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27 aprile 2017
Piedi nei calzini
Un minuto prima stai bene e un minuto dopo cominci a sentire i piedi nei calzini.
E non esiste più nulla. Il lavoro, lo svago, le chiacchiere, il cibo e tutto, insomma, si fa sfumato sullo sfondo, in primo piano solo i piedi nei calzini.
E per quanto cerchi d'ignorarla questa sensazione fastidiosa, lei se ne sta lì in agguato e in mostra, come quel cretino che ti fa i versi davanti all'obiettivo quando devi fare una foto del palazzo reale.
Niente è più distinguibile dai tuoi sensi, solo i tuoi fottuti piedi nei tuoi fottuti calzini riesci a sentire.
Devi pensare ad altro, devi pensare ad altro.
Rifrulli il calderone della memoria e tiri fuori di tutto, dalla neve a casa vecchia a Gigi Riva in rovesciata, dai funghi porcini di Badia alla doppietta segnata di testa, dal primo amore scolastico alle poppe della farmacista, dalle macchinine della Polistil al Rischiatutto, da Tom Sawyer a Dolores Haze, dall'odore della benzina a quello di cane molle, dal cofanetto di caramelle Sperlari alla Billy dell'Ikea, da Thoeni in Val Gardena alla Schiavone a Parigi.
Ma nulla di tutto questo riesce a rispedire i piedi nei calzini nella vaghezza indistinta e rassicurante dell'anonimato.
Allora ci scrivi un post, giusto per esorcizzare, per distrarti, ma nulla.
I tuoi piedi si asserragliano ancora più strenuamente all'interno dei calzini. Sono agguerriti. E tu li senti i maledetti piedi nei calzini.
È uno status fisico che può, nel suo acme, perfino prescindere dagli stessi calzini.
E così li senti i piedi nei calzini, per dire, pure se stai scalzo o con le infradito hawaiane da troppi euri.
28 ottobre 2012
Il bene e il maalox
Soffro da sempre, con rispetto parlando per chi davvero soffre, di
bruciori allo stomaco. Almeno, così son sempre stati chiamati a casa
mia, anzi, forse più frequentemente, fortori.
In termini medico-linguistici penso tratterebbesi di gastrite.
E infatti è il mio gaster che patisce acide pene.
Senza disturbare la psicosomatica, mi sa che il mio stomaco si è evoluto. Di AI stomacale si tratta.
Al supermercato non mi posso avvicinare a nessuna bottiglia di vino scadente, peggio che mai pigliarla in mano per valutare. Lui, il capitano del mio apparato digerente, sua maestà lo stomaco, vigila. Prendo in mano la bordolese in offerta a 2 e 75 e mi rilascia una scarica aspra, sulle prime penso a un caso, ma si può? La poso, tuttapposto. La tiro di nuovo su, acidosi immediata. La lascio definitivamente sullo scaffale. Mi sposto, considero un Castello di Pomino del 2009 e il mio sommelier interno approva e mi libera all'istante dai buoni vecchi fortori.
C'è voluto un po' per identificare gli alimenti che mi provocano il fastidio gastrico, su tutti vino scadente, conferenze stampa di TuSaiChi, caffè della moka e pomodori ma, adesso che il mio stomaco lo sa, può scegliere per me. Io non devo far altro che lasciarmi guidare negli acquisti di cibarie da lui, come un docile Linguini nelle sapienti mani del suo Remy.
In termini medico-linguistici penso tratterebbesi di gastrite.
E infatti è il mio gaster che patisce acide pene.
Senza disturbare la psicosomatica, mi sa che il mio stomaco si è evoluto. Di AI stomacale si tratta.
Al supermercato non mi posso avvicinare a nessuna bottiglia di vino scadente, peggio che mai pigliarla in mano per valutare. Lui, il capitano del mio apparato digerente, sua maestà lo stomaco, vigila. Prendo in mano la bordolese in offerta a 2 e 75 e mi rilascia una scarica aspra, sulle prime penso a un caso, ma si può? La poso, tuttapposto. La tiro di nuovo su, acidosi immediata. La lascio definitivamente sullo scaffale. Mi sposto, considero un Castello di Pomino del 2009 e il mio sommelier interno approva e mi libera all'istante dai buoni vecchi fortori.
