Lei se ne sta lì, in piedi sulla porta del garage, accanto alla valigia delle vacanze e dei momenti belli, quella con le nostre iniziali rosse adesive, quella coi nostri numeri di telefono; è incurvata verso la valigia stessa, entrambe le mani sulla maniglia. Pronta a partire.
La valigia ha le ruotine, ma lei non ha intenzione di usarle. Deve condire la sofferenza psicologica con quella fisica di sollevamento e trasporto valigia. Farei lo stesso anch’io.
La valigia è una bella valigia rigida, di quelle toste che tornando dall’America te la possono sbatacchiare di qua e di là per tutta la nastratura dell’aeroporto senza riuscire a ferirla. A guardarla, la valigia, si vede che è preparata in fretta: da dietro ciondola un lembo di stoffa blu.
Lei mi dice qualcosa che sta a significare che o la fermo, lì e subito, oppure toglie il disturbo e non rivedo più né lei e né – dio l’accecasse - quel figlio che si porta in pancia da quattro mesi. Pure mio, fino a prova contraria.
La guardo tacendo, con una faccia che appaia seria e pensosa perché a me nelle situazioni tragiche capita che mi scappi da ridere, e davvero non è il caso.
Rischio di non decidere. O di decidere tardi, che poi è la stessa cosa.
«Perdi roba» le dico, indicando lo svolazzo di stoffa blu chiuso mezzo fuori dalla valigia. Non che voglia fare dello spirito, cerco solo di prendere tempo.
Lei fa una smorfia, come se le capitasse in bocca lo spicchio stopposo e dal sapore vagamente rancido di un mandarino. Solleva la valigia e muove qualche faticoso passo in direzione infinito. Il lembo blu sventola lieve, quasi salutandomi, mentre mi chiedo che cavolo sia, se un pezzo di camicia o cosa. E non mi ricordo niente indosso a lei con quella tonalità di blu.
E poi la chiamo.
«Ma dove vai? Vieni qua, fermati!».
Ma non va mica bene.
«Tanto lo dici per dire, lo so…» adesso piange, e si è fermata tre passi fuori dal garage. Io non riesco a muovermi verso di lei, né verso il richiamo del tessuto che m’incuriosisce.
«Lo dici per dire…»
E forse è vero che lo dico per dire. Forse vorrei soltanto poterla accompagnare in qualunque buco di mondo voglia andare portandole la valigia senza che il gesto venga interpretato come liberatorio, forse vorrei soltanto poterla salutare con due bacini sulle guance. Forse vorrei soltanto aprire la cavolo di valigia e sparpagliarne il contenuto a terra fino a smascherare il resto di quella benedetta stoffa blu. Un blu acceso, magari di raso, forse il vestito da festa di un tristo Capodanno.
D’accordo l’ho detto proprio per dire, che si fermi, però l’ho detto, ma lei riprende a camminare, sghemba e dolente, con le due mani serrate su quel bagaglio che è la vita.
«Non lo dico per dire» le fo, quando, all’improvviso, mi ritorna in mente. Stava in cucina, ed era come se danzasse, in una sottoveste di raso blu, tra un caffelatte e un pane tostato, con una canzone in sottofondo alla radio ed io che arrivavo da lei, scalzo e sorridente, vomitato dalla notte.
«Non lo dico per dire» urlo.
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Questo racconto partecipa all'EDS "Il blues dei blu" come pure
Dario con Diavoli blu
Singlemama con NY Blues.
MaiMaturo con Colori
Singlemama con La linea blu
Lillina con Il blu dell'universo che non c'è
Lillina con Morte nel blu
Pendolante con Il trattore
Call me Leuconoe con Crossroad
Marco C. con Le ore scure (grigio, rosso e blu)
Guarda Hombre, non te lo dico per dire, ma è un vero piacere leggerti.
RispondiEliminaPosso vantarmi in giro e dire che sei mio amico?
Ma chi te conosce, aho?
EliminaQuesto racconto è magnifico, e non lo dico per dire. NON LO DICO PER DIRE!
RispondiEliminaMa quanto scrivi bene. Questa, finora, ha cancellato tutto, anche il ragazzino che parlava male e amava i cavalli.
RispondiEliminaPer la prima volta ho vissuto la situazione dalla parte di un uomo.
E, credimi, non e' poco, saper rendere contemporaneamente la drammaticita' del momento vissuto da lei e l'inconsapevolezza quasi adolescenziale tipica di un lui qualsiasi, che potrebbe persino mettersi a ridere da un momento all'altro.
Peraltro, dall'inizio avevo nella testa come sottofondo questa:
http://www.youtube.com/watch?v=wN11Q0f_52w
Perche' certe volte leggere male un titolo migliora pure la qualita' della colonna sonora. Con tutto il rispetto, eh, lo dico cosi', per dire...
Quel maledetto corso di link che poi non ho tenuto... mannaggia.
EliminaCmq, per la colonna sonora, non è un discorso di qualità... lì ti posso anche dare ragione, ma serviva quella, fidati ;)
Mi fido ciecamente (da pronunciarsi alla napoletana)
EliminaEra solo perche' mi son fatta ingannare dal blues del tema
E si, sto ancora aspettando il corso di link, che ho smanettato un'ora, ma non ci son riuscita
È bellissimo, accidentattè.
RispondiEliminaCopio il commento di MM di Bianca e di Melusina, l'ordine sceglilo tu.
RispondiEliminaLo so è un commento non commento, forse dovrei scrivere che ti odio, nel senso buono ovviamente, perchè per dindirindina sei bravo a far ridere ma anche col resto non scherzi.
Una domanda...perchè hai scelto la foto in cui dalla valigia volano vie le farfalle? È un caso o dietro bisogna leggerci una metafora?
RispondiEliminaIl titolo dell'opera è "Rebirth" e mi piaceva il contrasto con la morte dell'amore. Di un amore. E l'apertura verso un futuro farfalloso.
Elimina(traduz.: è l'unica immagine decente che ho trovato con una donna che tenesse le due mani alla valigia :)
non lo dico per dire nemmeno io, ma quoto tutti quelli sopra e ringrazio di non aver letto questo prima di scrivere!
RispondiEliminaGrazie, ma non credo che sia così inibitorio. Cmq anch'io preferisco non leggere prima gli altri, e non lo dico per dire.
Elimina"L’amour est un oiseau rebelle
RispondiEliminaQue nul ne peut apprivoiser,
Et c’est bien en vain qu’on l’appelle,
S’il lui convient de refuser.
Rien n’y fait, menace ou prière,
L’un parle bien, l’autre se tait;
Et c’est l’autre que je préfère,
Il n’a rien dit; mais il me plaît."
qui va ça fait mal?
EliminaVedi che in una valigia c'è più di quello che ci sta? E tu lo dici proprio bene
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