Spataro e Lepore si siedono a un tavolino di quelli fuori e arraffano una copia della Gazzetta dove si esalta la prova degli Azzurri che, al Camp Nou di Barcellona, si sono sbarazzati della Polonia con una doppietta del solito Pablito Rossi e si giocheranno la finale con la Germania. Ordinano due caffè a Simone, il Battilani junior, un ragazzotto sui 25 anni con una scucchiaiata di capelli dal colore indefinito e un’evidente psoriasi alle mani.
«Permette?» fa Simone per guadagnarsi uno spazio tra le pagine della rosa per posare le tazzine.
(Permette signora…)
«Simone, vero?» chiede il maresciallo.
«Sì, Simone».
«Gli dici a tuo babbo, per favore, se ha cinque minuti per noi?»
«Lo chiamo».
Il maresciallo Spataro amava sminestrare le questioni a caldo, non era dell’idea di far decantare gli avvenimenti o di star tanto in ufficio a riflettere, a tracciare schemi o a buttare giù appunti.
Lavorava in strada e riorganizzava le idee a casa, davanti al giradischi Thorens, mettendo su un 45 giri dietro l’altro.
Già i due giorni per sotterrare la Signora gli erano sembrati eterni, anche se utili per controllare alibi e spostamenti dei maggiori indiziati: i tre che godevano delle grazie di Gloria.
Il giorno 8 luglio, la Signora, alle ventidue aveva staccato e alle sette di mattina stava appesa a un pino, morta però da almeno cinque ore.
Lo stesso Lepore si era occupato di verificare alcune situazioni. Il marito, indiziato numero uno stava in una pensione sul lago di Como e, a meno che non disponesse di un jet personale o di una macchina del tempo, era già escluso dal possibile omicidio, almeno come esecutore materiale.
Il fidanzato della Maria, Wilde, aveva trascorso la notte dalla Maria, anche se era assai poco probabile che ne trascorresse altre, vista la reazione della fidanzata alle domande che gli furono rivolte riguardo alla sua presunta liason con Gloria.
Wilde ne uscì bene da un punto di vista dell’indagine, ma con le ossa frantumate da un punto di vista del suo storico fidanzamento con la Maria.
Quello che proprio non ce l’aveva uno straccio di alibi era Pietro Battilani. Rientrato a casa che sua moglie già dormiva, era rimasto in cucina a guardarsi un po’ di tivù e nessuno lo aveva visto, nemmeno suo figlio Simone che era rincasato più tardi ancora.
Quando Pietro Battilani si siede al tavolo con i due carabinieri è teso e vistosamente addolorato.
«Dunque le voleva bene a quella figliola?»
«Le volevo bene sì, era la barista perfetta».
«Già, parrebbe sì» il maresciallo lo guarda fisso «senza tanti giri di parole, è a conoscenza che sappiamo della sua relazione con la morta?»
Usa la parola morta di proposito, per dare una scossa, quando ancora nessuno riesce ad abbinare il termine alla vitale Gloria.
«Sì, sono stato avvisato, ma non parlerei di relazione, ecco…»
«Come preferisce, parliamo di sesso? Da quanto se la scopava?»
Il maresciallo butta lì ancora tre o quattro domande le cui risposte valgono zero, servono solo per scrutare lo sguardo e le pieghe del viso del Battilani ma, dopo un po’, perde interesse. Spataro ha preso a spiare i movimenti del figlio Simone, dietro, che sta cercando di tenere a bada tutti i clienti. Ha una faccia strana quel figliolo, una mimica devastata e inespressiva che il maresciallo cerca di capire da cosa derivi, senza però cavarci molto. Gli occhi, forse.
Aspetta che Pietro finisca di parlare.
«… perché io sono un uomo sposato».
«Senta, Battilani, ma suo figlio che ha fatto a quelle mani?»
«Oddio, Simone, ne ha passate tante il mio ragazzo».
Qui Battilani fa una pausa, lunga, va a pescare le parole in una cesta di ricordi amari, le sceglie con cura, affinché gli procurino meno dolore possibile.
«Simone ha cominciato a perdere i capelli già a quindici anni, senza un motivo medico o psicologico, almeno che noi sapessimo. A scuola è diventato un macello, con lui che si vergognava e con i compagni, beh, lasciamo stare i compagni, se li può immaginare maresciallo… e non ha perso solo i capelli».
Ecco il perché della mimica particolare di Simone, niente sopracciglia.
«E poi è stata una spirale che l’ha inghiottito. Da militare è caduto in depressione, non l’abbiamo visto per mesi, non veniva nemmeno in licenza. Al congedo è tornato, per forza, e aveva perso ogni singolo pelo del corpo, ogni singolo pelo, s’immagina?»
No, Spataro, questo fa davvero fatica a immaginarselo.
«Terribile» dice Lepore.
«Quindi gli son venute le macchie sulle mani, la gastrite e poi chissà cos’altro arriverà. Non s’è fatto mancare nulla. Solo nell’ultimo anno sono riuscito a tirarlo dentro al bar, a darmi mano, e qui è rifiorito. Anche grazie a Cetrin, devo dire».
«Cetrin?» la parola qualcosa gli dice, al maresciallo, forse una medicina? Forse un mago da tivù privata?
«Cetrin, quelli dei capelli?» chiede Lepore.
Per questo gli piaceva Lepore, sapeva stare al suo posto, con rispetto ed educazione ma, quando c’era da subentrare, si faceva trovare pronto. Un panchinaro perfetto, quello che tutti gli allenatori vorrebbero. Per un attimo pensa a Giampiero Marini, ci sarebbe stato bisogno di lui nella finale del Mundial, si sarebbe fatto trovare pronto?
«Cetrin sì, proprio loro, sarà pur sempre un cazzo di parrucchino, ma almeno lo rende presentabile».
Dopo aver liberato il Battilani si trattengono altri dieci minuti, leggono le dichiarazioni di Bearzot e di Zoff, che è l’unico che parla tra i calciatori. Apprendono che il presidente Pertini avrebbe assistito alla partita e si dispiacciono per Antognoni e i cinque punti di sutura sul dorso del piede che l’avrebbero relegato in tribuna per la finale, probabilmente in infradito.
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Ma dici a me? Ma dici a me? Ma dici a me? Ehi con chi stai parlando? Dici a me? Non ci sono che io qui...