Non tutti ce l'hanno avuta un'infanzia felice.
Prendete me, ad esempio, mica mi avrebbe fatto schifo, ma nulla.
Se mi guardo indietro non mi commuovo e non mi sciolgo, come pare funzioni ripensando agli anni da bambini.
E pure Gesù non le ascoltava le mie preghiere notturne, anche quando io ero costretta ad ascoltarmi di tutto.
Quando andava bene sentivo mio padre che rientrava tardi e mia madre che lo buttava fuori.
Quando andava meno bene non sentivo rientrare proprio nessuno.
E a quella madre mezzo abbandonata, tradita, urlata e offesa, a quella madre posso fare una colpa se non aveva voglia di venirmi ad abbracciare?
Potevo crepare in attesa di un bacino sfiorato nel buio o di una coperta rimboccata.
Fortuna che c'era una via laterale, una stradina senza sfondo, dove scorreva senza scorrere la mia esistenza a puntate, quella però felice e che non poteva rubarmi nessuno, quella dei temi dati a scuola.
Lì sì c'era un fiorire di vita da mandare a memoria, pieno di mamme che ti portano ai giardini a giocare, di vacanze al mare con i cugini e di babbi presenti e pieni d'attenzioni. Quei babbi che ti riempiono di regali e ti soffocano di abbracci al sussurro di "la mia bambina, la mia bambina...".
Ma fuori dai temi era un'altra storia.
C'erano baci da non desiderare, c'erano frasi da non sentire e facce da non vedere.
E così la notte, rannicchiata nel letto e abbracciata al cuscino, chiudevo gli occhi e li premevo forte con i polpastrelli delle dita, fino a quando dal buio non comparivano vivide, a ritinteggiare il mio mondo, le copertine dei quaderni.
Ma che bello!
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