi in un'altra spaventosa giornata.
La credenza di arte povera era stipata di piatti che avrebbero atteso invano una nuova festa, un pranzo numeroso e rigonfio di risa. Milioni di tazzine da caffè vi stavano annidate come pipistrelli dormienti in attesa di un grido, di un invito che sprigionasse il loro volo.
Insalatiere sbreccate e sepolte circondate da bicchieri male impilati, posate nuove mai usate e posate vecchie mai usate. Tutto era testimonianza silente di esistenze disilluse o finite.
Solo il quadro, la casa di contadino in mezzo alla neve, la casa con la colombaia che le ricordava quella in cui era nata, solo il quadro dai riflessi bianchi e rosati, solo il quadro le infuse uno scampolo di forza.
Allora si alzò, imprecando un dio che non c'era, e si trascinò in cucina a mettere su l'acqua per un tè.

25 gennaio 2019

Un rumore di trolley nella testa

A tratti sentiva questo rumore, come di trolley, nella testa.
Un trolley trascinato in giro per la stazione.
Ma forse non era proprio nella sua testa, di certo non era all'esterno del suo corpo e non era percepito da chi stava con lei. È che lei lo sentiva, anche se non era proprio una faccenda uditiva, era complesso e difficile da spiegare. Si trattava più di uno stato di fatto. Rumoroso.
- Lo senti anche tu questo rumore?
- Che rumore?
- Come di un trolley strascicato...
- Ah, no, nessun trolley, nessun rumore, forse il frigo.
Lui non capiva, non che fosse facile, doveva dargliene atto.
Non era nei momenti ansiosi, di paura, di fame o di stanchezza che lo sentiva, era più un manifestarsi a casaccio. Lo sentiva da qualche parte e lo vedeva quasi, un trolley nero, lucido, tirato in giro da una sagoma indistinta, uomo donna bambino boh, probabilmente il suo inconscio aveva bollato come trascurabile l'elemento trascinatore.
Ne parlò con le amiche, più per ravvivare una conversazione vecchia di anni che per la speranza di trovare conforto o soluzione.
- Un trolley? Di Louis Vuitton?
E questo fu il commento più intelligente.
Si era poi ricordata di un libro, o forse era un film, dove un tipo aveva una lastra nel cervello, o era una scheggia di bomba, comunque roba metallica, grazie alla quale prendeva la radio e si sciroppava canzoni, notiziari e spot senza possibilità di spegnere se non rintanandosi in cantina o in un crepaccio non accessibile alla modulazione di frequenza.
Ma no, non aveva protesi all'anca o viti nel femore, manco una catenina. Si tolse la fede, ma non risolse nemmeno così. Non lo sentiva arrivare piano piano come un treno, ma d'improvviso, senza avvisaglie, iniziava e basta. Come se un viaggiatore in una qualche striscia di mondo partisse con il suo trolley al seguito e lei potesse sentirlo, chissà come, sì forse era così.
Andò anche dal dottore alla fine.
- Va tutto bene. Come si dice? Sana come un pesce. Sarà un po' di stress accumulato, ti segno queste. Poi riposati e vedrai che tutto si risolve.
Ma se l'unica bega che partecipava all'accumulo del suo stress era proprio il fastidioso rumore del trolley portato a zonzo non esattamente su una moquette!
E quando la medicina fallisce non ti resta che l'internet e la speranza che della tua paranoia se ne sia parlato in uno sperduto forum o su una qualsiasi piattaforma paramedica.
Digitò su Google "rumore di trolley nella testa" virgolettato, trovò una ricorrenza e cominciò a leggere:
A tratti sentiva questo rumore, come di trolley, nella testa.

23 gennaio 2019

Il libro più sottovalutato di sempre

Erano i tempi della nicchia.
Stavamo ad Harleem, presso Amsterdam, da un amico, Fede. Un amico così caro che pur di ospitarci si ridusse a dormire in un accrocchio tra due divani a due posti accostati uno contro l'altro, ci entrava dall'alto e ci stava solo in diagonale e con le gambe un po' piegate. Questo per 5 giorni.
Per ripagarlo presi pure un libro a caso da una mensola, solo perché era giallo.
(Bestie, 4 carver, trad. Massimo Bocchiola)
Beh, ragazzi, ne è valsa la pena.
Letto in apnea, come poche altre volte (Il Giovane Holden, L'ombra dello scorpione, Lolita)
Amo e ricordo ancora i nomi dei due poveri cristi padroni della storia in un'ambientazione molto kenloachiana ma con più ironia: Tam e Richie, Tam e Richie, Tam e Richie. Tamerici, come scordarli.
Non è più tanto facile nemmeno trovarlo il tomo, per chi volesse, certo non in libreria.
È che anch'io dovrei procurarmelo (perché io i libri che prendo in prestito li restituisco, io) perché è una di quelle opere che ho nella lista di rilettura (Cent'anni di solitudine, Se questo è un uomo, Il calendario e l'orologio).