C'è voluto un po' per identificare gli alimenti che mi provocano il fastidio gastrico, su tutti vino scadente, conferenze stampa di TuSaiChi, caffè della moka e pomodori ma, adesso che il mio stomaco lo sa, può scegliere per me. Io non devo far altro che lasciarmi guidare negli acquisti di cibarie da lui, come un docile Linguini nelle sapienti mani del suo Remy.
20 settembre 2012
Chiamare l'ascensore for dummies
Premesso che io spesso e volentieri scelgo le scale, può capitare il giorno in cui, magari per educazione verso il collega con cui sto facendo due chiacchiere, prendo l'ascensore.
Io in azienda, oltre al corso di primo soccorso, programmerei anche un corsettino di primo ascensore visto che ancora non si è capito quale tasto bisognerebbe pigiare.
Se si escludono i piani più alto e più basso, dove ci dovrebbe essere un solo pulsante, agli altri piani ce ne stanno due, uno ha la freccia rivolta verso l'alto e uno verso il basso.
Dai, non ci vuole un astrofisico per sapere che tasto premere. Sei al 4° piano e vuoi scendere? Devi premere solo la freccia in basso, cazzo.
Se le premi entrambe, l'ascensore che deve venire a prendere me al 5° piano, si fermerà prima da te, poi salirà da me e, scendendo, si fermerà di nuovo al 4° a fare un apri/chiudi porta che non giova a nessuno. Nemmeno a te.
Ma la cosa che mi manda ancora più in bestia è la faccina con occhi di gatto di Shrek che tu farai quando arriverai al 5° e ti rifiuterai di scendere.
"Mi hanno chiamato su", è così che cercherai di professare tutta l'innocenza del creato e di ispirare una immeritata tenerezza.
A questo punto, l'unica cosa da fare è prenderti per il bavero, tirarti fuori e mollarti un pugno sul naso, proprio in mezzo agli occhietti supplichevoli.
Ti lascerò lì, a terra, grondante sangue, e scendendo, quando l'ascensore si fermerà, inutilmente, al 4° piano, un bel sospirone. Fatta e fatta bene.
Io in azienda, oltre al corso di primo soccorso, programmerei anche un corsettino di primo ascensore visto che ancora non si è capito quale tasto bisognerebbe pigiare.
Se si escludono i piani più alto e più basso, dove ci dovrebbe essere un solo pulsante, agli altri piani ce ne stanno due, uno ha la freccia rivolta verso l'alto e uno verso il basso.
Dai, non ci vuole un astrofisico per sapere che tasto premere. Sei al 4° piano e vuoi scendere? Devi premere solo la freccia in basso, cazzo.
Se le premi entrambe, l'ascensore che deve venire a prendere me al 5° piano, si fermerà prima da te, poi salirà da me e, scendendo, si fermerà di nuovo al 4° a fare un apri/chiudi porta che non giova a nessuno. Nemmeno a te.
Ma la cosa che mi manda ancora più in bestia è la faccina con occhi di gatto di Shrek che tu farai quando arriverai al 5° e ti rifiuterai di scendere.
"Mi hanno chiamato su", è così che cercherai di professare tutta l'innocenza del creato e di ispirare una immeritata tenerezza.
A questo punto, l'unica cosa da fare è prenderti per il bavero, tirarti fuori e mollarti un pugno sul naso, proprio in mezzo agli occhietti supplichevoli.
Ti lascerò lì, a terra, grondante sangue, e scendendo, quando l'ascensore si fermerà, inutilmente, al 4° piano, un bel sospirone. Fatta e fatta bene.
10 maggio 2012
Un carciofo ci salverà
Per anni, dall'adolescenza in poi, bene o male da quando ho imparato a riconoscere lo stress, l'ho accumulato. Cose da fare, da pensare, da mettere in fila nella gestione della vita in un trend esponenziale di preoccupazioni.
Scuola, militare, relazioni, lavoro, matrimonio, figli, separazione, tutto contribuiva all'innalzamento progressivo dell'asticella dello stress scaraventandola ad anniluce di distanza dai pomeriggi infantili trascorsi giocando a macchinine.
