(Segue da qui)
Suona il campanello. E bussano. E poi chiamano.
- Signor Battistelli, signor Battistelli è in casa?
Riconosco la voce della tipa del piano di sopra. Rispondo da dietro la porta. Non apro mai agli estranei, capace che poi cominciano con la tazza di zucchero, la volta dopo il pane e finisce che poi se non li campi tu son sempre lì che ti suonano e ti bussano e ti chiamano. E non si chetano nemmeno con il mute.
- Sì?
- Signor Battistelli, ci dà una mano a portare su una cassettiera, per favore?
- Come?
- Una cassettiera, ce l’abbiamo giù a piano terra, sarebbe così gentile…?
- Sì, cioè no. Sono in mutande… e poi aspetto una telefonata urgente, mi dispiace.
Passo davanti alla vetrinetta del mobile e mi guardo nel riflesso, vedo la sagoma dei miei capelli e quasi mi pettino, poi torno a sedere. Come se uno fosse la ditta traslochi! C’era da immaginarselo, è pieno di questi vicini che non sanno come cavarsela da soli e suonano campanelli e bussano e ti chiamano. E comprano cassettiere.
Alla tele stanno bacchettando una specie di statuina di una specie di pensatore composta con tutta una serie di micro forme in quasi bronzo che paiono lettere dell’alfabeto. Roba dell’altro mondo!
Dal pianerottolo penetra qualcosa come “Allora, signor Battistelli, se… telefonata… mano… grazie… ” o giù di lì.
Sono le nove e mezzo. Mi ripasso mentalmente quello che dirò a Walter. No, guarda, non ci sarò domenica. E lui mi chiederà cos’ho cosa non ho. Niente, non ho niente, solo non verrò, né domenica né mai più. E lui mi chiederà cosa farò, cosa non farò. Niente, o qualcosa, in ogni caso non riguarderà una qualche sagra, né un qualche secondo clarino né una giacchettina bordò dai bottoni quasi dorati. E lui mi chiederà come mai come non mai. Così, dirò, oppure metterò giù. Ecco, magari metto giù.
Walter farà per attaccare la solita solfa, ma io probabile che gli metta giù il telefono, alla fine.
Il clarino. Il secondo clarino. Due che suonano il clarino. Ed io sono pure il secondo. Ma come ho fatto a star dietro a questi svalvolati per quasi vent’anni? Le majorettes che ci aprono la strada tra un po’ sono le trisnipoti di quelle che c’erano quando ho cominciato, e io sono ancora lì con questa specie di tubo in mano a soffiarci dentro come uno scemo: pippiripì pippiripì.
Prendete l’Ottorino Respighi, fatele eseguire il primo pezzo che vi capita a tiro davanti ad un qualificato novero di esperti. Poi ripigliatela, cassate il secondo clarino, magari mandatelo a traslocare delle cassettiere, e fate ripetere il concerto daccapo. Nessuno si accorgerà di alcuna udibile differenza. A parte il titolare del secondo clarino. E a parte la cassettiera. Forse.
Sono le nove e quaranta e non ho proprio voglia di stare ad ascoltare Walter. Fai che mi chiami e attacchi colla solfa del come stai come non stai, lo stoppo subito, guarda, gli dico che non mi cerchi più, che non mi chiami e che si procuri da qualche altra parte una specie di secondo clarino, oppure no, chissenefrega.
C’è muffa sul muro: è sempre stata un problema, in questo buco di casa. La muffa della parete nord ha iniziato un clamorosa avanzata e si sta espandendo sul soffitto e sulla parete est con chiazze gonfie e verdastre. Un movimento lento e costante e empirico. Asimmetrica, la muffa avanza e disegna i suoi astratti. Quasi da chiamare la casa d’aste e mandargli un pezzo di muro per sentire non tanto se lo vendono, perché lo vendono di sicuro, ma come lo presentano al pubblico. Muffa su intonaco – 110 x 80? Può essere.
Sono quasi le dieci, chiaro che Walter ha avuto il suo bel daffare stasera ad avvisare tutti; non lo sapessero che il venerdì sera c’è il giro delle telefonate! Dev’essere una bella palla anche dover chiamare tutta la banda per notificare dove si va dove non si va, dove ci si trova e dove non ci si trova, a che ora ci si trova e a che ora non ci si trova. Io non ce la farei, davvero, non ci sono tagliato per mettermi a telefonare e salutare e chiacchierare… poi di venerdì sera. Se aspettano che li chiami io!
Porto la sedia vicino al telefono così faccio prima a liberarmi di questa roba che devo dirgli. Appena suona tiro su e non gliela faccio nemmeno attaccare la sua penosa solfa.
Struscio un dito sulla superficie del mobile in quasi betulla e rilevo l’esistenza di uno strato di polvere. È sottile, quasi rassicurante. Faccio due o tre stradine col dito, potrei tirarla via con lo straccio, ma non mi va di allontanarmi dal telefono proprio adesso. Fuori un gran tramestio, sembra che abbiano deciso di portare su quella cassettiera, finalmente. Tendo l’orecchio e sento un gran botto.
“Attento, attento!”
O forse sento prima attento attento e poi il gran botto proprio davanti al mio portone, sul pianerottolo.
“Così non ci si fa, dài… vediamo dopo… oppure domani…”
Poi vanno via. Deduco che mi abbiano lasciato quella stupida cassettiera sull’uscio di casa.
(continua qui)
Si promette una storia lunga, mi metto comoda.
RispondiEliminaMacché, con il (3) si chiude.
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