15 luglio 2013

Permette signora - (2)


Il Maresciallo Giuseppe Spataro, quarant’anni, si porta in giro novanta chili di corpulenza ben distribuita in quasi due metri d’altezza. Sfoggia un vistoso paio di baffi anni settanta, un po’ fuori tempo e un po’ da finocchio. Non è tipo da stare dietro alle mode, il baffo se l’è lasciato crescere quando andava e ha dimenticato di tirarlo via quando i Village People l’hanno connotato di gaiezza.
È da sempre in lotta con il suo organismo irsuto, ha peli in posti dove altri non hanno nemmeno i pori, ne ha tappetini sulle spalle e sulla schiena, ne ha ciuffi sulle dita, ne ha spighe dentro le orecchie e nel naso. Si rade almeno due volte al giorno, baffi a parte.
Incute timore a guardarlo, è autorevole e destinato a farsi intendere. Comanderebbe la caserma di Ponte al Drago pure se fosse l’ultima recluta, il fatto che ne sia il capo ufficiale è, a tutti gli effetti, un dettaglio.
Sormonta quel popò di fisico una testa in proporzione piccola, ma alla quale è restituita imponenza e dignità dal copricapo fiammato che Spataro non toglie mai, almeno finché mantiene una posizione verticale. Le mani si presentano come una sorta di racchette che è fortemente indicato non dover incocciare mai, né di dritto né di rovescio. Le strette del maresciallo Spataro sono un rischio serio per la funzionalità di falangi, falangine e falangette del salutato.
È pigro e preferisce astenersi dall’esercitare attività non legate alla sopravvivenza diretta. Potendo, utilizzerebbe la volante pure per andare a pisciare. Nel paese è un’istituzione. Non è tipo da ricercare il consenso a tutti i costi, anzi, coltiva volutamente un atteggiarsi burbero dal quale, traspare, suo malgrado, un animo definibile gentile, anche se non in sua presenza.
Una voce baritonale completa la sua figura possente. Il maresciallo Spataro non fa rispettare la legge, tutto sommato è la legge. Una sorta di sceriffo alla John Wayne in un villaggio del West del Chianti, con i peli come speroni e l’Alfetta blu sotto il culo, al posto del cavallo.
La sua passione sono le canzonette, quelle datate, di quando era giovane. I ritmi moderni della disco music hanno il potere di metterlo a disagio e gli provocano un insistente prurito alle mani in un processo di fastidiosa somatizzazione.
Le canzonette lo aiutano nelle sue battaglie contro il crimine, contro la peluria diffusa e contro la sua immagine di buono dentro.
Le canzonette lo guidano, di questo ha l’assoluta certezza. Ai versi delle canzoni che gli risuonano in testa, ha spesso attribuito miracolose svolte nelle indagini. E, anche se lo sa bene che non è materia di divulgazione scientifica, il pensiero di averle lì, a disposizione, lo conforta, gli infonde fiducia e, almeno indirettamente, lo aiuta.
Perché sapere ne sa a pacchi, di canzonette, e di tutte conosce titolo, interprete, autori, testo e melodia.

1 commento:

Ma dici a me? Ma dici a me? Ma dici a me? Ehi con chi stai parlando? Dici a me? Non ci sono che io qui...