Non c'era verso di azzerarlo il To Do mentale, per una voce che spuntavi altre se ne aggiungevano a formare un conglomerato d'impegni all'apparenza inattaccabile. Il carciofo e le sue foglie.
Me l'ha spiegato una tizia (*), un giorno, che l'unico modo per affrontarle e vincerle, le cose da fare, consisteva nell'adottare l'attacco a foglia di carciofo.
Hai mangiato un carciofo in pinzimonio? Stacchi una foglia, poi un'altra e via così. E quando mangi le prime 5 o 6 il volume del carciofo appare intatto, non sembra che l'ortaggio ne risenta.
Con le prime voci del To Do che porti a compimento è lo stesso, non ti danno tutta quella soddisfazione perché tante ne restano da sminestrare, e il fardello di preoccupazioni non sembra sgonfiarsi.
Basta continuare, però, tirare avanti con una manciata di fiducia, e i risultati arrivano. Tirando via altre foglie inizi a ridurre l'ammasso, poi sempre più veloce, in quattro e quattr'otto eccoti al nucleo, ogni altra foglia che strappi infligge un colpo ferale alla tua vecchia lista ansiogena.
E quando arrivi al cuore del carciofo è fatta, è la parte migliore e te la puoi gustare in santa pace: il To Do è defunto sotto una sfilza di spunte.
In alcune fasi della vita, tipo questa per me, il cacchio di carciofo, però, sembra addirittura che si rafforzi, oltre la sua naturale forma e dimensione, con un germogliare di foglie all'esterno in una difesa strenua del nucleo e in ostacolo alla tua serenità. Foglie anche spinose, maledette!
Ma se è vero che anche il viaggio più lungo inizia dal primo passo è lampante che tu debba semplicemente aggredire la prima foglia per andare in culo al logorio della vita moderna.
(*) Poi la tizia è andata a finire che l'ho sposata e quando è capitato l'occasione le ho pure rivenduto la regola del carciofo e le sue foglie.
Scuola, militare, relazioni, lavoro, matrimonio, figli, separazione, tutto contribuiva all'innalzamento progressivo dell'asticella dello stress scaraventandola ad anniluce di distanza dai pomeriggi infantili trascorsi giocando a macchinine.
Non c'era verso di azzerarlo il To Do mentale, per una voce che spuntavi altre se ne aggiungevano a formare un conglomerato d'impegni all'apparenza inattaccabile. Il carciofo e le sue foglie.
Me l'ha spiegato una tizia (*), un giorno, che l'unico modo per affrontarle e vincerle, le cose da fare, consisteva nell'adottare l'attacco a foglia di carciofo.
Hai mangiato un carciofo in pinzimonio? Stacchi una foglia, poi un'altra e via così. E quando mangi le prime 5 o 6 il volume del carciofo appare intatto, non sembra che l'ortaggio ne risenta.
Con le prime voci del To Do che porti a compimento è lo stesso, non ti danno tutta quella soddisfazione perché tante ne restano da sminestrare, e il fardello di preoccupazioni non sembra sgonfiarsi.
Basta continuare, però, tirare avanti con una manciata di fiducia, e i risultati arrivano. Tirando via altre foglie inizi a ridurre l'ammasso, poi sempre più veloce, in quattro e quattr'otto eccoti al nucleo, ogni altra foglia che strappi infligge un colpo ferale alla tua vecchia lista ansiogena.
E quando arrivi al cuore del carciofo è fatta, è la parte migliore e te la puoi gustare in santa pace: il To Do è defunto sotto una sfilza di spunte.
In alcune fasi della vita, tipo questa per me, il cacchio di carciofo, però, sembra addirittura che si rafforzi, oltre la sua naturale forma e dimensione, con un germogliare di foglie all'esterno in una difesa strenua del nucleo e in ostacolo alla tua serenità. Foglie anche spinose, maledette!
Ma se è vero che anche il viaggio più lungo inizia dal primo passo è lampante che tu debba semplicemente aggredire la prima foglia per andare in culo al logorio della vita moderna.
(*) Poi la tizia è andata a finire che l'ho sposata e quando è capitato l'occasione le ho pure rivenduto la regola del carciofo e le sue foglie.
