26 giugno 2012

Wimbledon 2012

Il primo Wimbledon che ricordi in tivù è quello del 1976 con la finale giocata e vinta dall'astro nascente Borg. L'avversario dello svedese era il rumeno Ilie Nastase, un personaggio unico, il McEnroe di quei tempi, per intenderci.
Ero con Nicola, siamo partiti presto dopo pranzo, era un caldo soffocante, gli adulti murati nelle case. Era il giorno della finale, ma dovevamo farne altre ventimila, non è che un evento solo, seppure così importante, poteva saziare il nostro vagabondo spirito estivo.
Siamo andati prima al lago del Migliorini, strisciando per fossi e viottoli erbosi incuranti del caldo e, una volta là, abbiamo fatto strage di persici: pesciolini fin troppo colorati e vivaci per vivere in quella melma di lago ma comunque immangiabili.
Poi siamo tornati e sudati fradici ci siamo buttati sul divano per ammirare i nostri eroi sul catodico tubo del mio Radio Allocchio Bacchini.
Nicola teneva Borg e io Nastase, perché tenere Nastase era più comodo, lui era famoso, l'altro era un pischello venuto da chissà dove. Nicola, invece, che faceva sempre l'alternativo tifando Stenmark, il Lanerossi Vicenza e James Hunt sposò la causa del biondone, imparò pure il rovescio a due mani e prese a farmi il culo sul campo in terra rossa del Rampizzi (eh sì).

A me Wimbledon rilassa, oltre a scandire piacevolmente la vita. Intanto è in un periodo in cui siamo spesso in ferie, al mare nei weekend o in piscina ed evoca giocoforza scenari migliori della sagra della ballotta di novembre. E poi è preciso, puntuale, si presenta educato sul tuo schermo, ti irrora il salotto di un bel verde e pare che ti dice "ciao, stai ancora là? Io ci sono, puoi buttare un occhio se ti va".
Wimbledon è una garanzia, ritorna ogni anno ed è sempre carico di fascino.
Tutto questo per dire che se un anno avrò quei due-tremila euro da buttare ci vado a vedere una finale.

25 giugno 2012

Libri da scrivere - n. 3


Colita
La passione amorosa di un attempato professore per un'adolescente. Alla fine, con tutto quel fuoco nei lombi, l'infiammazione al colon era il minimo.


Siddhartagnan
Ritrovare se stesso tirando di scherma.


Camera con Vistola
A un barese in gita a Varsavia assegnano una stanza con affaccio sul fiume.


Lo stravecchio e il mare
Sono ottantaquattro giorni che Santiago non prende un pesce. Disperato, si ubriaca col brandy.


Eat
Un mostro vive nelle viscere di Derry, una cittadina del Maine, e quando ti trova ti mangia.

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Qui le sessioni precedenti: 1 - 2

24 giugno 2012

Notti magiche...

...inseguendo un gol sotto il cielo di un'estate ucraina. P.s. Questo post partecipa al concorso "Metti un post su blogger coll'ipad te che tu fai tanto i' ganzo".

22 giugno 2012

Acqua 2 Ho

Il comune dove abito, Bagno a Ripoli, (avremmo modo di parlarne anche male, ma un'altra volta) ne ha fatta una giusta impiantando sul territorio enne distributori di acqua alta qualità, ché a noi bere proprio quella del rubinetto ci schifava un po', anche se con la brocca e i filtri si faceva.
Quindi si va ai distributori pubblici e si evita l'assurdità ecologica di approvvigionarsi ai supermercati di bottiglioni plastici ripieni del prezioso liquido proveniente dai luoghi più disparati e lontani e altissimi e purissimi della penisola (quando non dall'estero), e portato a destinazione da tutti quei bei TIR che mi passano davanti casa rilasciando gli amabili resti di polveri sottili che non riuscirebbe a tirare via manco quel matto di Pablo col Pronto, purtroppo.
Va così che, gratuitamente, ci procuriamo dell'ottima acqua da bere, financo gassata, volendo.
Solitamente io, dolcemetà e pikachu (il piccolo) beviamo quella gassata mentre goku (il grande) quando viene, va rigorosamente a naturale, essendo sempre stato avverso alle bollicine.
Ora succede uno strano fenomeno quando siamo a cena in 4 e sulla tavola coesistono i 2 tipi di acqua, naturale e minerale: pikachu beve solo ed esclusivamente acqua naturale e guai a versargli l'altra.
E io, da padre, che ci vedrò secondo voi? Una picca? No!
Ci vedo l'ammirazione, il rispetto, la stima, l'invidia, l'emulazione... l'amore, in una parola, del cucciolo per il suo fratellone.
E mi sciolgo, pure con l'aria condizionata a palla.