Non ce l'ho le citazioni tratte dal romanzo, ma magari vi metto il link ad un paio di rece.
C'è del sano spoiler qui sotto, evitate se volete per caso leggere il romanzo.

Bestie - Il foglio letterario
Bestie - Mangialibri

L'anno scorso poi mi sono preso anche un altro romanzo di Magnus Mills: Niente di nuovo sull'Orient Express (3,3 carver) e seppure mi pareva non mi avesse così coinvolto, lo ricordo con una tale nitidezza che sta di certo a dimostrare altro.


21 gennaio 2019

Un bambino da insegnargli ad andare in bici

I genitori di lei erano usciti per andare a lavoro e lui, che era ospite, amichetto della figlia, era andato in camera di lei per svegliarla, ma poi non l'aveva fatto.
Se lei dormisse davvero, o facesse finta di, non si capiva.
Lui le si era accoccolato accanto al letto: finalmente poteva guardarla, poteva osservare non visto ogni frammento del suo viso.
Lei giaceva su un fianco, dai capelli addormentati faceva capolino un orecchio. Sapeva di sonno e primavera.
Lui le guardava il nasino perfetto con sulla punta il neo, centrato e preciso, come dipinto.
- Mi stai guardando? - gli chiese lei quando aprì gli occhi e si tirò su appoggiandosi a un gomito.
Sì, le avrebbe voluto rispondere lui. Sì, ti stavo guardando.
Ti stavo solo guardando.
Sì, stavo guardando il disegno rosa delle tue labbra, e stavo annusando il tuo respiro. Guardavo una strada da camminarci con te, un'onda che potesse portarci a riva, inzuppati di cose da fare insieme.
Sì, riuscivo a immaginare una vita di nostri incontri, di baci, di mani intrecciate.
Una vita di fare la spesa, di sole rubato al mare, di corse sull'argine di un fiume, una vita con un bambino da insegnargli ad andare in bici.
Vedevo il rincorrersi dei nostri destini di ragazzi in una vita sognata e vicinissima che la potevi toccare, come i tuoi capelli addormentati, eppure lontanissima come una terra di ghiacci e di sale.
- Eh, mi stavi guardando? - sorrideva, l'aveva sgamato.
- No - le fece lui, e abbassò gli occhi.

18 gennaio 2019

Il libro più sopravvalutato di sempre

È andata così, io ti parlo di Lolita, immenso capolavoro, e tu te ne esci con una personalissima associazione di idee che ti porta a consigliarmi - in analogia - Il maestro e Margherita.
Orpo, faccio io, che culo! Finisco uno e attacco l'altro, oso pensare, in una mancata soluzione della continuità narrativa di livello alto
E invece niente, la storia non mi piace (anzi), la scrittura non mi colpisce (anzi), va che lo lascio a metà. E poi lo metto proprio via per non rischiare che mi ricapiti in mano per sbaglio.
Il voto in carver non glielo do, per correttezza visto che non l'ho finito.
Dolcemetà, che l'aveva letto in passato, interrogata sul romanzo ha sentenziato: Mi ricordo c'era un gatto, forse citando involontariamente Woody Allen con il suo  Parla della Russia riferito a Guerra e Pace.
Che poi il libro abbia una sua valenza, posso anche concederlo, ma ritrovarmelo ad ogni pie' sospinto tra i classici della letteratura o tra le liste dei 10, 100, libri che dovete assolutamente leggere prima di crepare... boh, mi sembra una collocazione immeritata.

Poi ho pensato a cosa ti abbia fatto saltare da Lolita a Il Maestro e Margherita. No, non credo la rima dei titoli, ma la rima dell'autore, quello sì.
Hai pensato Nabokov, ti è venuto in mente Bulgakov, ci sta, non dico di no, e Taac me l'hai propinato.

A supporto della mia tesi, leggo una frase nell'internet che mi lascia ancora più stupefatto:

Secondo il parere di molti lettori Il maestro e Margherita è il miglior romanzo russo del secolo.