6 maggio 2012
Volta la carta
Se è vero che tutto ha un senso, ce l’avrà pure la carta da culo.
E il senso, in un tradizionale porta-carta-igienica, è questo.
Il rotolo si deve sbobinare da dietro, girando, e così chi lo cambia lo deve riposizionare. Almeno, a casa mia d'origine, è sempre stato così. Il motivo è semplice: si sbobina meglio e al momento dello strattone si recide perfettamente, nell’altro modo rischi di trovarti il rotolo che frulla come la mediana impazzita di un calciobalilla svolgendo la carta per tutta la casa, senza nemmeno poter incolpare il cagnolino.
Questo invece è il modo errato di mettere la carta o, più precisamente, il modo che piace a mia moglie.
Tu puoi pure dire che lo preferisci o che è meglio o inventarti una teoria, una relazione, un algoritmo (e qualcuno l'ha già fatto!) che lo giustifichi, ma sempre il modo sbagliato resterà.
E quindi, ti prego, non t'incaponire, goditi questo pezzo: volta la carta e facciamola finita.
E non pensate che, nonostante stiamo qui, in una landa del cazzeggio, quest'argomento sia facilmente catalogabile come fuffa. Magari.
Purtroppo così non è, pare proprio che fior di studiosi e psicologi abbiano applicato il loro ingegno per trovare un senso anche all'orientamento della carta, ma non vi ammorberò oltre se non con un paio di link iperfacoltativi che vi potete cliccare come no e siamo in pari lo stesso.
Sappiate solo che pare, e ripeto pare, che la maggioranza preferisca lo srotolamento da davanti, ma lo sappiamo bene che la ragione non è dei più.
Se invece capite di rotazioni e di vettori potete pure curiosare qui.
E voi come sbobinate, da sopra o da sotto?
E il senso, in un tradizionale porta-carta-igienica, è questo.

Questo invece è il modo errato di mettere la carta o, più precisamente, il modo che piace a mia moglie.
Tu puoi pure dire che lo preferisci o che è meglio o inventarti una teoria, una relazione, un algoritmo (e qualcuno l'ha già fatto!) che lo giustifichi, ma sempre il modo sbagliato resterà.
E quindi, ti prego, non t'incaponire, goditi questo pezzo: volta la carta e facciamola finita.
E non pensate che, nonostante stiamo qui, in una landa del cazzeggio, quest'argomento sia facilmente catalogabile come fuffa. Magari.
Purtroppo così non è, pare proprio che fior di studiosi e psicologi abbiano applicato il loro ingegno per trovare un senso anche all'orientamento della carta, ma non vi ammorberò oltre se non con un paio di link iperfacoltativi che vi potete cliccare come no e siamo in pari lo stesso.
Sappiate solo che pare, e ripeto pare, che la maggioranza preferisca lo srotolamento da davanti, ma lo sappiamo bene che la ragione non è dei più.
Se invece capite di rotazioni e di vettori potete pure curiosare qui.
E voi come sbobinate, da sopra o da sotto?
21 marzo 2012
Incarnazione della vanità
Lezione numero uno sulla seduzione (da Hanno tutti ragione di Paolo Sorrentino):
Mi rivolgo a voi, a quelli che, come me, bellissimi non lo sono mai stati. Quelli, insomma, che non è che una passa e vi muore dietro, magari non vi nota neanche e allora, è palese, resta una sola e unica arma nel vostro bagaglio, ma un'arma che può essere possente e smisurata e può smuovere le montagne: la parola.
Lezione numero uno sulla seduzione by Hombre:
Il primo passo per sedurre una donna (dico donna solo perché scrivo io, ma vale anche a sessi invertiti) consiste nel farle capire quanto vi piace. Dovete essere chiari e utilizzare il sistema che più vi è congeniale per comunicare alla donna dei vostri sogni quanto la desiderate. Parlatele, scrivetele una lettera, chiamatela a telefono, smessaggiatela, mandatele una mail o quello che vi pare ma, assolutamente, ficcatele in testa che vi fa impazzire, che pensate a lei ogni istante e che, secondo voi, è straordinaria.