21 giugno 2012

Di Sasso restare

Matera è qualche cosa, insomma, va vista.
Ti resta negli occhi, la sua storia, il caldo torrido, la gravina, i paesaggi delle colline attorno e la sensazione privilegiata d’essere in un buco segreto di mondo.
Anche parcheggiare in piazza San Pietro Caveoso, dov’è stato flagellato Jim Caviezel in The Passion di Mel Gibson, fa un certo effetto, cristosanto.
Epperò, 'sti Sassi, son patrimonio, sì, ma di chi?
Dell’Unesco, dei materani, dell’umanità? Certo, quello è che canalizza il flusso continuo di visitatori: i Sassi.
E allora, se mi permettete, non so bene a chi rivolgermi, questi Sassi dovrebbero essere mantenuti a garbo. Non si può visitarli e scoprire che all’interno vi sono abbandonati rifiuti di ogni genere che nessuno si prende cura di togliere o di segnalarne la presenza.
Ci siamo imbattuti in alcuni Sassi davvero vergognosi. Così, a memoria, ricordo tracce inqualificabili della civiltà moderna: bottiglie vuote di birra, sacchetti in plastica pieni d’immondizia, bucce di cocomero a gogò, tavolini da giardino semi-apparecchiati, sacchi a pelo, gomme di bicicletta, ammassi indistinti di calcinacci e terra, lattine.
Va da sé che visitare i Sassi, per loro natura, ci s’immagina che non sia come andare a zonzo in un salone degli arazzi, ma un conto è il grezzo naturale, l’odore di vissuto e di muffa di un Sasso scavato nella calcarenite e un conto è l’abbandono e l’incuria in cui alcune grotte versano.
Che devo dire? Son rimasto stupito anche che ci abbiano accompagnato nel nostro giro guidato al cospetto dei Sassi profanati dalla sporcizia (e non era materiale del giorno prima, vi assicuro). Non sarebbe cambiato molto ma, almeno, fatevi  furbi: portate i turisti dov'è pulito e nel frattempo (SUBITO!) sbrattate il resto.
Basta poco, una mattinata e un manipolo di volontari.

Quanto alla soundtrack di Matera consiglio Johnny Cash, io l'ho sentita là, alla radio, venendo via e... beh.

