9 luglio 2015

Chiudi gli occhi e vedrai


(Occhi chiusi - Kira)





Se insegni, insegna anche a dubitare di ciò che insegni.
(José Ortega y Gasset)







C’era questa profe cieca. Arrivò un mattino di settembre da chissà dove e venne a sedersi proprio alla cattedra della quarta B, come se nulla fosse.
Violetta, profe d’italiano, storia e quant’altro. Traviata dalla vita e cieca come la morte, arrivava senza un preavviso.
La prima lezione ce la impartì sedendosi da noi, per il semplice fatto che era lì, testimonianza e risultato di una volontà indomita, anche se noi l’abbiamo capito solo molto tempo dopo.
Sottobraccio, un paio di libroni in braille che solo portarli in giro era un’impresa, una voce che ricordava vagamente una papera, capelli neri lunghi, leggermente crespi. Un paio d’occhialoni, nemmeno troppo scuri, cercavano di nascondere i globi oculari inquietanti e bianchi come il culo di due uova sode.
Si sedette, si presentò e comincio a spiegare. Non una parola sulla sua situazione di non vedente.
Noi ragazzi ci fregavamo le mani come pazzi, tutto quello che ci serviva per passare un’annata tranquilla nelle materie letterarie era una sorta di professoressa cieca. Cristo, era il cielo che la mandava!
Le prime ore di lezione non furono certo tranquille. Una volta accertato che la profe non vedeva nemmeno le sagome che le si paravano davanti, come invece si era vociferato in giro subito dopo il suo arrivo, in classe si scatenò il putiferio vero.
Durante le sue ore, ho visto con i miei occhi volare intere fette di mortadella da una parte all’altra dell’aula, ho assistito a battaglie di cancellini zuppi di gesso e di proiettili di carta scagliati da elastici. Ho partecipato ad ogni tipo di gioco immaginabile e realizzabile sui banchi di fondo, dall’utilizzo improprio di cerini alle interminabili sfide a briscola, dagli scacchi alla battaglia navale.
Ci parve rassegnazione o tolleranza il modo in cui inizialmente sopportò la chiassosa anarchia. Ciò che la profe non poteva vedere, ma sentiva benissimo, sembrava non la scalfisse. Fingeva di non udire e, a volte, addirittura, di non essere lì.
Stava solo studiandoci. Già prima di Natale, la profe era in grado di abbinare ad ogni nostro nome la relativa voce e di rifilare dei cazziatoni mirati e disarmanti.
-    Mannucci, quando poi hai affondato la portaerei del Frilli, vedi se puoi farci l’onore di raccontare cosa sai di Pia de’ Tolomei.
La restituzione del primo compito scritto mi vide protagonista, e ci speravo, visto che avevo approfittato biecamente della situazione, svolgendo il tema letterario e riportando fedelmente i commenti dal libro di testo.
-    Ombri, 6. Il tema è preso pari pari dal Salinari, è una fedele trascrizione del pensiero del De Sanctis, però è copiato bene, è corretto. Diciamo che l’avrebbe potuto fare tranquillamente anche il bidello. O la vicepreside.
E l’affondo non avrebbe potuto farmi più male. Tiriamo via il bidello, del quale poco si sapeva, ma il riferimento all’odiata vicepreside Cocchi, insegnante di matematica e incarnazione scolastica della perfidia, fu una stilettata letale.
La cieca sapeva il fatto suo, non c’erano discussioni, e in capo a un paio di mesi il rapporto tra lei e la classe mutò ancora. Noi imparammo a stimarla, a comprenderla e, senza che lei ce lo chiedesse mai, a rispettarla in classe. Proprio come se potesse vederci. E di fatto, ci vedeva.
E lei imparò a fidarsi di noi. Nelle mattine in cui la trovavamo verso l’ingresso della scuola, o poco più là, e le offrivamo il nostro braccio per guidarla su alle aule, lei ci si aggrappava e, dopo qualche passo, la sentivi ammorbidirsi e abbandonarsi, confidando che l’avremmo condotta in porto senza farla sfracellare su qualche gradino.  E se la prima volta ci era sembrato strano, quasi ruffiano, dopo diventò la cosa più naturale del mondo.
-    Profe, buongiorno, dove va stamani?
-    Terza B, grazie. Stamani comincio dai bambini.
E si andava su, nel dedalo di corridoi e gradini: se c’era una scuola che faceva delle barriere architettoniche un vero e proprio vanto, era la nostra.
Da una sua lezione su illuminismo e romanticismo ancora oggi traggo ispirazione per le mie riflessioni, per le mie decisioni, per i miei credi e per il modo di mettere in discussione le cose che appaiono scontate e anche me stesso.
Parlandoci di Rousseau e di Victor Hugo e di come avessero rappresentato agli occhi del mondo l’illuminismo l’uno e il romanticismo l’altro, la cieca riuscì in venti minuti a ribaltare completamente il concetto e a convincerci che in fondo la forza, la passione e l’arte, con cui Rousseau perorava la causa illuminista altro non fossero che l’espressione della sua anima romantica, e che il buon vecchio Hugo avesse sì voluto distaccare e proiettare la sua opera così lontano dall’universo illuminista, ma che l’avesse fatto armato da una tale volontà e da un tale raziocinio che, beh, se non era illuminato lui!
Era una teoria nuova e rivoluzionaria? Oppure una solenne stronzata? Penso che a nessuno di noi, certo non a me, importasse determinare se fosse l’una o l’altra cosa.
Il concetto era chiaro ed eravamo pronti, all’occorrenza, a trasformare Kant in uno stilnovista o Marx in un futurista. O, quantomeno, a provarci.
Da allora ho imparato a dubitare. Dubito della tivù e dubito di un giornale solo. Dubito delle convenzioni, dei luoghi comuni e degli usi consolidati. Dubito di ciò che appare facile e di ciò che gli altri si aspettano che io faccia.
E mi piace dubitare se è la ragione illuminata che mi porta a farlo, ma anche se è la mia passione di sapere, di capire, o se è semplicemente il mio sogno individuale.
Ma se penso ancora oggi a Violetta, mi piace immaginarla bambina. Penso a sua madre quando, con una pena nel cuore, le avrà descritto i colori del sole e, con lo stesso amore, la forma dei gradini da scavalcare, quando le avrà accarezzato i capelli e magari le avrà fatto toccare i suoi. Quando l’avrà portata in un parco e le avrà fatto odorare i fiori o quando le avrà spiegato che tutto quel correre degli altri bambini, a pensarci bene, non era così importante e che, davvero, non era buono per lei.
E poi la penso di sera, a letto, nel buio della sua cameretta, con gli occhi spenti e chiusi, finalmente uguale a tutti gli altri bambini del mondo, cullata dalle parole sussurrate di sua madre che le racconta una storia.