Soprattutto se lei è veramente bellissima e tendete a reputarla inarrivabile, se vi sembra che abbia tutt'altra classe e tutt'altre mire che non voi, ecco, se avete una singola speranza di fare breccia nel suo cuore e nei suoi sogni è palesandole quanto vi piace.
E magari, se non avete la certezza che abbia capito, ripeteteglielo.
Perché dal momento che lei avrà ben compreso di essere desiderata da voi, in quel preciso istante, voi non sarete più un individuo, uno tra tanti, non sarete più insignificante, o trasparente, o neutro, no, in quel preciso istante, diverrete l'incarnazione della sua vanità, e lei vi guarderà con occhi nuovi.
Allora si apre un varco e nasce una speranza.
E se non doveste notare risultati nell'immediato, non disperate, perché il semino l'avete buttato e potrà iniziare a germinare da un momento all'altro.
Se ve ne state zitti, lì, a cogitare su quanto è bella lei, siete già fuori dai giochi, non foss'altro perché altri faranno a cazzotti per incarnare la sua vanità.
------------------------------------------------------------
(Vanity - John William Waterhouse)
Mi rivolgo a voi, a quelli che, come me, bellissimi non lo sono mai stati. Quelli, insomma, che non è che una passa e vi muore dietro, magari non vi nota neanche e allora, è palese, resta una sola e unica arma nel vostro bagaglio, ma un'arma che può essere possente e smisurata e può smuovere le montagne: la parola.
Lezione numero uno sulla seduzione by Hombre:
Il primo passo per sedurre una donna (dico donna solo perché scrivo io, ma vale anche a sessi invertiti) consiste nel farle capire quanto vi piace. Dovete essere chiari e utilizzare il sistema che più vi è congeniale per comunicare alla donna dei vostri sogni quanto la desiderate. Parlatele, scrivetele una lettera, chiamatela a telefono, smessaggiatela, mandatele una mail o quello che vi pare ma, assolutamente, ficcatele in testa che vi fa impazzire, che pensate a lei ogni istante e che, secondo voi, è straordinaria.
Soprattutto se lei è veramente bellissima e tendete a reputarla inarrivabile, se vi sembra che abbia tutt'altra classe e tutt'altre mire che non voi, ecco, se avete una singola speranza di fare breccia nel suo cuore e nei suoi sogni è palesandole quanto vi piace.
E magari, se non avete la certezza che abbia capito, ripeteteglielo.
Perché dal momento che lei avrà ben compreso di essere desiderata da voi, in quel preciso istante, voi non sarete più un individuo, uno tra tanti, non sarete più insignificante, o trasparente, o neutro, no, in quel preciso istante, diverrete l'incarnazione della sua vanità, e lei vi guarderà con occhi nuovi.
Allora si apre un varco e nasce una speranza.
E se non doveste notare risultati nell'immediato, non disperate, perché il semino l'avete buttato e potrà iniziare a germinare da un momento all'altro.
Se ve ne state zitti, lì, a cogitare su quanto è bella lei, siete già fuori dai giochi, non foss'altro perché altri faranno a cazzotti per incarnare la sua vanità.
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(Vanity - John William Waterhouse)
8 febbraio 2012
La Finestra di Johari (*)
Stavo formandomi al corso post assunzione.
Vari colleghi anziani si alternavano come docenti a illustrarci il bi e il ba della nostra nuova azienda.
Bon, era già tanto se non dormivo, quando arrivò 'sto tipo che c’illustrò la finestra di Johari attirando immediatamente la mia attenzione (sono impazzito per ritrovarla in gugol, non ricordandomi il nome).
Non so per quale motivo e in che contesto didattico si prese la briga di portarci a conoscenza della finestra, né sono in grado di dirvi se mi sia servito a qualcosa, conoscerla, in questi anni, certo è che l’ho tenuta lì, al calduccio tra i miei ricordi cari, e a volte l’ho rispolverata in qualche discussione. Tipo quando avevo da farmi bello.
Si tratta di uno strumento capace di rilevare come la personalità viene espressa, osservando quindi il rapporto tra noi e gli altri e aspira a definire le relazioni interpersonali, classificandole in quattro quadranti sviluppati su due dimensioni.