19 giugno 2012

Faccio lo sborone

Uno, due, tre…
Al casino mi ha portato il mio cugino grande, il Loris.
Che io, per me, ci sarei anche andato prima, ma era che lui ci teneva troppo a questa cosa. C’aveva portato già suo fratello.
Ma ora toccava a me, diobono, sedici anni finiti e tanta voglia di veder della passera.
Che io, per me, avevo già visto quella della Barbarina, se vale dal buco della gabina al mare. Che lei lo sapeva che quando si cambiava il costume c’era la fila di noi a spintonarsi lì fuori, ma non s’affrettava mica, anzi pareva che lo faceva apposta.
Che poi ce lo dissi pure, Barbarina tanto te l’ho vista, non è che me la fai anche toccare. Vamolà e uno spintone, ma secondo me, prima o poi…
Pedala il Loris, che io devo mantenere le forze, dice, e quindi sto dietro, in piedi sul portapacchi, faccio il signore. Il posto sta sullo stradone lungo che porta a Riosparuto, per quello lo sanno pure i cinnazzi di sei anni, fa un caldo boia e meno male che non fatico.
L’ho capito adesso cos’aveva da ridacchiare mio papà, a pranzo, con tutto che era strano che di sabato il Loris fosse a mangiare da noi. Mia mamma stava zitta, invece, ma per sapere sapeva anche lei, e mi ha sbucciato pure una mela, senza che le chiedevo nulla.
Prendo il vento in faccia, fischio alle ragazze e canto. Faccio lo sborone, ma in realtà mi sto cagando sotto, mica per nulla. Che per me il Loris l’ha capito, ma che devo fare?  Se c’è una via per farla finita di bastonare il cieco è questa.
Quando s’arriva ho le gambe molli, nemmeno avessi pedalato io e venissi dalla riviera.
Trecentoventisei, trecentoventisette, trecentoventotto…
Il Loris mi fa accomodare in una specie di salottino dove c’è già un signore coi baffi, anzi, sarebbe meglio dire ci son due baffi con un signore, visto che i mustacchi hanno l’aspetto e la dimensione di code di martora ed è la prima cosa che si nota.
Che c’abbiamo, un’entratura? Chiede una tipa tracagnotta e mezza ignuda che pregavo il cielo non era la mia, ecco.
Sì, fa il Loris, c’è il mio cuginetto che da oggi entra nel giro.
Poi confabulano un po’ e il Loris s’infratta dietro una tenda, un corridoio e chissà cos’altro.
‘Spetta mo’ qua, e io fermo.
Immobile come la statua biancobarbuta di Garibaldi in piazza, accanto al mustacchione che nel frattempo s’è messo a leggere, che per me faceva finta e voleva solo sembrare che stava lì per caso.
Se mi concentravo potevo sentire le cicale fuori dalla finestra che s’accordavano al tapùm tapùm del mio cuore.
Una mora, alta un paio di metri, viene a pigliarsi l’altro, e come le va lesto dietro, il baffone.
Ora non ci sono che io ed è come se una morsa mi agguanta le budella. Vorrei scappare e scapperei se solo posso evitare che lo sanno tutti in paese. E allora resto, con queste gambe burrose e un affarino tra le gambe così rattrappito che nemmeno quando si fa il bagno nell’acqua gelata della pescaia.
Bionda, è l’unica cosa che riesco a pensare, vorrei proprio che appare una bionda, non m’importa se tinta, che io mica lo so. E poi è uguale.
Dopo uso il trucchetto, quello mio per rilassarmi quando c’ho troppa strizza: inizio a contare. Da uno in su, fin dove arrivo prima che succeda la cosa, la cosa che son lì per quella. E conto, niente di specifico, metto solo in fila dei numeri, uno via l’altro e andare oltre il cento, verso il mille.
E al cinquecentosettantuno una mano rosso smaltata scosta la tenda.

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Il testo partecipa all'EDS Attesa come anche :

Ti aspetto by SpeakerMuto (Radio Free Mouth)
God save the Queen - by Melusina (Poco mossi gli altri mari)
E tu come stai? - by firulì firulà... 
Anime - by Lillina (Ora e Qui)
Ombre di fiori sul mio cammino - by Dario (Solo Testo)
In-attesa - by Chiagia (La pipa di Magritte)

17 giugno 2012

Read Only Memory - n. 7

Gli enigmisti, e non solo, sanno bene che la definizione perfetta che inquadra il bibliotecario è beato coi libri, anche e soprattutto perché si tratta del suo anagramma.
Alla biblioteca dove vado io, ché nonostante il Kindle leggo ancora 'sti cosi cartacei, di solito mi serve un bibliotecario che beato non è di certo. Sempre immusonito, sempre incacchiato con chi lascia la porta aperta, con chi la lascia chiusa, col collega che non gli dà mano o col collega che s'intromette, coi bimbetti che giocano e coi ragazzi che posano il casco nell'armadietto. E poi dorme, per registrare i tuoi noleggi ci sta una vita, guarda in qua, guarda in là, pare sbarcato da Alpha Centauri col diretto delle tre. E penso che quella meravigliosa definizione non regge con lui, non regge se non la modifichi un po'. Alla fine ce la fa, passa i miei volumi e io, sfibrato, posso andarmene, e lo lascio lì: beota coi libri.
 

   Sai perché ho sposato Carol? – Questa volta pronunciò il suo nome, come per rendere a bella posta più brutalmente indiscreto ciò che stava per confessare. Ma non era, in effetti, la brutalità di Henry; era la brutalità della sua coscienza, che lo sorprendeva prima ancora che lui avesse cominciato a violarne i principî.
-    No, - rispose Zuckerman, al quale Carol era sempre sembrata carina, ma noiosa, - no, davvero.
-    Non è stato perché piangeva. Non è stato perché le avevo messo il distintivo all’occhiello e l’anello al dito. Non è stato neanche perché i nostri genitori si aspettavano che lo facessimo… Le avevo prestato un libro. Le avevo prestato un libro, e sapevo che se non l’avessi sposata non l’avrei più rivisto.


(Zuckerman scatenato - Philip Roth)

E voi che state leggendo? A parte le dichiarazioni del Trap, intendo.
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