13 commenti:

  1. Bella storia hombre.
    Io avevo una prof di diritto bella e simpatica. Molto bella, avrà avuto tra i trentacinque e i quarant'anni, bionda, sempre sorridente, gentile e affabile.
    Ha avuto un problema grave agli occhi, l'hanno operata(mi pare due volte), non è venuta a scuola per un anno, poi è tornata ed era praticamente cieca. Vedeva le sagome, le ombre scure, ma non distingueva i visi. Poco dopo è finito l'anno e poi non l'ho più vista, ma è stata una cosa veramente molto triste.

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  2. Anche la madre di Violetta era illuminista e romantica al contempo. :)
    (è stato un vero piacere leggere questo "amarcord" condito di riflessioni)

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  3. E' una fortuna da giovani incontrare persone che ti aprono la mente. Avrei voluto averla anch'io una prof del genere invece della bigotta che ci fece praticamente saltare Nietzsche e Marx perché "traviavano" i giovani.

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    1. No, non ci credo! Ma veramente? all'esame di maturità portai L'Anticristo di Nietzsche , in filosofia. Il presidente della commissione era un cattolico estremista tipo ciellino: provò a distruggermi la tesi senza, tuttavia, riuscirvi.

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    2. Idem la prof che io contestai e spinto dalla curiosità cominciai a leggere Al di là del bene e del male! :)

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  4. Maremma Furio tu mi hai fatto sentire un verme. Tu mi hai fatto venire in mente la mia compagna di banco Calogera per tutti noi Lilla. 3 anni di libroni registratori e punteruoli unico problema le partite della juve e Bettega. La mi mamma mi ha detto che la incrocia quando torna da lavorare dal centralino di Montaione. Sta vicino alla Chiarugi lunedì le suonò il campanello e caccio un urlo. Grazie Furio sei un grande.

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    1. Il marito, dicevano. A parte i miei, per quelli c'era Gassman.

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    2. Ahah.. Bene.. dovevo immaginarlo.. Gassman non Bene..

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  6. Paion novelle, avrebbe detto la mi nonna pisana. Bravo, ben fatto, dico io.

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  7. Hombre, se ne hai voglia e non l'hai già fatto ti consiglio caldamente di leggere qualcosa di Agota Kristof.
    E' fottutamente carverosa, ti piacerà.
    La trilogia della città di k
    o Ieri.

    Ciao

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    1. Trilogia, fatto. Ho ancora i miei dubbi su cosa era e cosa no...

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Ma dici a me? Ma dici a me? Ma dici a me? Ehi con chi stai parlando? Dici a me? Non ci sono che io qui...