- L’area PUBBLICA (Open) contiene i fatti e le emozioni che volutamente mostriamo, che mettiamo “in piazza” e di cui parliamo in modo disinvolto. Può esprimere sia la nostra forza che le nostre debolezze, ma è quella parte di noi che scegliamo di condividere con gli altri.
- L’area PRIVATA (Hidden) contiene quegli aspetti che ben conosciamo di noi stessi, ma che teniamo nascosti agli altri.
- L’area NASCOSTA (Blind) è quella che contiene le cose che gli altri osservano di noi e che ci sono ignote. Di nuovo si può trattare di feedback positivi o negativi e comunque incide sul modo in cui gli altri si relazionano a noi e anche sul livello della nostra disinvoltura in determinate situazioni. (è il pezzettino di di prezzemolo fra i denti!)
- L’area IGNOTA (Unknown) contiene quegli aspetti totalmente sconosciuti, a noi stessi e agli altri perché è sepolta nel subconscio che si rivela solo in situazioni particolarmente emozionali.
(da psicolab.net - Nell'immagine siete il cammello - ogni riferimento a persone realmente esistenti è puramente casuale)
Essenzialmente sono affascinato dall’esistenza del quarto quadrante. Una zona di me, della mia personalità, buia per me e buia per gli altri.
M'intriga perché lascia una speranza di creatività imprevedibile a tutti. Comportamenti, episodi, sfumature caratteriali che adesso, per quanto riguarda il sottoscritto, non sono né da me né da altri minimamente ipotizzabili potrebbero concretamente realizzarsi un giorno, grazie all’esistenza del quarto quadrante della finestra di Johari. Niente ci è precluso.
Chissà, magari un domani potrei brandire un'ascia a caccia della mia Wendy, partire alla volta della Repubblica di Marzapane, potrei mettere una firma contro la droga ai chioschetti dei Lautari o scrivere, al fin della fiera, un post decente.
(*) Non vi pensate a un fantomatico santone indiano, Johari altro non è che un accrocchio dei nomi di battesimo dei due ricercatori californiani che nel 1955 hanno elaborato la pensata: Joseph Luft e Harry Ingham.
26 gennaio 2012
Darsi alle macchie
Da più parti mi spinsero ad andare dallo strizzacervelli e io, per farla breve, visto che ancora seguivo i consigli altrui, mi sparai una decina di sedute.
Si stava lì, parlando del più del meno, dei secoli scorsi della mia vita, e di cosa stessi combinando che ero un po’ frastornato.
Tirate le somme il tipo concluse che non aveva tempo da perdere con me, che aveva in cura drogati e depressi all’ultimo stadio e che mi levassi un po’ dalle palle. Detto un po' meglio.
Il momento più significativo della nostra frequentazione si sviluppò attorno al noto Test di Rorschach. Quello delle macchie, per intendersi.
Ci sono queste 10 carte che ti danno e tu, dal momento che le prendi in consegna, sei sotto esame e vale tutto.
Vale se le giri, vale se le appoggi e le prendi in mano una per volta, vale se chiedi cosa devi fare o no, vale se le stringi, se le sfiori appena, se le tieni con due mani o con una, vale se guardi anche dietro, vale se rispondi subito o dopo un po’. Vale tutto. Ma anche nulla. Soprattutto vale ciò che ci vedi o dichiari di vederci.
Si vocifera esista un poderoso archivio mondiale implementato con tutte le descrizioni affibbiate alle 10 macchie, in ogni tempo e in ogni luogo.
Ora, detto a voi, in quelle macchie io ci ho visto solo roba sessuosa. Secondo me, anzi, sono proprio studiate apposta.
Il malato grave è quello che ci vede un tizio che porta a spasso il cane, una nuvola del cielo o un cappellino coi fiori di Elisabetta II Windsor.
Epperò, considerato che del tutto andato non ero, pensai bene di edulcorare il mio risultato e di descrivere alcuni soggetti prettamente erotici con banalità iconografiche poco riconducibili al profilo del maniaco sessuale o del serial killer.
Però non potevo nemmeno ignorarle tutte tutte, pensai, perché mi avrebbero sgamato subito.
