Alla fine l'ho letto il libro di Giorgio Fontana vincitore del Campiello.
L'ho preso in biblio e me l'hanno dato pur se non ero troppo lucido quando l'ho chiesto:
- Volevo l'ultimo di Fontana, non ricordo il nome, il titolo è qualcosa tipo Vita di un uomo tranquillo.
- Ah sì, Fontana... Giovanni mi pare. (la bibliotecaria)
- Uhm, può essere. (ero sicuro di no, ma del resto anche io...)
- Eccolo qua, Morte di un uomo felice! (3,2 carver)
- Lui.
E l'ho letto. Niente da dire, un gran bel romanzo, pregno di riferimenti alla nostra storia recente. Una trama cupa per certi versi e lieve per altri e forse sta proprio qui la sua forza più grande.
Io ci ho ritrovato Scerbanenco, per dire, soprattutto per certe atmosfere, per l'asciuttezza dei dialoghi e per le descrizioni di luoghi e tempi molto accurate ma mai prolisse.
C'è tanto cielo nel romanzo, è un aspetto che mi ha colpito.
C'è cielo che incombe, cielo che rasserena, cielo che prepara, cielo che accompagna, c'è cielo che minaccia e cielo che si apre alla speranza.
Non lo so se è una cosa programmata e voluta o se gli sia venuto naturale a Fontana d'infarcire con tanto cielo la sua storia. Più di strade o luoghi, più di odori o suoni sono dettagliati i colori e le forme dei cieli e non è una roba brutta.
Una volta ho sentito Paolo Conte disquisire flemmatico sulla parola cielo e di come una semplice sfumatura, tipo usare cieli, al plurale, potesse conferire al testo una sensazione di spazi e di movimento.
Non che c'entri qualcosa col romanzo. O forse sì.
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2 gennaio 2015
26 luglio 2011
In fasce
In libreria sono fatalmente attratto dalle fascette sui libri. Lamelle di carta patinata e non che, abbarbicate alla copertina davanti e dietro, attraggono irrimediabilmente lo sguardo dei frequentatori del luogo sulle diciture sopra impresse. Come velivoli della domenica di passaggio sulle coste della Versilia, al posto dei romantici “Valeria mi vuoi sposare” o degli anche meno “Bevete Coca-Cola”, le fascette sbandierano ai quattro venti quando i premi vinti o i milioni di copie vendute, quando le numerose edizioni di ristampa o il fatto che l’autore ha pure scritto un poderoso bestseller che si presume abbiate già divorato.
E così si passano in rassegna tomi pensati e scritti per noi da “l’autore del Codice da Vinci”, oppure sconosciuti libercoli alla loro però ennesima riedizione, o magari si viene predisposti all’acquisto dall’informazione che già altre 300.000 persone hanno comprato una copia di quel romanzo, e questo quando era addirittura un comune libro tra i libri senza fascetta. Le più accattivanti, però, sono le fascette legate ai vari premi letterari che informano sul vincitore del Pulitzer, dello Strega, del Bancarella o del Campiello.
Ma i vincitori degli ambìti e succitati premi sono, al fin della fiera, un numero limitato. E allora come intortare l’animale da libreria come me con più affinate e numerose esche? Da qualche tempo, strategie finissime di marketing realizzan fascette in grado di far acquistare un libro persino a Fabrizio Ravanelli (“Ho un solo libro in casa, la biografia di Alba Parietti. Perché me l’ha regalato lei”, testuale). E anche a me.
Così mi son ritrovato in casa – io, inconsapevole compratore di libri fascettati – un “Finalista al premio Strega 2010”, un “In concorso al premio Campiello” e persino un “Avrebbe voluto partecipare al Bancarella ma col cazzo che l’hanno preso”.
Se il libro si vende male, quindi, non è che è brutto, noioso o banalmente illeggibile, solo non ha avuto in sorte di fregiarsi di una qualsivoglia fascetta.
Non uscirà mai un libro mio ma, nel caso, imporrò una clausola nel contratto con l’editore e, potete starne certi, riguarderà l’apposizione obbligata di una fottuta fascetta al libro, foss’anche con su scritto “fa cagare”.
E così si passano in rassegna tomi pensati e scritti per noi da “l’autore del Codice da Vinci”, oppure sconosciuti libercoli alla loro però ennesima riedizione, o magari si viene predisposti all’acquisto dall’informazione che già altre 300.000 persone hanno comprato una copia di quel romanzo, e questo quando era addirittura un comune libro tra i libri senza fascetta. Le più accattivanti, però, sono le fascette legate ai vari premi letterari che informano sul vincitore del Pulitzer, dello Strega, del Bancarella o del Campiello.
Ma i vincitori degli ambìti e succitati premi sono, al fin della fiera, un numero limitato. E allora come intortare l’animale da libreria come me con più affinate e numerose esche? Da qualche tempo, strategie finissime di marketing realizzan fascette in grado di far acquistare un libro persino a Fabrizio Ravanelli (“Ho un solo libro in casa, la biografia di Alba Parietti. Perché me l’ha regalato lei”, testuale). E anche a me.
Così mi son ritrovato in casa – io, inconsapevole compratore di libri fascettati – un “Finalista al premio Strega 2010”, un “In concorso al premio Campiello” e persino un “Avrebbe voluto partecipare al Bancarella ma col cazzo che l’hanno preso”.
Se il libro si vende male, quindi, non è che è brutto, noioso o banalmente illeggibile, solo non ha avuto in sorte di fregiarsi di una qualsivoglia fascetta.
Non uscirà mai un libro mio ma, nel caso, imporrò una clausola nel contratto con l’editore e, potete starne certi, riguarderà l’apposizione obbligata di una fottuta fascetta al libro, foss’anche con su scritto “fa cagare”.
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