15 aprile 2013

Il Liʃca - (1)


Io ʃpero che il congiuntivo muore. Di per ʃé non mi ha fatto nulla, non ce l’ho con il congiuntivo, ce l’ho con tutti quelli che ʃtanno lì, pronti a ʃaltarti addoʃʃo quando ne ʃbagli uno e a ʃoʃtenere che ʃai l’italiano ʃolo ʃe conoʃci il congiuntivo. Cavolate.
Ecco queʃta è una coʃa che mi va che ʃapete di me, ʃe volete conoʃcermi meglio.
Anche ʃe forʃe prima avrei dovuto avviʃarvi che ho un difetto di pronuncia, la liʃca, per queʃto avete viʃto e vedrete delle lettere ʃtrane in queʃto teʃto, beh ʃono le mie “eʃʃe” e ci tengo che le leggete e le pronunciate nella voʃtra teʃta come le direi io, queʃto ci avvicinerà un po’, io e voi, anche ʃe non è detto che è una buona coʃa.
E tenete preʃente che anche con le ʒeta non è che ci vado proprio a noʒʒe.
Non ʃono nemmeno bravo a ʃcrivere, no, ma tra le coʃe che mi piace fare – che non ʃono molte - è una di quelle che mi viene più naturale, perciò ʃcrivo. O imbratto carte, ʃe preferite.

Mi chiamo Marco Pampaloni, un nome ʃpeciale a cui voglio un gran bene, un po' perché è il mio ma ʃoprattutto perché non ha eʃʃe, non ha ʒeta e quando lo pronuncio, perché capita ʃpeʃʃo che ti chiedono come ti chiami, lo pronuncio bene come ʃe ʃono normale.  Già, perché a queʃto punto è meglio che vi dico pure che non ʃono normale.
A detta di molte perʃone che mi è capitato d'incontrare nella vita ʃono un tipo ʃtrano e una fetta di ragione ce l'avranno, ʃe conʃideriamo l’elenco di epiteti che mi ʃono ʃtati rivolti e che ho diligentemente raccolto. Difatti ho un quadernetto dove colleʒiono i vocaboli con i quali mi ʃono ʃentito chiamare negli anni, direttamente o per ʃentito dire. Quindi ʃono mentecatto, ʃvitato, handicappato, ritardato, mongoloide, ʃono idiota e pure ʃuonato e tipo ʃtrano. Ma ʃono anche ʃtupido eʃʃere, meʒʒo grullo, teʃta d’uovo e ʃono diverʃamente abile, deficiente e varie verʃioni di faccia di che potete immaginare anche ʃenʒa che ve le ʃcrivo.
Quello che preferiʃco è “attardato”, come mi chiamò un bulletto un giorno in buʃ. Non mi è piaciuto ʃubito queʃto “attardato”, ma piano piano mi ci ʃono affeʒionato, da quando anche per Maria ʃono diventato il ʃuo cucciolo attardato.
E poi, attardato, a parte che non ha eʃʃe e non ha ʒeta, dà proprio l'idea che poi comunque arrivo, perché arrivo.
Neʃʃuno ad ogni modo mi conoʃce come Marco Pampaloni, per tutti gli amici ʃono “il Liʃca” e mi va bene coʃì. Per i meno amici ʃono una delle robe del quadernetto.
In buʃ tornando da ʃcuola ero quello che toccava il ʃedere alle ragaʒʒe. Lo facevo perché erano i miei compagni a ʃpingermi. Loro ʃe la ʃghignaʒʒavano in fondo al buʃ e a me dava una ʃcoʃʃa ʃentirli ridere, più di quanto mi piaceva davvero taʃtare quei culi. Ma queʃto non vi autoriʒʒa a penʃare che non mi piacciono le ragaʒʒe.
Non ʃono buono a camminare veloce, correre neanche a parlarne, vado via ʃtorto come un giunco, allora ʃì che ʃembro ʃtrano. A camminare normale invece ʃono un aʃʃo, faccio i chilometri veri. Non guido l’auto, tantomeno il motorino, anche ʃe una volta ne ho avuto uno finché non ʃono finito contro un ʃemaforo e mi è ʃtato inibito per ʃempre. Vado poco anche in bici, ma per pedalare pedalo. A piedi non ho rivali, un paʃʃo via l’altro, mi dovreʃti guardare proprio al rallentatore per accorgerti che appena appena ʒoppico, ma non ʃi vede a occhio nudo.
La coʃa peggiore che mi ritrovo è queʃta teʃta ad uovo. Oblunga, va ʃu verʃo l’alto come se ha un appuntamento con un cappello nella ʃtratoʃfera. Non ho ancora compiuto 23 anni, ma non ho più nemmeno un capello, ʃe non nelle immediate vicinanʒe delle orecchie. E la coʃa è ancora più evidente, voglio dire la teʃta ad uovo.

Ero piccolo la prima volta che mi portarono alla fattoria della Vecchia Pagnana.
Mio padre, Dino Pampaloni, lavorava duro in un ingroʃʃo di giocattoli dall'altra parte della città, era ʃpeʃʃo al magaʒʒino, altrimenti era in viaggio nel tragitto caʃa-lavoro o lavoro-caʃa. Mia madre, Roʃita, anche lei ʃi dava da fare ʃfaccendando e ʃtirando a caʃa d'altri. Fatto ʃta che il pomeriggio, a ʃcuola chiuʃa, ero un peʃo, e a caʃa da ʃolo, un ritardato come me non ʃi poteva laʃciare. Non tanto perché avrebbe potuto farʃi male o berʃi un ettolitro di varichina, no, ʃemplicemente perché chiʃʃà coʃa avrebbero detto i vicini. A toglierci le caʃtagne dal fuoco la provvidenʒa ci inviò l'Associazione Senza Distanza. Fondata una ventina d'anni prima da un manipolo di genitori baciati dalla ʃorte e deʃtinatari eʃcluʃivi di figli con problemi, aveva preʃo vita propria ʃopravvivendo agli antichi fondatori e continuando a raccattare, o accogliere ʃe preferite, queʃta ʃorta di feccia umana coʃtituita da figli di ʃcarto incapaci di paʃʃare un pomeriggio da ʃoli in caʃa ʃenʒa incendiarla.
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Il Liʃca - capitolo 1 di 3.
Capitolo 2 il 17 aprile.
Capitolo 3 il 19 aprile.

5 commenti:

  1. Che te possino mi si è ingrippata anche a me la S !
    Bella poi l'idea della pubblicazione datata.

    Per ultimo....Bravo e bello (non tu il racconto).

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  2. Bello, semplice, scorrevole nonostante le s oblunghe..siam qui che aspettiamo.

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  3. Divertente tornare indietro nella lettura per correggere le esse sballate alla tedesca, che uscivano automatiche. Con le zeta nessun problema.
    Quanto agli altri difettucci, qualcuno direbbe che Marco Pampaloni è un benedetto dal signore, e che, dalla testa d'uovo in poi, ogni difetto è un suo dono, da tenere prezioso.
    Toccare il culo alle ragazze no, quello non è un dono; finché ci stanno va bene, quando no è un ulteriore difetto che ti si stampa sulla faccia con un batticinque sonoro.
    In attesa dei seguiti, un caro saluto.

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  4. Credo che "scisciolerò" per tutta sera. Un "diversamente troppo" 'sto ragazzo; è la commedia del tragico. Vado al seguito

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Ma dici a me? Ma dici a me? Ma dici a me? Ehi con chi stai parlando? Dici a me? Non ci sono che io qui...