Quindi alcune le spiegai proprio come le vedevo.
Su questa (macchia n. 1) dichiarai:
- Una vagina in sezione.
Datemi torto! Lo strizza saltò sulla sedia: ritenne d’aver risolto il caso del mostro di Firenze.
- In sezione, come in sezione?
- Sì, come si vede nei libri di educazione sessuale.
E su quest’altra (macchia n. 3):
- Due travestiti.
Doppio balzo carpiato raggruppato avvitato sulla sedia.
- Travestiti? E perché?
- Come perché? Hanno le tette, i tacchi e il pisello, che altro possono essere?
- Uhm...
Qui cominciò a guardarmi storto, ma io avevo ancora 7 carte per riconvertire il mio profilo psicologico sui parametri del bravo bambino e, nonostante mi capitassero in mano solo orge, scene di fellatio e enormi mammelle, io vidi, fortissimamente vidi, gente a chiacchiera, gelati alla fragola e morbide colline in fiore.
Era chiaro che se c’era uno in malafede là dentro era lui. Porco maniaco mentitore. Mi liquidò informandomi che non riscontrava alcuna patologia in me.
Poi si chiuse in bagno con la macchia numero 3.
Si stava lì, parlando del più del meno, dei secoli scorsi della mia vita, e di cosa stessi combinando che ero un po’ frastornato.
Tirate le somme il tipo concluse che non aveva tempo da perdere con me, che aveva in cura drogati e depressi all’ultimo stadio e che mi levassi un po’ dalle palle. Detto un po' meglio.
Il momento più significativo della nostra frequentazione si sviluppò attorno al noto Test di Rorschach. Quello delle macchie, per intendersi.
Ci sono queste 10 carte che ti danno e tu, dal momento che le prendi in consegna, sei sotto esame e vale tutto.
Vale se le giri, vale se le appoggi e le prendi in mano una per volta, vale se chiedi cosa devi fare o no, vale se le stringi, se le sfiori appena, se le tieni con due mani o con una, vale se guardi anche dietro, vale se rispondi subito o dopo un po’. Vale tutto. Ma anche nulla. Soprattutto vale ciò che ci vedi o dichiari di vederci.
Si vocifera esista un poderoso archivio mondiale implementato con tutte le descrizioni affibbiate alle 10 macchie, in ogni tempo e in ogni luogo.
Ora, detto a voi, in quelle macchie io ci ho visto solo roba sessuosa. Secondo me, anzi, sono proprio studiate apposta.
Il malato grave è quello che ci vede un tizio che porta a spasso il cane, una nuvola del cielo o un cappellino coi fiori di Elisabetta II Windsor.
Epperò, considerato che del tutto andato non ero, pensai bene di edulcorare il mio risultato e di descrivere alcuni soggetti prettamente erotici con banalità iconografiche poco riconducibili al profilo del maniaco sessuale o del serial killer.
Però non potevo nemmeno ignorarle tutte tutte, pensai, perché mi avrebbero sgamato subito.
Quindi alcune le spiegai proprio come le vedevo.
Su questa (macchia n. 1) dichiarai:
- Una vagina in sezione.
Datemi torto! Lo strizza saltò sulla sedia: ritenne d’aver risolto il caso del mostro di Firenze.
- In sezione, come in sezione?
- Sì, come si vede nei libri di educazione sessuale.
E su quest’altra (macchia n. 3):
- Due travestiti.
Doppio balzo carpiato raggruppato avvitato sulla sedia.
- Travestiti? E perché?
- Come perché? Hanno le tette, i tacchi e il pisello, che altro possono essere?
- Uhm...
Qui cominciò a guardarmi storto, ma io avevo ancora 7 carte per riconvertire il mio profilo psicologico sui parametri del bravo bambino e, nonostante mi capitassero in mano solo orge, scene di fellatio e enormi mammelle, io vidi, fortissimamente vidi, gente a chiacchiera, gelati alla fragola e morbide colline in fiore.
Era chiaro che se c’era uno in malafede là dentro era lui. Porco maniaco mentitore. Mi liquidò informandomi che non riscontrava alcuna patologia in me.
Poi si chiuse in bagno con la macchia numero 3.
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