O, più semplicemente, sono un coglione io.

15 gennaio 2019

No grazie, non posso mangiar dolci (*)

C'era questo tipo, un vecchio collega di mia moglie, una vera sagoma a sentire lei.
Ne aveva avute per tutti ai tempi del loro comune lavoro e ora entrava in parecchi aneddoti della vita precedente di lei.
Il Bigi di qua, il Bigi di là, sapete com'è.
Non c'è cosa che il Bigi non avesse fatto, risposta salace che non avesse dato o spiegazione dotta che non avesse elargito.
Così va che salta fuori in più di un racconto nei dopo cena tra i cantucci e il vin santo.
Poi io non me le ricordo davvero le innumerevoli perle del Bigi, anche perché, fosse stato bello tira via, ma il fatto che fosse simpatico un po' di gelosia me la instillava.
Ma una cosa sì, l'ho memorizzata: aveva un modo unico di tirarsi fuori dalle situazioni spiacevoli, dalle proposte non gradite, dalle domande scomode.

- Ehi, Bigi, si va a pranzo insieme oggi?
- No grazie, non posso mangiar dolci.

- Domenica mi porti all'Ikea?
- No grazie, non posso mangiar dolci.

- Quest'anno in ferie, andiamo in Yemen?
- No grazie, non posso mangiar dolci.

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(*) marchio registrato Bigi.

14 gennaio 2019

Tutti abbiamo dei segreti

Era da un po' di tempo che la risata di Adele gli urtava i nervi.
Non che lei avesse colpa, pensava, forse è tutto nella mia testa.
E dire che l'aveva conquistato con la sua risata.
Lui ci sguazzava a fare il simpatico e lei rideva, rideva di gusto, e gli si conficcava dentro a martellate. La risata di Adele, in quel tempo antico e sbiadito, aveva una duplice natura supplichevole che andava dallo smetti ti prego al darmene finché puoi.
Adesso lui la temeva quasi, e non s'impegnava certo a stimolarla, se non per verificare con una ulteriore prova se era davvero così cambiata.
Non avrebbe saputo dire cosa o come, ma di certo era cambiata. Il timbro forse, la densità, il suo modo di aprirsi un corridoio nell'aria, la lunghezza, l'eco, il suo peso... c'era un frammento che ne usciva sempre stonato, la risata di Adele era un cavallo zoppo.
Come non bastasse, si era poi convinto che l'alterazione genetica della risata di Adele fosse la spia di un segreto nuovo da non rivelare, una nuvola di vapore fuori dal loro cielo.
Che diamine, tutti abbiamo dei segreti! Anche lui ne aveva avuti, ne aveva e altri ne avrebbe accatastati.
Tutti abbiamo dei segreti, anche Adele aveva il diritto di chiudere a chiave un cofanetto di cose sue, ma era ingiusto che glielo sbattesse in faccia. Questo in generale, ancora di più manipolando la chimica di quella risata che li aveva uniti, giusto un milione di anni prima.
Ma forse è tutto nella mia testa.
E sì che avrebbe dovuto chiamare la NASA, convincerli a studiare la modificazione della risata di Adele. Loro avrebbero saputo abbinarci un fenomeno cosmico, magari era legata alla nascita di una nuova stella, alla moltiplicazione dell'universo o a un'invasione aliena imminente.
Ma di lei, della sua vecchia risata, quell'armoniosa perfezione di cui si era innamorato, non esisteva un filmato, non una registrazione.
Gli restava soltanto quella vecchia foto.

