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15 gennaio 2019

No grazie, non posso mangiar dolci (*)

C'era questo tipo, un vecchio collega di mia moglie, una vera sagoma a sentire lei.
Ne aveva avute per tutti ai tempi del loro comune lavoro e ora entrava in parecchi aneddoti della vita precedente di lei.
Il Bigi di qua, il Bigi di là, sapete com'è.
Non c'è cosa che il Bigi non avesse fatto, risposta salace che non avesse dato o spiegazione dotta che non avesse elargito.
Così va che salta fuori in più di un racconto nei dopo cena tra i cantucci e il vin santo.
Poi io non me le ricordo davvero le innumerevoli perle del Bigi, anche perché, fosse stato bello tira via, ma il fatto che fosse simpatico un po' di gelosia me la instillava.
Ma una cosa sì, l'ho memorizzata: aveva un modo unico di tirarsi fuori dalle situazioni spiacevoli, dalle proposte non gradite, dalle domande scomode.

- Ehi, Bigi, si va a pranzo insieme oggi?
- No grazie, non posso mangiar dolci.

- Domenica mi porti all'Ikea?
- No grazie, non posso mangiar dolci.

- Quest'anno in ferie, andiamo in Yemen?
- No grazie, non posso mangiar dolci.

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(*) marchio registrato Bigi.

7 gennaio 2019

L'amore ai tempi della demenza senile

Bisogna ricominciare a scrivere.
Sforzarsi se necessario.
In qualche modo e per qualche motivo.
Fosse anche solo perché non c'è molto altro da fare.
Perché le storie che non verranno scritte non saranno mai di nessuno.
C'è da trovare il coraggio per attraversare la strada e andare a dare un'occhiata dall'altra parte.
Seppure rischiando di fare la fine del rospo.

Ho letto L'amore ai tempi del colera (3.4 carver), l'ho cominciato un po' così, dubbioso. E non ho evidenziato le prime frasi che mi colpivano, così poi ho evitato di segnare anche le successive perché non volevo fare un lavoro zoppo. Ma ne ho mandata a memoria una, non ho fatto poco.

Lo constatò con la compassione dei figli che la vita ha trasformato a poco a poco in padri dei loro padri...

9 maggio 2016

Sono pienamente d'accordo a metà con Franzen

E niente, Purity mi ha un po' deluso (2,5 Carver).
Certo un po' dipenderà dall'effetto tutto qui?, e magari anche dai miei circuiti della memoria che mi rimandano insistentemente al purity auto degli anni '80, una polverina da tenere nel posacenere della 500 che t'inebriava di mela verde o che so io e che era sostanzialmente deprimente, anche se non raggiungeva le vette dell'alberello magico.
Cosa mi ha deluso? Non saprei esattamente, forse la trama, dove ho trovato alcuni passaggi ridondanti e, di contro, carenze narrative di quantità quando invece avrei voluto altre pagine da leggere.
Poi c'è la mia parte di responsabilità che si è concretizzata in una lentezza inaccettabile di lettura (ero troppo preso dal non scrivere post per la Linea). Un romanzo così è una bella donna che non puoi corteggiare per dieci minuti al giorno sperando poi pure di farci qualcosa
S'incunea persino il dubbio che la lentezza potesse essere l'effetto, più che la causa, del mancato apprezzamento del tomo.
Attenzione però, questa specie di delusione e di insoddisfazione non è assoluta, esiste solo nel paragone con altre sue opere.
Resta inalterato, in ogni caso, quello che a mio parere è il più grande pregio di Franzen: quando leggo di un suo personaggio, specialmente nelle prime pennellate descrittive di presentazione, o nei primi dialoghi, io non vedo mai un tizio inventato, vedo una persona vera, strappata al mondo reale e trasferita su carta.
Non vedo un dipinto, vedo una foto.
Di Cartier-Bresson.
Meglio di Come lui solo Manzoni.

2 gennaio 2015

Quanti amori conquistano il Cielo

Alla fine l'ho letto il libro di Giorgio Fontana vincitore del Campiello.
L'ho preso in biblio e me l'hanno dato pur se non ero troppo lucido quando l'ho chiesto:
- Volevo l'ultimo di Fontana, non ricordo il nome, il titolo è qualcosa tipo Vita di un uomo tranquillo.
- Ah sì, Fontana... Giovanni mi pare. (la bibliotecaria)
- Uhm, può essere. (ero sicuro di no, ma del resto anche io...)
- Eccolo qua, Morte di un uomo felice! (3,2 carver)
- Lui.
E l'ho letto. Niente da dire, un gran bel romanzo, pregno di riferimenti alla nostra storia recente. Una trama cupa per certi versi e lieve per altri e forse sta proprio qui la sua forza più grande.
Io ci ho ritrovato Scerbanenco, per dire, soprattutto per certe atmosfere, per l'asciuttezza dei dialoghi e per le descrizioni di luoghi e tempi molto accurate ma mai prolisse.
C'è tanto cielo nel romanzo, è un aspetto che mi ha colpito.
C'è cielo che incombe, cielo che rasserena, cielo che prepara, cielo che accompagna, c'è cielo che minaccia e cielo che si apre alla speranza.
Non lo so se è una cosa programmata e voluta o se gli sia venuto naturale a Fontana d'infarcire con tanto cielo la sua storia. Più di strade o luoghi, più di odori o suoni sono dettagliati i colori e le forme dei cieli e non è una roba brutta.
Una volta ho sentito Paolo Conte disquisire flemmatico sulla parola cielo e di come una semplice sfumatura, tipo usare cieli, al plurale, potesse conferire al testo una sensazione di spazi e di movimento.
Non che c'entri qualcosa col romanzo. O forse sì.
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