10 gennaio 2019

Essere Gesù oggi

In fondo cosa sono duemila anni nella storia dell'uomo passata e futura? Un intervallo di tempo trascurabile.
Ergo Gesù poteva sì (scegliere di) nascere, com'è stato, nell'anno 753 ab Urbe condita o, se preferite, nell'anno zero, ma è un caso.
Poteva benissimo scendere sulla terra nel 2000, magari sempre a Natale.
Nonostante i due millenni di differenza non avrebbe nemmeno dovuto cambiare mestiere, falegnami e predicatori ce ne sono ancora un bel po' in giro.
Magari faceva pure l'artigiano della qualità.
E poi poteva nascere in Italia - non c'è il Papa in definitiva? - che ne so, invece che in Palestina a Palestrina, vatti a fidare del T9!
Ve l'immaginate alle prese con whatsapp?
- Ecco qua, gruppo creato, i dodici, ora ci metto una bella immagine di un'apericena, magari l'ultima e poi è fatta. Giuda ha abbandonato il gruppo, boia di già?
Oppure alla falegnameria... Senti ragazzo non ti possiamo pagare più in contanti ti devi aprire un conto corrente. Sai ganzo il conto corrente di Gesù a zero spese, in fondo l'è un po' il tipo da conto arancio.
E l'agenzia delle entrate? Mica si riguardano quelli, un codice fiscale glielo affibbiano di sicuro: DNZGSE00T25G274S.
E avrebbe un'auto o magari una moto, io lo vedrei bene su una Renault 4 o su un Cagiva mentre arringa le folle in derapata. Ma forse anche scarrozzato su un NCC dai vetri oscurati.
E che miracoli potrebbe fare per far aprire quattro nuovi blog/vangelo?
Potrebbe trasformare l'acqua in spritz, rendere stabile windows, saltare la file per comprare il nuovo iPhone o trovare parcheggio a Roma.
State certi che il Ministro dell'Interno lo metterà dentro per vagabondaggio, ve lo vedete che chiede al popolo se vuole liberare Gesù o Amanda Knox?
Quella è già fuori, gli urleranno.
Vabbè allora teniamo dentro lui... la storia non si stanca mai di ripetersi.

8 gennaio 2019

pa pa pa paaa

Erano a letto, sdraiati pancia in su, ognuno con il suo libro.
Lei leggeva qualcosa di De Carlo, Due di due, Tre per due, Uno di noi due, Tre fratto due o comunque una roba del genere.
Lui era su L'uomo che cade.
Lei cercava di incamerare un paio di capitoli per poi mettersi giù e crollare prima di lui e del suo rumoroso addormentarsi.
Lui cercava di portare a casa un paio di capitoli giusto per il progredire, anche se faceva un'inconsueta fatica. Nonostante il libro fosse scritto da dio, o da DeLillo che è un po' la stessa cosa, c'era spesso bisogno di rileggere dei pezzi, per meglio comprendere o apprezzare, per dare al testo tutta l'attenzione che meritava.
Poi lei stacca gli occhi dal libro e si volta verso di lui:
"Come fa la nona di Beethoven?"
"Pa pa pa paaa".
"Sicuro?"
Beethoven a lui gli fa sempre venire in mente un'interrogazione delle medie con il suo professore argentino, Diego si chiamava, o forse Lopez, o magari Diego Lopez. Di sicuro era argentino.
Della vita di Ludwig van doveva parlare e raccontò anche che da vecchio, quel gran genio della musica, diventò cieco.
Non lo corresse subito, solo alla fine, quando lo rimandò a posto con un sei:
"Ricorda di non dire più a nessuno che Beethoven divenne cieco da vecchio", questo gli disse Diego, o Lopez, o quel che era.
Eppure l'aveva visto quel ritratto del musicista piegato sul piano con il corno all'orecchio, o forse se l'era solo immaginato poi, vabbè, ormai era fatta.
Non è proprio sicuro che sia la nona sinfonia quella del pa pa pa paaa, l'indomani avrebbe googlato, ma quasi.
"Ma quasi" precisò.
Continuò a pensare al professore argentino e gli vennero in mente certi disegni che Diego buttava giù con gran maestria durante le interrogazioni dei ragazzi. Disegnava moto viste davanti, solo così, ma erano perfette.
Le disegnava con la penna, senza uno sbaffo, un'errore, non ci voleva uno scienziato per capire che era la sua specialità vera.
Fottute moto viste davanti, che invidia.

7 gennaio 2019

L'amore ai tempi della demenza senile

Bisogna ricominciare a scrivere.
Sforzarsi se necessario.
In qualche modo e per qualche motivo.
Fosse anche solo perché non c'è molto altro da fare.
Perché le storie che non verranno scritte non saranno mai di nessuno.
C'è da trovare il coraggio per attraversare la strada e andare a dare un'occhiata dall'altra parte.
Seppure rischiando di fare la fine del rospo.

Ho letto L'amore ai tempi del colera (3.4 carver), l'ho cominciato un po' così, dubbioso. E non ho evidenziato le prime frasi che mi colpivano, così poi ho evitato di segnare anche le successive perché non volevo fare un lavoro zoppo. Ma ne ho mandata a memoria una, non ho fatto poco.

Lo constatò con la compassione dei figli che la vita ha trasformato a poco a poco in padri dei loro padri...
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